«Andrò all’altare di Dio. Al Dio che allieta la mia
giovinezza.»
Tutto è garrulo e quasi festoso fino alla fine, mentre il
Cristo rinnova il sacrificio incruento.
M’è avvenuto spesso, e non sembri irriverenza, di ascoltare durante la Messa un
passo lontano, cadenzato sul ritmo d’una fanfara celeste; tutta di lunghe
trombe d’oro e d’argento, sottilissima, sfavillante al sole.
«Giudicami, o Dio, e decidi la mia contesa; salvami dalla
gente non pia, dall’uomo perverso e maligno.»
La contesa è in noi fin dalla nascita: l’Angelo e la bestia
li portiamo dentro dai primi passi. La candida infanzia è dominata dall’Angelo,
protetta dalle sue ali; ma la bestia prende possesso di noi man mano che
perdiamo l’innocenza. La contesa è fra i due. L’Angelo si batte lealmente, a
viso aperto, spada al sole. La bestia colpisce con armi subdole, sempre alle
spalle.
«Perché tu sei, o Dio, la mia fortezza... Perché mi avanzo
triste mentre il nemico mi affligge?»
Non bisogna curarsi della bestia. A furia di non avvertirne
la presenza, finirà per stancarsi e abbandonare la preda. Via la tristezza dal
cuore, se è mondo. Se Dio è con noi, chi potrà esserci contro e portarci afflizione?
«Donami la tua luce e la tua verità; esse mi dirigano e mi
conducano al tuo monte santo, e nei tuoi tabernacoli.»
Il Golgota è qui, sulla tovaglia bianca, sulla tavola per
tutti, che ci sfamerà, che ci disseterà. Cristo sta per uscire dal tabernacolo,
evocato dal Suo ministro, anche se indegno, cui Egli deve obbedienza per la
nostra salvezza. Nessuno è respinto da questa Mensa. Noi fatichiamo ad
accogliere un convitato, spesso ci pesa porgere un piatto all’affamato. Egli ci
nutre col Suo Corpo, ci disseta col Suo Sangue, da gran Signore.
«Mi accosterò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia
giovinezza.»
Il passo si fa più frequente, serrato. Le fanfare squillano.
La gioia è nell’aria. La pienezza della gioia è la felicità che viene solo da
Lui. Nutriti da quel Cibo, dissetati da quella Bevanda, la nostra giovinezza
sarà eterna e vinceremo la Morte; perché una sola è la morte da temere: scadere
dalla Sua amicizia, perdere l’anima.La morte della carne è solo apparente, se
saremo nella Sua Grazia.
«Ti canterò sulla cetra, o Dio, Dio mio; perché sei triste,
anima mia, e perché mi turbi?»
Era, ed è, lo strumento degli Angeli, la cetra: al solo
tocco, l’anima rabbrividisce d’estasi. Nessuna tristezza resiste a quel suono.
Gli stessi cipressi diventano pioppi. Risorgono i morti, gremiscono le vie del
Cielo. Turbarsi ancora significa resistere a Dio.
«Spera in Dio, poiché ancora io lo esalterò, mia salvezza e
Dio mio.»
In un crescendo di toni, in una sinfonia di canti, il
preludio al Sacrificio sta per concludersi.
Prorompe l’Osanna:
«Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.»
S’inizia la grande ascesa che condurrà Cristo sul Golgota
per la salvezza dell’umanità.
L’Agnello di Dio sta per essere tratto dinanzi al tribunale di Caifa. Un colpo
d’ala più alto:
«Andrò all’altare di Dio. Al Dio che allieta la mia
giovinezza. La nostra forza è nel nome del Signore, che ha creato il cielo e la
terra.»
Ma prima di scalarlo, il Cielo, confessiamo a Dio di aver
meritato la fossa.
Il sacerdote ascende l’altare.
Squillano a gloria le trombe d’oro e d’argento. Tutte le fanfare celesti
intonano l’inno d’Amore.
2 febbraio 1947