sabato, aprile 05, 2025

Commento a un preludio

«Andrò all’altare di Dio. Al Dio che allieta la mia giovinezza.»

Tutto è garrulo e quasi festoso fino alla fine, mentre il Cristo rinnova il sacrificio incruento.
M’è avvenuto spesso, e non sembri irriverenza, di ascoltare durante la Messa un passo lontano, cadenzato sul ritmo d’una fanfara celeste; tutta di lunghe trombe d’oro e d’argento, sottilissima, sfavillante al sole.

«Giudicami, o Dio, e decidi la mia contesa; salvami dalla gente non pia, dall’uomo perverso e maligno.»

La contesa è in noi fin dalla nascita: l’Angelo e la bestia li portiamo dentro dai primi passi. La candida infanzia è dominata dall’Angelo, protetta dalle sue ali; ma la bestia prende possesso di noi man mano che perdiamo l’innocenza. La contesa è fra i due. L’Angelo si batte lealmente, a viso aperto, spada al sole. La bestia colpisce con armi subdole, sempre alle spalle.

«Perché tu sei, o Dio, la mia fortezza... Perché mi avanzo triste mentre il nemico mi affligge?»

Non bisogna curarsi della bestia. A furia di non avvertirne la presenza, finirà per stancarsi e abbandonare la preda. Via la tristezza dal cuore, se è mondo. Se Dio è con noi, chi potrà esserci contro e portarci afflizione?

«Donami la tua luce e la tua verità; esse mi dirigano e mi conducano al tuo monte santo, e nei tuoi tabernacoli.»

Il Golgota è qui, sulla tovaglia bianca, sulla tavola per tutti, che ci sfamerà, che ci disseterà. Cristo sta per uscire dal tabernacolo, evocato dal Suo ministro, anche se indegno, cui Egli deve obbedienza per la nostra salvezza. Nessuno è respinto da questa Mensa. Noi fatichiamo ad accogliere un convitato, spesso ci pesa porgere un piatto all’affamato. Egli ci nutre col Suo Corpo, ci disseta col Suo Sangue, da gran Signore.

«Mi accosterò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza.»

Il passo si fa più frequente, serrato. Le fanfare squillano. La gioia è nell’aria. La pienezza della gioia è la felicità che viene solo da Lui. Nutriti da quel Cibo, dissetati da quella Bevanda, la nostra giovinezza sarà eterna e vinceremo la Morte; perché una sola è la morte da temere: scadere dalla Sua amicizia, perdere l’anima.La morte della carne è solo apparente, se saremo nella Sua Grazia.

«Ti canterò sulla cetra, o Dio, Dio mio; perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi?»

Era, ed è, lo strumento degli Angeli, la cetra: al solo tocco, l’anima rabbrividisce d’estasi. Nessuna tristezza resiste a quel suono. Gli stessi cipressi diventano pioppi. Risorgono i morti, gremiscono le vie del Cielo. Turbarsi ancora significa resistere a Dio.

«Spera in Dio, poiché ancora io lo esalterò, mia salvezza e Dio mio.»

In un crescendo di toni, in una sinfonia di canti, il preludio al Sacrificio sta per concludersi.
Prorompe l’Osanna:

«Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.»

S’inizia la grande ascesa che condurrà Cristo sul Golgota per la salvezza dell’umanità.
L’Agnello di Dio sta per essere tratto dinanzi al tribunale di Caifa. Un colpo d’ala più alto:

«Andrò all’altare di Dio. Al Dio che allieta la mia giovinezza. La nostra forza è nel nome del Signore, che ha creato il cielo e la terra.»

Ma prima di scalarlo, il Cielo, confessiamo a Dio di aver meritato la fossa.
Il sacerdote ascende l’altare.
Squillano a gloria le trombe d’oro e d’argento. Tutte le fanfare celesti intonano l’inno d’Amore.

 

2 febbraio 1947 

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