mercoledì, aprile 02, 2025

Ho ascoltato, a basilica vuota, l’organo oceanico in Santa Croce. Sbattevano i marosi contro le navate del tempio; poi, d’improvviso, si placavano, per tornare subito a invadere le volte attonite. Anche le colonne trasecolavano. Volavano gli occhi tendendo le orecchie, come in attesa della catastrofe o del miracolo. Cateratte si spalancavano tra gli intercolunni. Trombe prolisse annunciavano il Giudizio. Angioli cantavano il «Dies irae».

Nelle pause restava nell’aria il respiro dei golfi dopo la tempesta. Un respiro affannoso, un alito forte di furia contenuta.
E l’estasi dei cieli antelucani, dei gigli appena sbocciati, delle stelle al declino. Bufere e splendori d’anime, sospese fra volo e strapiombo.

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Un amico che ama porsi problemi ardui, senza risolverne uno, ritiene assurdo che Cristo abbia redento solo gli uomini della terra, uno dei tanti pianeti dell’universo. Gli ho ricordato che il Figlio di Dio è venuto proprio quaggiù, e che nel «Pater» invochiamo: «Sia fatta la tua volontà come in Cielo così in terra».

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Ma l’argomento principe è uno: gli eventuali abitanti degli altri mondi, per quanto perfidi, non è possibile lo siano al punto da aver bisogno che un Dio muoia in Croce per loro. Questo tristo privilegio è riservato agli uomini.

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Per tutto il male che i poeti fanno alle creature nella ricerca insoddisfatta di cercare Te in loro, perdona, o Signore!

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Preghiera
«Signore, dammi sempre una mèta, ma fa’ ch’io non la raggiunga mai, fuorché l’ultima!»

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Si grida al miracolo se un male, ritenuto inguaribile, è sanato, ma si tace indifferenti allo sbocciare d’un fiore, alla nascita di un frutto. E il sole è come se ci spettasse, la primavera è un diritto, le stelle vorremmo coglierle tutte. Nera ingratitudine delle creature per il Creatore.

 

12 gennaio 1947

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