11.000 morti per polmonite; 5.000 morti per complicazioni dell’influenza. È il bilancio dell’epidemia del Coronavirus cinese? No: è il quadro epidemiologico del nostro Paese. Ogni anno questo è il numero dei morti per queste due patologie. È un dato che dovrebbe far riflettere su quello che sta accadendo. L’epidemia che sta scoppiando è infatti una epidemia da panico, da paura ingiustificata delle malattie infettive.
La nuova minaccia fantasma si chiama Coronavirus. Certo: come abbiamo già scritto i casi esistono, e per certi versi il loro numero crescente sta a significare che il sistema cinese di prevenzione non sta funzionando, esattamente come accadde nel 2003 con la SARS, come la NBQ ha ricordato negli scorsi giorni. La vicenda del Coronavirus sta mostrando quanto sia fragile il gigante cinese, quel modello fatto di un mix micidiale di Comunismo e Turbocapitalismo che tanto piace in Occidente, e persino nei Sacri Palazzi Vaticani. Esaltato fino a pochi giorni fa per i suoi risultati economici e per la sua potenza militare e politica, questo modello si trova ora a fronteggiare con scarsa efficacia una epidemia che a causa degli spostamenti dei cittadini cinesi nel mondo si sta globalizzando.
Tuttavia parliamo di una malattia che ha un tasso di mortalità del 3%. Ciò significa che su 100 persone che si ammalano 97 guariscono senza problemi. Inoltre, i dati che cominciano ad essere accessibili, rivelano che i morti sono persone anziane, malati cronici, immunodepressi. Insomma, col nuovo Coronavirus sta accadendo la stessa cosa che avviene con i nostri virus influenzali. Tra parentesi, nei giorni scorsi veniva proprio annunciato come imminente il picco dell’epidemia influenzale in Italia. Ora non se ne parla più: tutta l’attenzione è monopolizzata dal pericolo giallo.
E sul fattore paura nascono e proliferano strane narrazioni. C’è chi ha parlato di numeri di morti altissimi e tenuti nascosti; chi di un microrganismo killer sfuggito ai laboratori militari preposti alla produzione di armi batteriologiche. Questa ipotesi è stata alimentata dalla presenza nei centri più colpiti di medici militari. In realtà è normale prassi del regime cinese intervenire con metodi tipici da regime dittatoriale, e non certo con gli specialisti e i protocolli tipici della Sanità occidentale. Ma anche queste centinaia di medici-soldati possono fare ben poco: mancano infatti tute protettive, occhiali di salvataggio, mascherine igieniche, strumentazioni e test-kit per scoprire la malattia nelle decine di migliaia di pazienti che affollano i corridoi degli ospedali.
La poca efficacia dipende anche dalla mancanza di informazioni e dal silenzio tenuto per troppo tempo prima di lanciare l'allarme. Secondo uno dei più autorevoli mezzi di informazione medica, il britannico The Lancet, i primi casi di coronavirus, ufficialmente denunciati il 31 dicembre, si sarebbero in realtà verificati dai primi di dicembre.
Accanto a queste ipotesi di guerra batteriologica decisamente fantasiose, esistono poi prese di posizione che colgono l’occasione per fare sentire la loro voce. Tra questi il virologo del San Raffaele Roberto Burioni, il campione del "vacciniamo ad oltranza", che sostiene che ai dati che vengono dalla Cina devono essere aggiunti parecchi zeri. Per il professore insomma saremmo di fronte ad una emergenza sanitaria. Tuttavia, ha l’onestà e il realismo di dire che non c'è in vista alcun vaccino per il Coronavirus.
D’altra parte, pur essendo questi virus studiati da anni, e avendo avuto l’epidemia di SARS nel 2003, in tutti questi anni non si è arrivati a produrre alcun tipo di vaccino per alcun Coronavirus. Difficile quindi affermare che lo si possa fare oggi, magari nel giro di poche settimane. Eppure c’è chi lo fa, e queste intemerate di ricercatori possono portare su di loro l’attenzione dei media, o meglio ancora lucrosi finanziamenti e financo il rialzo dei titoli di borse di società quotate.
C’è poi chi ha buttato ulteriore benzina sul fuoco dell’allarmismo. In una intervista rilasciata nei giorni scorsi, Walter Ricciardi, presidente della World Federation of Public Health Association (Wfpha), ed ex Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, carica dalla quale si era dimesso per protesta contro la presenza nel primo governo Conte di Matteo Salvini, ha dichiarato che l’Italia è una “bomba microbiologica”.
Cosa farebbe del nostro Paese una realtà ad altissimo rischio epidemico, quali la stessa Cina o Paesi in via di sviluppo? Secondo Ricciardi i rischi che si paventano con la diffusione del coronavirus sono «piccole avvisaglie». Il vero problema è che «purtroppo, la mancanza di conoscenze scientifiche e di fiducia nei confronti della scienza e quindi dei vaccini sta determinando una grande vulnerabilità e il nostro Paese in questo contesto è uno dei più deboli». Una affermazione decisamente sorprendente.
Le coperture vaccinali italiane sono perfettamente in linea con quelle degli altri Paesi europei. Non si riscontrano focolai epidemici: l’andamento delle principali malattie infettive è normale. Perché allora cogliere l’occasione della paura del Coronavirus per lanciare questo tipo di messaggi allarmistici? E ancora: perché diffondere l’illusione della immediata realizzazione di un vaccino per un virus individuato da un mese, quando sappiamo bene che per preparare un vaccino servono molti anni di studi e ricerche, occorrono test clinici in vitro o in vivo su animale e poi su uomo, e gli studi e i risultati poi vanno attentamente valutati? Infine, non si comprende perché quella della vaccinazione dovrebbe essere l’unica obbligata soluzione alle malattie infettive. E i farmaci antivirali? E le misure igieniche di isolamento, profilassi, e soprattutto di stili di vita sani? Perché trascurarli?
In sintesi: non bisogna farsi condizionare dal Fattore P, il fattore paura, che magari è funzionale a distrarre l’opinione pubblica da quelli che sono i veri problemi, sanitari e non solo.
Paolo Gulisano
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