Al Sig. Direttore de « L’Osservatore Romano della Domenica » ricordo che l’arrivo del settimanale era per mio figlio una festa. Se lo divorava letteralmente. La « Poesia d’angolo » – il « Crivello » – « Legittima difesa », i commenti del Vangelo, le « ultime » vaticane, il bel paginone denso di commoventi racconti, di succose interviste, di interessanti foto, formavano il suo più gustoso passatempo, la sua gioia più pura: sì, pura, perché mai una nota stonata vi colse con la sua squisita sensibilità acuita dal male.
Una
volta che un disguido (o un furtarello?) lo privarono della preziosa lettura,
mi guardò con i dolci occhi pieni di una muta preghiera. Capii. Fuori infuriava
il maltempo. M’intabarrai e feci per uscire. «Perdonami, babbo — disse — ma
Puf... sai... m’aveva promesso... In questo numero dev’esserci di sicuro la sua
risposta per le rime... ».
Gli
aveva mandato pochi versi a Puf e non disperava di vederli pubblicati perché...
sa... era un poeta — c’è da vergognarsi forse? — un poeta che se non aveva
ancora trovato la forma d’arte per tradurre quel che gli premeva dentro lo era
certo nell’anima innamorata, nella bontà indulgente, nel desiderio di
fanciullo: un poeta. Le assicuro, Sig. Direttore, che avrebbe un giorno trovato
la sua espressione e per il quale — chissà! — Ella stessa avrebbe forse fatto
eccezione alla dura regola di non pubblicare versi.
Tornai
quel giorno dal più vicino centro col giornale che egli accolse come un grande
amico. La risposta di Puf c’era, ma si schermiva e... differiva la sospirata
pubblicazione. Rimase un po’ male, lì per lì, ma poi si riprese subito e... «
Sarà per un’altra volta — disse — certo Puf non sa che io ho fretta e non
conviene dirglielo... La Poesia non vive di carità, ma la pratica ».
Capiva
— il mio povero ragazzo — che di vita non ne aveva di spendere e la sete di
bellezza che lo consumava la saziò tutta in Cristo, ch’è la più alta Poesia
elargita agli uomini dalla divina misericordia.
Può
quindi comprendere, Sig. Direttore, con quale trepido cuore io offra a nome del
mio povero figliuolo morto cinque abbonamenti che vorrà destinare ad
altrettanti tubercolosi...
GENNARO
SILVERI
Che
ve ne pare? Non sarà il caso di raccogliere un giorno tutti questi «
appuntamenti » in un volumetto?
Vogliamo
intanto credere che la lettera del Silveri ispiri i buoni. La carità è una
pianta, sempre più rara, ma siamo fermamente convinti che fiorirà sempre sulla
terra finché vi palpiti un cuore d’uomo, quell’uomo di cui il Verbo assunse la
natura.
BENIGNO
4
aprile 1948
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