È morto ieri l'italianista Vittore Branca. Aveva 91 anni. Ex fucino, grande esperto di Boccaccio, era stato amico di Montini e De Gasperi.
Da cattolico disse no al fascismo
Roberto Cicala
Dalla sua abitazione veneziana, vicino al ponte dell'Accademia, accanto agli oltre trentamila volumi, teneva cara la medaglia d'oro del Cln della Toscana e le copie della "Nazione del Popolo" firmate come direttore, testimonianze indelebile del suo impegno di partigiano e di cattolico. Anche se Vittore Branca è più conosciuto per gli studi di letteratura, non occorre cercare nella passione anche spirituale di certe sue intuizioni dedicate alle opere di Francesco d'Assisi o di Manzoni il suo forte radicamento religioso. È infatti un seme che, piantato in famiglia, germoglia e s'irrobustisce negli
anni della formazione, soprattutto quando il giovane diciottenne savonese varca la soglia della Scuola Normale Superiore di Pisa. È il 1931 e accanto a lui iniziano a frequentare la prestigiosa classe di Lettere e Filosofia - con maestri come Momigliano e Casella - anche Walter Binni e Fabrizio Donadoni, andando a rinfoltire i cenacolo dei "gaudisti", come i vecchi e nuovi amici del più grande Aldo Capitini venivano definiti nei rapporti della polizia storpiandolo il nome "ghandisti". Lì ebbe luogo l'incontro-scontro con il direttore della Scuola Giovanni Gentile, filosofo ufficiale e impersonificazione del regime, quando il candidato Branca si presentò davanti alla commissione d'esame con il distintivo dell'Azione Cattolica all'occhiello della giacca, in un gesto ostentatamente polemico verso il regime che aveva da poco fatto chiudere i circoli dell'associazione. E per eccesso di zelo uno degli esaminatori gli chiese che cosa avesse letto di Gentile: «Nulla», ammise; e il filosofo, sorridendo, non ci fece caso dicendo che era meglio continuare l'esame. «Ma Gentile fu sempre comprensivo e generoso, indipendentemente dalle ideologie, anche se mi diceva: "Non sei idealista, sei cattolico, sei antifascista... ma so che studi bene e poi cerchi la verità"»: così dichiarò Branca in un'intervista ad Armando Torno.
Quando i nazisti occuparono Firenze Branca c'era, con sua moglie Olga, e furono molte le occasioni rischiose di lotta, come quando i miliziani fascisti scoprirono un sacco e frugarono dentro trovando solo piselli e portandosene via qualche manciata. «Stia tranquilla, non glieli portiamo via tutti», dissero a Olga, non accorgendosi che sul fondo c'era un pacchetto di volantini contro il duce. Ma la decisione per l'impegno venne qualche tempo prima grazie a monsignor Montini, che era stato assistente della Fuci quando Branca era stato vicepresidente nazionale. Fu futuro Paolo VI a invitare Branca a conoscere Alcide De Gasperi con cui entrò nella Resistenza, recandosi da lui alla Biblioteca vaticana cercando un tale monsignor Legamini, secondo la firma che aveva letto nella lettera d'invito. Ma si trattava di De Gasperi che aveva scritto con calligrafia poco comprensibile la lettera e che rise di fronte al giovane studioso. Così Branca si trovò a dover stampare un giornale clandestino con Firenze occupata e con il tipografo che, senza più corrente, collegò la macchina tipografica piana a un'auto Balilla da cui uscirono le 20.000 copie del primo giornale toscano antifascista, l'11 agosto '44. Ma sempre amàòdire: «Non eravamo coraggiosi: eravamo incoscienti. E avevamo fede».
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