Dalla parte dei più deboli
Marco Doldi
Ha suscitato molto scalpore la vicenda di una coppia catanese, entrambi portatori sani della talassemia. Dopo aver fatto ricorso alla fecondazione artificiale per creare alcuni embrioni, hanno espressamente domandato che fossero impiantati nel grembo della donna solo quelli che risultavano non a rischio di malattia.
La domanda è finita sul tavolo di un giudice, che ha risposto negativamente, perché la legge sull'interruzione della gravidanza non permette di compiere l'aborto come strumento selettivo.
Questa decisione ha alzato un gran polverone e una miriade di accuse volte alla recente legge sulla procreazione medicalmente assistita. Su questo avvenimento è necessario fare uno sforzo di grande chiarezza, anche se i mass-media, presentando la notizia non hanno aiutato molto, perché hanno tralasciato alcuni elementi importanti ed hanno calcato la dimensione emozionale della vicenda.
E per essere certi di raggiungere il proprio scopo e non avere sensi di colpa per avere messo al mondo un figlio malato, molti genitori si rivolgono alla tecnica medica.
Con la diagnosi prenatale è possibile vedere, non senza rischio di errore, lo stato di salute del figlio e decidere se proseguire o meno la gravidanza, confortati dalla legge 194. Ma da tempo la tecnica medica è divenuta più precisa e permette, dopo la fecondazione in vitro, di monitorare la salute dell'embrione ed eventualmente scegliere quello sano per procedere all'impianto in utero.
Questa si chiama selezione embrionale e comporta la distruzione degli embrioni malati. Ora, al di là della forte emotività con la quale si è presentato il caso della coppia catanese, bisogna guardare alle cose nella loro realtà. Questi coniugi, consapevoli del rischio di concepire un figlio talassemico, hanno scelto la fecondazione assistita.
È stata una scelta buona? Eticamente abbiamo già risposto. Occorre aggiungere che, secondo la recente legge, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solo coloro che risultano chiaramente sterili. Lo sono i coniugi catanesi?
Questo non è stato detto. La legge stabilisce che durante tutto l'iter per giungere alla fecondazione artificiale, vista la gravosità dell'intervento, la coppia possa recedere e ritirare il proprio consenso. Non dopo il concepimento, perché siamo davanti a una o più vite umane nella fase iniziale del loro sviluppo e questa verità scientifica chiama a responsabilità.
Se questi sono i requisiti della legge, perché la coppia ha voluto che si eseguisse l'esame del Dna prima dell'impianto? Probabilmente per evitare di iniziare una gravidanza, che avrebbe dovuto essere monitorata continuamente e, nel caso il figlio fosse risultato talassemico, evitare di sottoporsi a un aborto. Una scelta per non "perdere" tempo con una gravidanza di qualità dubbia e togliersi una preoccupazione. Un altro aspetto della vicenda che non è stato riportato dai giornali, è il ruolo che ha avuto nella vicenda l'èquipe medica; se la questione è finita sul tavolo di un giudice significa che qualche medico, per motivi etici o professionali, si è rifiutato di compiere la selezione embrionale. Cioè ha ritenuto di non essere al servizio totale dei pazienti e di avere una propria coscienza, davanti alla quale confrontarsi.
Perché non ci si occupa mai dei non pochi medici, che ritengono loro preciso dovere porsi dalla parte dei più deboli, come appunto sono gli embrioni? Probabilmente perché è un comportamento scomodo per chi vuol sollevare disonesti polveroni.
E qui arriviamo all'ultimo punto: è ormai documentata l'iniziativa di talune forze politiche, forse alla ricerca di voti, di far saltare la legge sulla procreazione medicalmente assistita, perché riconoscendo il diritto alla vita del figlio violerebbe la libertà di scelta assoluta della madre.
Ma siamo sicuri che tutte le donne italiane siano di questo parere? In questi ultimi decenni è maturata una forte sensibilità verso la vita prenatale, anche grazie alle nuove conoscenze scientifiche.
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Dopo aver riportato 3 articoli sul tema, dico la mia senza aver paura di darci dentro, come dice farfintadiesseresani
La produzione artificiale di esseri umani è di per se un concetto estremamente problematico, se poi aggiungiamo la selezione eugenetica tocchiamo il fondo della barbarie.
La signora in questione ha concepito artificialmente tre figli, già perché stiamo parlando di esseri umani, non di ovuli animali. Due dei tre ovuli fecondati, ossia due dei tre figli della coppia, sono morti prima dell'impianto. E' sopravvisuto uno solo, non per molto, giusto il tempo per permettere ai genitori di chiedere l'autorizzazione per una analisi pre-impianto. Volevano sapere se era malato. Era sano, ma portatore di betatalassemia, nessun pericolo per la salute della madre.
Anche se fosse stato talassemico il giudice, seguendo la legge, avrebbe obbligato l'impianto dell'embrione. Il criterio che sta dietro la sentenza è molto semplice: non si può sopprimere un essere umano solo perché è malato.
Il rispetto per i più deboli è un principio fondamentale di civiltà.
C'è una bella differenza tra volere che il proprio figlio sia sano e non volere il proprio figlio che è malato.
Nell'intervista su Repubblica la signora afferma: "L'alternativa sarebbe stata mettere al mondo un figlio che mi avrebbe rinfacciato l'egoismo della scelta. Io sono una insegnante di sostegno, vivo ogni giorno a contatto con l'handicap, so quanto spesso si viva male".
Un'insegnante di sostegno che pensa che un figlio handicappato possa rinfacciare ai genitori di averlo fatto nascere per soddisfare il proprio egoismo!! Io non ho mai incontrato in vita mia un solo handicappato che non sia contento di essere in vita.
I primi mesi che ero a Dublino mi stupivo perché nel mio college ci sono molti studenti in carrozzina o con evidenti malformazioni della colonna vertebrale.
Al piano terra del mio residence c'è un appartamento speciale per portatori di handicap; quest'anno ci vive Clare, una studentessa americana di Film Studies, affetta da nanismo.
Tutto il campus ha servizi per disabili, c'è un dipartimento specializzato che se ne occupa.
Dicevo, i primi mesi mi stupivo, non tanto per i servizi ma per il fatto che avevo l'impressione che qui ci fossero più studenti handicappati rispetto all'Italia.
Avevo ragione e solo con il tempo ho capito il motivo: da noi molti li stroncano prima della nascita mentre qui l'aborto volontario è reato.
Questioni di civiltà.
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