Il sapere che cambia
3. La rivoluzione dei saperi tra globalizzazione e frammentazione
Come e quando nasce la rivoluzione dei saperi? Da cosa è prodotta e come si caratterizza? Quali rischi e quali opportunità porta con sé? Da cosa si evince la consapevolezza di essere immersi in una simile trasformazione? Rispondere a queste domande è difficile per tutti, perché si tratta di un cambiamento ancora in corso: un work in progress, come sottolineato anche nel titolo del nostro congresso.
Nella storia, come è noto, spesso si verificano lente e naturali evoluzioni che durano secoli; invece saltuariamente assistiamo a rivolgimenti “epocali”, inattesi e radicali, che possono lasciare spiazzati: solo la distanza storica e intellettuale dagli eventi quotidiani riesce forse a individuarne le cause. Sembra proprio ciò che stiamo vivendo in questi anni: una rivoluzione ampia e complessa che interessa il campo della conoscenza. Si tratta di un insieme di cambiamenti che si sta manifestando con vigore negli ultimi decenni, ma ha radici lontane e difficilmente identificabili, e che riguarda in particolar modo l’organizzazione della conoscenza e il rapporto tra i diversi saperi. Qualcuno suggerisce che si stia avviando una nuova fase di ricomposizione del sapere, che segue quella della sua esplosione prima e della sua frammentazione poi. Chiaramente non abbiamo la certezza che le cose stiano effettivamente così, ma anche le molte trasformazioni che stanno interessando la nostra Università ci dicono che forse ci stiamo muovendo in questa direzione.
Innanzitutto, si assiste a un processo in cui la conoscenza deriva sempre più dall’attitudine a “saper fare”. Si bada cioè al risultato, alla performance, un interesse che risulta in accordo anche con i criteri di selezione della nostra società, spesso basati sulle competenze fattive del singolo. Questo atteggiamento riguarda in modo particolare il mondo delle scienze e pone numerosi interrogativi sulla capacità dello studioso di oggi di dare un senso al proprio agire e sull’utilità dei saperi di tipo speculativo. Inoltre, spesso accade di credere solo alle scienze empiriche in quanto esse sono in un certo senso “dimostrabili”, mentre si ritiene semplice opinione tutto quel settore della conoscenza che ha a che fare con le idee o con l’investigazione . Anche alla luce di questi fattori, appare invece sempre più importante non perdere di vista che l’obiettivo primario del nostro sistema educativo dovrebbe essere quello d’insegnare a pensare, ad affrontare le grandi sfide della società, della scienza e della vita, con uno sguardo umanizzante globale e complesso, eppure capace di entrare nella specificità dei problemi. Ciò significa forse anche adottare una prospettiva d’interconnessione dei saperi, formare le menti a sviluppare attitudini generali più che riempirle di nozioni.
Sembra che il mondo della cultura occidentale sia interessato da una profonda trasformazione anche a seguito del processo di globalizzazione, che ha consentito pure a civiltà e conoscenze distanti l’ingresso nel nostro campo dei saperi: di conseguenza questi sono entrati in discussione, costretti a mettersi in dialogo, a superare i vecchi confini eurocentrici, realizzando di non essere più gli unici. Ciò non senza un senso di smarrimento, amplificato dalla consapevolezza di vivere all’interno di una società dell’incertezza, nella quale anche le tradizionali istituzioni educative vengono affiancate da altre agenzie e percorsi concorrenti che rischiano di mettere in crisi il loro ruolo.
A fronte di questi fenomeni, l’Italia avverte forse in maniera più traumatica la trasformazione di cui si parla, perché è una delle roccaforti del vecchio sistema educativo. Quali sono le cause di questa “anomalia”? Si è parlato spesso di un processo involutivo che stride rispetto al decorso della storia, dovuto a peculiari fattori politici, economici e sociali. Si può parlare, come alcuni suggeriscono, di una “rivoluzione incompiuta”, iniziata un secolo e mezzo fa che oggi rivendica un seguito? Infatti, si sa, il sapere non è mai indipendente dalle condizioni politiche ed economiche in cui si sviluppa. Per questo motivo c’è chi pensa che nel nostro Paese sarebbe stata proprio una volontà politica a determinare la stasi di un insegnamento prevalentemente elitario, incapace di fornire un’educazione civica a tutto tondo : un modello insomma che non favorisse la capacità degli studenti a utilizzare gli strumenti appresi prima di tutto per diventare cittadini consapevoli e responsabili della propria realtà, in grado anche di “controllare” i propri rappresentanti, qualità indispensabili a una vera democrazia.
Oggi, ci sembra di vivere un fenomeno che scatena due spinte divergenti: conservazione e innovazione. L’una prenda il sopravvento sull’altra a seconda di quale prospettiva del cambiamento si adotti: la prima, decisamente negativa, demonizza il nuovo, la seconda assolutamente positiva, quasi tende a cancellare il passato. L’atteggiamento migliore con cui ci sembra opportuno avvicinarci al tema della rivoluzione dei saperi è invece quello dell’equilibrio tra queste due tendenze, senza pregiudiziali verso il nuovo, ma anche senza facili esaltazioni contro il vecchio. La trasformazione che stiamo attraversando è un processo inevitabile, frutto di complesse evoluzioni sociali e culturali, con cui ci sembra importante confrontarsi in atteggiamento positivo.
4. Quali trasformazioni riflesse sull’Università?
La rivoluzione dei saperi, che riguarda l’organizzazione della conoscenza, incide significativamente sul processo di trasformazione dell’Università dei grandi numeri. Ad esempio, a livello disciplinare, si sta ormai superando l’idea della separazione netta fra ambito umanistico e ambito scientifico, e il criterio principale dell’organizzazione dei saperi diventa l’interconnessione, legata al paradigma della complessità, che consente la comunicazione virtuosa tra diverse conoscenze, attraverso linguaggi omogenei ma non omologanti. Infatti, sembra indispensabile che l’Università continui a dotarsi di percorsi formativi che insegnino a pensare in modo che la ricerca della verità, non solo scientifica, sia perseguita secondo l’originalità di ognuno, nei diversi modi che l’esplosione dei saperi ha determinato.
Un secondo elemento caratterizzante il processo in atto, in riferimento all’Università, è l’avvento della società tecnologica: secondo la lettura di Galimberti, infatti, la tecnica non rappresenta più un semplice strumento utile alla trasmissione delle informazioni, ma diventa l’ambiente nel quale siamo immersi e in cui si muovono le conoscenze. Così di riflesso, anche nell’università, la tecnologia origina decisivi cambiamenti intellettuali attraverso strumenti quali la rete, l’e-learning, i database, i motori di ricerca et similia. Infatti, essi hanno sicuramente agevolato la ricerca e lo scambio rapido delle informazioni, mutando radicalmente tempi e modi di pensare e produrre conoscenza, ma contemporaneamente hanno creato nuovi rischi, come il passaggio dell’impiego della tecnologia da semplice mezzo a messaggio, nonché l’assunzione dei mezzi tecnici a vere e proprie estensioni dei sensi e del pensiero.
Alla luce dei rivolgimenti fin qui tratteggiato a grosse linee, ci interrogheremo di seguito prima sulle conseguenze della rivoluzione dei saperi nell’ambito della didattica nei nostri Atenei (Titolo Primo), poi su quelle relative al rapporto sistema universitario, ricerca e mondo del lavoro (Titolo Secondo). A proposito del primo nucleo, ci chiederemo se l’Università riesca ancora ad adempiere al suo tradizionale ruolo, promuovendo l’universalità della conoscenza ed educando a una piena cittadinanza, ormai non più solo nazionale ma globale. La sfida che sembra pararsi davanti è il passaggio da un sistema educativo incentrato sull’insegnamento ad uno basato sull’apprendimento: quello in cui insomma il discente diventa parte attiva e creativa del percorso formativo.
In secondo luogo, ci chiederemo quanto l’Università sia in grado di interagire con le altre istituzioni, in un’ottica di cooperazione che punti ad una formazione dinamica, transdisciplinare, capace di adattarsi in maniera flessibile al cambiamento di una società sempre più fluida e di un sistema basato sull’apprendimento continuo. In questo discorso si collocano alcuni quesiti relativi a un incontro, quello tra mondo universitario e mondo del lavoro, non lineare, almeno in relazione alle esperienze che hanno visto in dialogo questi due interlocutori.
Di sicuro, le domande superano le risposte in un tema simile. L’interrogativo di fondo, però, riguarda la persona all’interno del cambiamento: che ruolo può occupare la nostra università nella formazione piena dell’uomo nella nuova società della conoscenza? Come trovare il proprio posto al suo interno realizzandosi pienamente come singoli, seguendo e non sacrificando le proprie inclinazioni, e allo stesso tempo contribuendo al bene comune? Può l’università orientare a scoprire, a non sbagliare, la vocazione di ognuno?
3 commenti:
ciao Angelo,
ti ho postato l'articolo di Famiglia Cristiana, l'ho messo nei commenti di "Dialogando".
A presto
Stefania
Se sono lunghe, queste premesse!
Francesco, il pensare richiede fatica.
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