domenica, luglio 06, 2025

Borsa nera del divorzio e santità del matrimonio

La disintegrazione sociale è in atto: di Dio, infatti, si può fare a meno perché non si vede; la patria è là dove si sta meglio; la famiglia... ecco, bisogna dar colpi di piccone a questa pietra angolare dell’edificio. E si attenta alla santità del matrimonio predicando il libero amore e praticando, cioè, estorcendo il divorzio a prezzi di borsa nera.

Notizie recenti c’informano che in Ungheria il dente del giudizio matrimoniale si può cavare con meno di un milione, mentre in Romania ne occorrono due, ed anche tre quando i richiedenti sono molto ricchi. Un lusso, come si vede, a carattere rigidamente morale e antiprolerario. Mentre però, col divorzio ottenuto in Ungheria, i coniugi perdono la cittadinanza italiana, ciò non avviene in Romania. Non che tale perdita impressioni troppo quei tali coniugi. È noto che per raggiungere lo scopo, in certi casi essi non esitano a rinunciare anche all’Italia, divorziando in Ungheria: per lor signori la patria dev’essere al servizio dei sensi.

Qual è la prassi... provvidenziale? S’occupa di tutto l’avvocato, il quale, in collegamento con un collega rumeno, scambia lettere e documenti, fissando anzitutto il domicilio delle parti in un qualsiasi paese rumeno. Dopo pochi mesi, tramite il ministero degli esteri, arriva in Italia la sentenza di annullamento di matrimonio fra le due parti residenti in Romania, che viene qui trascritto a margine dell’atto di matrimonio. Nessuna altra interferenza giuridica è necessaria, in base all’articolo della convenzione italo-rumena del 1889, interpretato «ad usum delphini». Si elude così l’intervento dei tribunali italiani, i quali, per l’art. 34 del Concordato con la Santa Sede, dovrebbero dichiarare ineseguibili e privi di valore gli annullamenti carpiti all’estero.

Conclusione: della pastetta in famiglia la Chiesa nulla sa; bigamo è per lei quello dei coniugi che passi a seconde nozze, come è colpevole di concubinaggio chi... li impalma.

Bigami dunque consapevoli e consenzienti al male, cioè al vizio, ché, a prescindere da qualsivoglia considerazione, la Chiesa non si presterà mai a scappatoie di questo genere, profondamente immorali perché monopolio di milionari.

Dal «non licet» ad Enrico VIII, il re poligamo, la Chiesa non ha ceduto di un pollice e tutto quanto avviene a sua insaputa è fuori della legge di Dio, il quale creò uomo e donna e li benedisse esclamando: «Crescete e moltiplicatevi»; e aggiunse: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due esseri in una sola carne».

Il matrimonio è inoltre, per volere di Gesù Cristo, supremo legislatore, ripristinato nell’unità e nell’indissolubilità, accrescendo la grazia santificante e conferendo la grazia sacramentale per adempiere i doveri dello stato coniugale.

Come potrebbe allora la Chiesa, sposa di Gesù, tradire il mandato avuto dal suo Sposo divino?

Dissentano pure i legulei pro e contro il divorzio carpito in terra straniera. Dire oggi «mi sono annullato in Romania» è diventato «snob», indizio di una esistenza alla Sartre, cioè famelica di tutti i vizi. Ma la Chiesa non deflette e non defletterà mai, perché sa, oltre a tutto, che il rimedio è peggiore del male.

Non può cioè consentire che l’umana società si trasformi in conigliera.

BENIGNO

7 dicembre 1947

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