Io non ho mai avuto una portaerei, il presidente Ciampi nemmeno, pero' a
differenza di me lui non ne puo' fare a meno (da piccolo andava al varo
degli incrociatori), cosi' ora gli stanno facendo una portaerei, si
chiamera' Cavour e rendera' impossibile a qualunque nemico uno sbarco
improvviso a Rimini o a Milazzo (la tattica moderna prevede che per impedire
al nemico di sbarcare a Milazzo devi andare a bombardarlo almeno fino a
Shangai).
Con tutto il rispetto per il Capo dello Stato, che mi ha procurato dei bei
momenti da giovane (quando, raramente, il ventisette mi arrivavano quei
foglietti di carta con la sua firma: il Governatore Ciampi), mi permetto di
fargli osservare che forse stavolta non ha del tutto ragione. Intanto, la
portaerei non si chiamera' affatto ne' Cavour ne' Garibaldi e nemmeno
Spigolatrice di Sapri. Il motivo e' - a lui non lo dicono perche' e'
vecchio, ma io ho le mie fonti - che sono nomi
inutili e obsoleti. La prossima portaerei si chiamera' Telecom e quella
subito dopo Bancodiroma. In America, ormai da tempo, l'esercito e'
privatizzato: c'e' qualche marine si', per esigenze politiche, ma buona
parte dei militi - e i piu' feroci - sono di societa' per azioni. Li armano,
li schierano, li giocano in borsa, se li scambiano l'una con l'altra come le
figurine e alla fine, quando non servono piu', li seppelliscono nel cortile
aziendale alla chetichella.
In America privatizzano: e noi che siamo, scemi? Privatizziamo pure noi.
Siccome poi c'e' da far cassa, e in fondo certi pudori noi non li abbiamo,
facciamolo fino in fondo e guadagnamoci qualcosa. La portaerei Telecom
(scafo a scacchi rossi e blu) e' interamente finanziata dai telefonini,
cinque centesimi la telefonata. La Bancoroma (blu e arancio) sara' armata
coi soldi che prima andavano a Tanzi. E via via fino al supermercato Despar
di Ravanusa, i cui colori sponsorizzeranno il MVAC (Motoscafo Veloce Anti
Clandestini) "Don Toto'", con base a Vigata.
L'altro motivo per cui non sono d'accordo col Presidente e' che mi ricordo
benissimo a che serve la flotta: a "far rispettare la bandiera nel mondo",
si diceva una volta. La Vespucci che arriva a Montevideo, la gente che si
affolla a vederla attraccare, i marinai che fanno manovra, le ragazze che
sorridono, gli italiani che spiegano: "No es bandera mexicana, es Italia!
Paolo Rossi, Pertini, Garibaldi!" (ai vecchi di Montevideo nessuno ha mai
spiegato che ora ci sono Totti e Berlusconi, per carita' di patria). La
banda suona il Tricolore, l'inno di Mameli sventola fieramente sul pennone,
nessuno si fa male e tutti sono contenti. Italiani brava gente.
Degli italiani in mare, d'altronde, non si parlava fino a poco tempo fa
troppo male. Noi siamo quelli (Regia Marina, cap. corv. Carlo Fecia di
Cossato) che fermavano il sommergibile in pieno Atlantico per raccogliere i
naufraghi delle navi silurate, e se li trascinavano dietro per giorni e
giorni finche' non li sbarcavano al sicuro, noncuranti dei rischi. Ma
adesso? Adesso, il nostro mare e' gremito, sul fondo, da ossa e rottami
disonorevoli, perche' non li ha mandati laggiu' il mare. Sono i resti di
navi e creature di cui noi italiani siamo colpevoli, avendo - con leggi
barbare - ordinato che dovessero andare a fondo. Esseri di nulla colpevoli,
ma poveri lavoratori, ma "clandestini". E l'ultima cosa di cui costoro hanno
avuto paura, prima di finire in acqua a ingoiare il mare, e' stata la nostra
bandiera e le nostre navi. Con questa visione negli occhi sono affondati. Il
mare di Sicilia ne custodisce a decine.
* * *
C'e' stata, qualche anno fa, la Pasqua in cui una nave di queste - una nave
emigrante, una delle tante - e' stata urtata e affondata da una delle
nostre. Gli italiani allora quasi non se ne accorsero, fra una notizia e
l'altra dei tiggi'. Ma io sono superstiziosamente convinto che tutte le
nostre disgrazie attuali fanno data da quel momento. Ho davanti quel viso di
superstite, un attimo prima che lo portassero incolonnato verso gli autobus,
che guarda dentro la telecamera, scuote
un pugno impotente e fa: "Assassini!".
Noi avremmo dovuto impiegare ognuno di quei millecinquecento giorni da quel
giorno per farci perdonare. Dagli emigranti e marinai nostri, di quando
ancora eravamo popolo umano. Dagli emigranti nuovi, che non tramandassero ai
loro figli quella parola. Dalla nostra bandiera, che quella vergogna non la
meritava. Dalle nostre navi, che sono la Marina Italiana e non i vigilantes
del supermercato. Ma no: nulla di tutto questo. Abbiamo rimosso tutto.
Ed ora, fra un governo balneare e un altro, ci ritroviamo bambini grandi a
giocare con le portaerei e le corazzate. Noi non ne abbiamo bisogno,
ovviamente. Siamo una penisola, siamo in un mare chiuso, possiamo difenderci
benissimo senza portaerei dentro questo mare e al difuori di esso non
abbiamo bisogno di andare. Ma abbiamo speculazioni da difendere, carriere da
coltivare, padroni da servire e soprattutto una ricrescente e puerile
vanita' nazionale che ci fa irrigidire commossi al sentire l'inno ma non ci
fa minimamente percepire la vergogna, l'umiliazione, l'indegnita' collettiva
dell'essere quel
popolo che tiene per tre settimane in mare aperto una nave di profughi, la
Cap Anamur. In spregio di ogni usanza marinaresca e di ogni legge civile, e
dello stesso nostro codice di navigazione, semplicemente perche' non
vogliamo "creare il precedente" di accoglierli in un porto.
Per una cosa cosi', in un paese normale, dovrebbero riempirsi le piazze e
suonare le campane. Ma noi neanche ce ne accorgiamo, rincretiniti come siamo
da vent'anni di martellamento tv e politico che aveva il preciso scopo di
ridurci esattamente a questo punto.
Riccardo Orioles
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