domenica, giugno 29, 2025

Il bagaglio pronto

 Arrivati all’età matura s’aspetta che qualcuno bussi alla porta da un momento all’altro.

«Purché sia accompagnata — si pensa — tutto andrà bene».

Ma sarà accompagnata se avremo preparato il bagaglio; il che significa aver fatto la pace, prima con sé, poi con il prossimo. Allora la misteriosa visitatrice può arrivare anche inavvertita. Non solo non fa paura, ma si aspetta che ci passi la mano un po’ fredda sulla fronte come una madre, e magari ci aiuti lei a portare il bagaglio fino alla presenza del Padre.

Matteo non aveva mai pensato, in verità, che qualcuno potesse bussare alla porta di casa per prelevarlo e portarselo via. Di prelevamenti aveva sentito parlare, ma non potevano interessarlo, e tanto meno preoccuparlo, non essendosi mai occupato di parte guelfa o ghibellina, di bianchi o di neri, di palleschi o di piagnoni: perché per Matteo, uomo saggio e pensoso di tanti umani eventi, fuorché dell’evento definitivo, tutto si riduceva, almeno nel suo povero paese, a un ripetersi di cicli storici, e perciò di lotte intestine tra fazioni. Soleva dire che la sua gente era troppo geniale e che la natura si ripagava della genialità prodigata condannandola alla miseria. Convinto perciò che ogni partecipazione alla lotta che non sia quella per il pane quotidiano si risolvesse in perdita di tempo e di sangue, Matteo aveva imparato a guardare la vita con occhi di esiliato. Può un esiliato interessarsi agli avvenimenti del paese che l’ospita? Le folle per lui non erano che greggi allucinate, in perpetuo cammino dietro un falso miraggio, greggi manovrate da pastori pensosi di un solo problema: il proprio. Non s’accorgeva, però, che fuori del gregge non era concesso neppure di partecipare della stessa vita, ché questa esclude o butta ai margini i disertori.

Matteo, uomo saggio, in fondo, e probo a modo suo, non aveva mai visto la Morte in faccia. Gli avi erano scomparsi prima ch’egli venisse al mondo, e padre e madre scoppiavano di salute. Non aveva altri parenti prossimi o remoti. Misantropo per natura, egoista per elezione, non s’era mai accorto che la falce mieteva intorno a lui di giorno in giorno. Non era mai entrato in un cimitero; non aveva mai voluto seguire un corteo funebre. Se ne vedeva qualcuno da lontano, cambiava strada. Si giustificava dicendo che una cosa è la vita, una cosa è la morte e che della vita bisogna godersi i frutti più maturi, se no li colgono gli altri a tue spese. Di conseguenza, Matteo era sempre di buon umore: un esiliato, insomma, che avvicinava il prossimo solo per trarne vantaggio.

Quella sera andava verso casa sorpreso da un’ansia mai provata. Sentiva nella testa e nel sangue uno strano vago risentimento. All’angolo guardò: il portone era chiuso a metà! Fece le scale di corsa, aprì la porta col gelo fra i capelli. La vecchia madre gli venne incontro, lo baciò, lo condusse, gl’indicò la casa di fronte.

— È morto il Cav. Venuti. Bisognerà vegliarlo stanotte: sai, è stato sempre buono con noi.

— Sì, mamma, sì.

Nessuno gli levò dalla testa che la «nemica» dei reprobi e degli indifferenti aveva sbagliato porta; e quella notte stessa, dopo la veglia, cominciò a prepararsi il bagaglio, cioè a fare l’esame di coscienza.

Fu il primo richiamo; ma ne ebbe altri, Matteo, prima di partire da questo mondo. E se li meritò con la consolidata fede. Nessuno di noi sa invece se, col bagaglio in disordine, avremo tempo di raccomandarci l’anima al Padre; perché tutte le ricchezze, le battaglie, le conquiste della vita, non valgono quella semplice previdenza: tenere il bagaglio pronto.

Benigno

23 novembre 1947

 

venerdì, giugno 27, 2025

People want to have ever fewer children

 

The number of children that young couples are planning to have has plunged in the last 10 years in the US, according to new research. The decline is particularly evident among young women. This will worsen the coming demographic crisis.

A Pew Research Center survey finds that adults aged 20 to 39 now expect to have an average of just 1.8 children, considerably below the replacement level of 2.1. In 2013, that figure was 2.3. In truth, given current fertility and marriage trends, the figure will probably end up lower than 1.8.

The decline is most pronounced among women aged 20 to 24. In contrast, there has been little to no change in the number of planned children among women over 35, but then they are approaching the age of completed fertility. Among men, the drop has been more consistent across all age groups. It is not just women who want fewer children.

Education is one influence to influence the desired number of children, but only among women. Women with a college degree plan to have fewer children on average (1.7) than those without a degree (2.2). Among men, education level makes no significant difference.

Another big trend is the shrinking share of young adults who want children at all. In 2012, 93pc of US women aged 20 to 24 had or expected to have at least one child. By 2023, that number had dropped to 66pc. That is a huge drop in a short time. Across all age groups in 2023, 76pc of men and 77pc of women reported having or planning to have at least one child, down from about nine in ten in 2012.

This downward trend has serious demographic implications. Historically, couples tend to have fewer children than they intend. If today’s intended number is already below replacement level, actual fertility will fall even further, accelerating population decline.

A similar trend can be noticed in Ireland. A recent survey by the Irish Examiner found that, when asked if they would like to start a family, 20pc of Irish women interviewed said “definitely not” and 16pc said “unlikely.” Only 51pc expressed a desire to have children.

Financial strain and fertility challenges are significant factors: 21pc reported fertility issues (a feature of leaving it so late to try and have children), while 35pc said they are not in a financial position to raise a child.

Moreover, according to the poll, half of mothers in Ireland would not want a second child.

Unfortunately, the Irish Examiner survey did not explore all the other reasons for the decision not to have children.

Another Pew Research Center survey, for instance, found that lifestyle choice is a predominant factor, especially among adults aged 18 to 49. Over half (57pc) of childless adults under 50 say they simply do not want to have kids. This figure is notably higher than among older adults (ages 50 and above), where only 31pc cite the same reason. This suggests a generational shift toward valuing personal autonomy and lifestyle preferences over traditional expectations of parenthood.

Across both the U.S. and Ireland, young adults are increasingly choosing smaller families, or none at all. While financial and fertility concerns play a role, many are also making a deliberate lifestyle decision to give up parenthood altogether. With intended family sizes already below replacement levels, and actual fertility often lower than plans, these patterns point to a long-term demographic transformation that extends beyond economics, reflecting evolving values, priorities, and definitions of a fulfilling life.

domenica, giugno 22, 2025

C’è guerra nei cuori

Da tre anni e passa ci stiamo illudendo che la guerra è finita. Ce la diamo ad intendere come al malato grave si dà ad intendere che è prossima la guarigione, mentre di prossimo non c’è che la morte; ma della guerra scoppiata nei cuori, della guerra ancora e sempre in atto ci accorgiamo anche senza leggere le gazzette.

Gli occhi di chi ci passa accanto hanno la stessa inquietudine di allora, quando ci straziavano tremendi ordigni di distruzione: la stessa aria smarrita, la stessa ansia dipinta nei volti, seppure temperata in taluni dall’ingordigia di vivere, in altri dal desiderio di straniarsi dalla giornata mortale, di «evadere» insomma, parola che ha fatto le spese di troppo romanticume per conservar tuttavia qualche significato.

Niente da fare; non ti strani, non evadi, anche se fai lo sciopero della lettura, anche se scantoni alla svelta per non captare al vicino chiosco quel che t’urla all’orecchio lo strillone fantasioso, il quale non ha più nulla da inventare, tanto la realtà supera qualsivoglia fantasia. Basta che lo sguardo scorra le sgargianti mostre dove donnine succinte (quando s’accorgeranno che sono molto più interessanti decentemente vestite?) o truculente figure da tragedia vengono date in pasto alla morbosa curiosità del pubblico. Basta fermarti ai titoli della cronaca sempre più nera, che ha creato periodici d’ogni tipo e colore, dove tutto ciò che di più intimo e miserrimo c’è nella natura umana, vien messo a nudo brutalmente.

Ma non allarghiamo la visuale e limitiamoci ai delitti. Ecco una rapida elencazione dei «fattacci» di questi ultimi giorni:

— «Maria Fusco crede che il capitano Ring sia stato ucciso. La donna ha lasciato chiaramente comprendere che l’uccisione del capitano debba ritenersi legata a un affare di controspionaggio. Il Ring conduceva, infatti, vita misteriosa ed era continuamente in relazione con elementi della polizia inglese. Tutte le notti lasciava la casa quasi di nascosto: prendeva una gondola e vagava per la laguna».

— «Accertato dall’autopsia che l’abate è morto soffocato».

— «Lai Quadrini lo ha dannato — ha detto — il venerando avv. Marzi».

— «La tragedia del Veruno. Una lettera testamento trovata indosso all’assassino. È stata trovata una lettera nella quale Alessandro Sarò spiega le ragioni che lo hanno spinto ad uccidere la vedova, non avendo voluto questa mai corrispondere alle sue insistenti profferte d’amore. Nella lettera egli poi dispone dei suoi modesti beni e lascia alla moglie, con la quale non andava più d’accordo, la “stanza maledetta” come egli chiamava la camera nuziale».

— «Spara 10 revolverate perché non lo lasciano dormire».

— «Noleggiano un taxi, rapinano l’autista e lo lasciano mezzo morto sull’argine del Tevere».

Ed ecco la nota bellica autentica:

— «Ragazzo ucciso da una mina anticarro».

Poi la nota politica:

— «Nuova aggressione contro l’On. Matteotti» (già, si tratta proprio del figlio della vittima che da un quarto di secolo incombe sulla vita politica italiana. E tralasciamo le violenze dell’ultima battaglia elettorale culminate nell’assassinio di Gervasio Federici).

— «Strozza la moglie incinta di sette mesi perché è stanco della vita coniugale».

«Dulcis in fundo» il dramma di gelosia:

— «Un polacco ubriaco e cocainomane ferisce gravemente l’amante e uccide la figlia dodicenne a revolverate».

Ce n’è proprio per tutti i gusti... marci! E abbiamo volutamente escluso quelle orripilanti gazzette illustrate, specializzate nell’introspezione dei crimini, che in nome di una mostruosa libertà continuano a intossicare anime e cervelli. Significativo: il novanta per cento dei protagonisti di queste... brillanti avventure sono giovani dai diciotto ai trent’anni. E non parliamo dei violenti contro se stessi: i suicidi.

La guerra dunque continua: il suo seme maledetto trova il solco concimato da tutte le più immonde sozzure. Un lezzo di basse passioni, di sentina, di odio sale dalle strade malfamate.

Non ci sarà tregua d’armi finché c’è guerra nel cuore.

 

BENIGNO

16 novembre 1947

lunedì, giugno 16, 2025

Chesterton Day 2025

 

Qui trovate le registrazioni del Chesterton Day 2025 che si è svolto sabato 14 giugno presso la Central Catholic Library di Dublino

domenica, giugno 15, 2025

Quando si aspetta fuori …

NEROLA, nov. Al chilometro 47 della via Salaria, una belva (ma perché riabilitare certi uomini chiamandoli belve?) approfittando del viandante che chiedeva una mano per riparare la bicicletta, lo conduceva dentro casa e lo trucidava: a colpi di mazza e di coltello, proprio come accade al mattatoio. Poi seppelliva la vittima nell’orto attiguo, presenti in casa la moglie e i figli terrorizzati.

Il primo delitto — racconta la cronaca — avvenne il 5 luglio 1944. Tre uomini si dirigevano da Rieti verso Roma, ciascuno con una bicicletta a motore: erano Giovanni ed Amilcare Marchionni e un loro cognato, ravvicinato Pietro Monni. All’altezza del 47° chilometro della Salaria, il motorino del Monni si guastò. «Andate avanti: vi raggiungerò presto» disse l’avventurato ai due congiunti: e bussò alla casa del Picchioni, che gli offrì ospitalità per la notte. All’alba il mostro puntò il fucile contro la fronte dell’ospite che non si destò più.

L’altra vittima — Alessandro Daddi — un bel giovane pieno di vita, era partito da Roma nel maggio scorso con una bicicletta munita di motorino «cucciolo» per recarsi a Pontigliano a portar medicinali alla madre ammalata. Verso il 47° chilometro bucò e, sprovvisto di mastice, ne chiese alla casa più prossima. Mentre Ernesto Picchioni fingeva di frugare in un cassetto, Daddi si chinava sulla ruota, quando fu colpito violentemente al capo e s’accasciò. Consapevole della sua fine, implorava: «Prendi tutto quel che ho, ma non ammazzarmi!». La risposta fu un colpo di coltello alla gola. Un rantolo seguito da un tonfo; poi silenzio...

Cioè, silenzio tragico quella notte, ché la gazzarra è incominciata dal giorno della cattura della belva (chiamiamola così per riabilitare l’uomo) da parte di gazzettieri specializzati in cronaca nera. Quel che a noi interessa è la povera umanità che ha vissuto fino a ieri nel clima di tragedia: e non tanto la moglie Filomena Lucarelli (che se non dovrà proprio rispondere di correità, appare almeno succube) quanto il figlio quattordicenne Angelo, il quale ci è apparso non sappiamo se più stordito o indifferente, a volte smarrito in una timidezza arida, tal’altra colpito da una forma di ottusità che denuncia il germe dell’atavismo.

Non è infatti necessario risalire troppo per li rami per rintracciarvi un filo di sangue (pare che il nonno dell’Ernesto Picchioni abbia ucciso). Questa scialba figura di fanciullo precoce, che ha visto, che ha sentito, che ha respirato in quel clima, ci fa pensare; muove a pietà e sgomenta più degli altri personaggi, i quali possono facilmente difendersi dai virus maligni, come del resto la Lucarelli ha dimostrato. La tenerissima età dei figli minori è di per sé la difesa migliore. Sarà opportuno invece che su questo figlio primogenito dell’assassino, (che ha nome Angelo!) si eserciti particolarmente la sorveglianza in quel provvidenziale istituto di rieducazione che sta per accoglierlo. Considerazioni? Le ha già fatte — e da par suo — il corsivista dell’organo quotidiano, commentando alcune sintomatiche dichiarazioni del parroco di Nerola, il paese del Picchioni: «Ho amministrato la prima Comunione al due figli maggiori poco tempo fa. Lui li accompagnò fino alla chiesa e li aspettò fuori; quando uscii con i ragazzi, il Picchioni mi salutò e ringraziò».

Ecco il commento nella sua parte essenziale: «All’indomani dei crimini spaventosi di Nerola, all’indomani di quelli terrificanti del mondo, quanti sono e restano fuori di chiesa! Quanti incoerenti come l’assassino, vi accompagnano i figli e li aspettano fuori, ringraziando e salvando anime, in un modo ben sinistro; preparando la miscredenza e la rovina con l’esempio e nel clima d’una società che non crede».

Perfetto; perché è ormai dimostrato che, restando fuori di chiesa, si rischia di coltivare quel tale macabro orto: qui a Nerola e ovunque.

 

Benigno

9 novembre 1947

mercoledì, giugno 11, 2025

UN agency finally realises falling births a big problem

 


The United Nations Population Fund (UNFPA) has raised the alarm about falling fertility rates worldwide, highlighting the many barriers faced by people who want to have children.

In a new report, The Real Fertility Crisis, UNFPA argues that declining birth rates are not aways the result of diminished desire for children, but rather a lack of real choice, driven by economic pressures, gender inequality, and inadequate support for parenting. Yet the UN agency fails to acknowledge the significant role it played for decades in promoting anti-natalist policies.

The report, based on a survey across 14 countries, shows that nearly 20pc of adults will not have their desired number of children, most often due to financial insecurity, job instability, expensive housing, and unequal caregiving burdens. Respondents also cited fears related to climate change, economic instability, and future crises as discouraging factors.

While many governments are nowadays implementing pronatalist incentives, the UNFPA claims that such approaches are often ineffective and dangerous to “reproductive rights”. “Measures that may seem harmless, such as financial ‘incentives’ for larger or smaller families, can indirectly lead to constraints on reproductive choice by increasing men’s and women’s vulnerability to coercion from partners, families or in-laws”, the report claims.

Instead, it advocates expanding what it calls “reproductive agency” through supportive measures such as affordable housing, childcare, paid parental leave, accessible fertility treatments (IVF), and shared responsibilities among parents.

Although it is true that many couples have fewer children than they would like, and many individuals never find a partner or start a family, the report fails to acknowledge another important element in the decline of fertility rates: the damaging legacy of population control policies including the widespread promotion of abortion and sterilisation, policies historically central to the UNFPA’s mission.

UNFPA was founded on the belief that unchecked population growth, particularly in poorer nations, was a key driver of poverty and environmental degradation. It became the principal agency in the global population control movement and endorsed coercive reproductive policies, including China’s one-child programme and India’s mass sterilisation campaigns under Indira Gandhi.

Columbia University historian, Matthew Connelly, writes in his book Fatal Misconception:
“Poor countries were pressed to accept population programs and rich countries were expected to pay for them. A majority finally agreed to create a United Nations Fund for Population Activities. Lobbyists and UN officials worked behind the scenes to shield it from government oversight or at least ensure that it could funnel money to NGOs, which operated even more independently. When some states openly accused proponents of neocolonialism, powerful aid agencies like USAID and the World Bank convinced them to reconsider.” (p. 379)

After the 1994 Cairo Conference, the UNFPA rebranded its mission using the language of human rights, focusing on “reproductive rights”, as it can be notice also in this last report, but according to Connelly, the underlying agenda remained the same: controlling fertility, especially in the developing world.

In light of this history, UNFPA’s current concern about falling fertility appears deeply paradoxical. Having spent decades trying to reduce birth rates by targeting poorer populations, it now expresses alarm over the very consequences of those efforts.

domenica, giugno 08, 2025

Sinfonia d’Ognissanti

L’aria è già pregna di crisantemi, ma non pensi ai morti. Sai che per chi crede, la morte è soltanto apparente, e quelli che tu chiami «poveri» — i morti nella sua Grazia — son più vivi di quanti s’agitano per le strade del mondo, pieni d’ansia e d’inquietudine. E forse son Santi.

Fin dall’inizio la Chiesa consacrò un giorno dell’anno alla memoria dei suoi figli più illustri, morti per la fede. Ma il numero di questi crebbe a dismisura in seguito alle persecuzioni, talché non fu più possibile dedicare un giorno a ciascuno. Si pensò allora a una celebrazione comune.

Come risulta da alcune omelie di San Giovanni Crisostomo, la Chiesa antiochena fissò la festa alla prima domenica dopo Pentecoste. L’uso si generalizzò poi nelle Chiese orientali. Ebbe origine romana in Occidente. Fu papa Bonifacio IV che, ottenuto dall’imperatore romano Foca il pagano Pantheon, lo purificò, lo trasformò in Chiesa e lo dedicò a «Sancta Maria ad Martyres». Il 13 maggio del 609, giorno della consacrazione, divenne in Roma giorno della celebrazione di tutti i santi martiri.

Nel secolo successivo, nella basilica di San Pietro, Gregorio III consacrò un oratorio al Salvatore, alla Madonna e «a tutti gli apostoli, martiri, confessori, e a tutti i giusti perfetti morti per tutto l’orbe». Così fu costituita la festa di Ognissanti, che sotto Gregorio IV venne definitivamente fissata al primo novembre.

Questa celebrazione, cui fa seguito quella dei fedeli defunti, mette in azione il dogma ineffabile della comunione dei santi. Il sangue di Vita circola in questi giorni nelle vene della Chiesa madre. Chi sta ancora nel combattimento, e non sa come si concluderà, guarda a coloro che l’hanno preceduto — i fratelli beati — per essere sostenuto, per trovare nel loro esempio una norma di condotta e un motivo di speranza.

Rispondono i beati a tanta fiducia col patrocinio presso il trono di Dio. Domani, dal Purgatorio giungerà a noi e salirà fino ai beati un grido di soccorso; sarà la perfetta realizzazione del dogma consolatore. Noi celebriamo la gloria dei fratelli arrivati al Regno.

Terra e cielo sono in festa. I Santi, giunti in cielo da ogni parte dell’orbe, da ogni popolo e nazione, cantano le glorie eterne.

«In quei giorni — dice Giovanni nell’Apocalisse — vidi un altro Angelo che saliva da levante e teneva il sigillo di Dio vivo. E gridò ad alta voce ai quattro Angeli ai quali era stata data potestà di danneggiare la terra e il mare: Non danneggiate né la terra né il mare né le piante, finché non abbiamo messo l’impronta in fronte ai servitori del nostro Dio. E udii il numero di quelli che avevan ricevuto l’impronta del sigillo… Dopo queste cose vidi apparire una folla immensa che nessuno potea contare, d’ogni nazione, tribù, popolo e lingua, che stava in piè dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello. Indossavano tutti delle vesti bianche, tenean de’ rami di palma in mano ed esclamavano ad alta voce: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all’Agnello! E tutti gli Angeli stavano in piè, circondando il trono…».

Quello è il Regno, quella è la nostra Patria. Il cammino per giungervi è tracciato nel Vangelo delle beatitudini: distacco dai beni terreni, mansuetudine, sete di giustizia, amor di sofferenza, castità, letizia, carità. Questa via i beati l’han già percorsa. Non ci rimane che imitarli.

Non tristezza di crisantemi dunque, ma sinfonia d’Angeli, ma alito di gigli.

BENIGNO

2 novembre 1947

sabato, giugno 07, 2025

mercoledì, giugno 04, 2025

Introducing organ donation euthanasia

 

A new “soft opt-out” organ donation law will take effect from June 17th. Under this legislation, the State will be allowed to remove your organs upon death without your explicit consent, unless you registered a request to opt out.

When the law was still being debated, I argued that donation should arise only from an informed and deliberate decision on a person’s part. If consent is only presumed, organs will be taken from individuals who never agreed to it, simply because they failed to opt out.

However, there is a more disturbing trend emerging in countries where euthanasia is legal: the practice of harvesting organs from patients who have chosen “medical assistance in dying”. The convergence of opt-out organ donation systems with legalised euthanasia, as seen in the Netherlands, Belgium, and some provinces of Canada, sets a dangerous precedent. The line between patient care and organ procurement becomes perilously blurred.

While donation after euthanasia is already happening in those countries, doctors are now discussing harvesting organs before euthanasia patients are declared dead, in order to preserve organ viability.

They propose that organs be removed under general anaesthesia before the patient is declared dead, thereby maintaining continuous blood circulation and oxygenation to the organs until the moment of retrieval. This method could significantly improve the quality and quantity of organs available for transplantation.

The practice, known as “organ donation euthanasia,” represents a profound ethical breach. It violates the “dead donor rule”, the fundamental medical and moral principle stipulating that organs may only be taken from those who are already dead.

Proponents of this practice argue it is a triumph of autonomy: if a patient chooses euthanasia and also chooses to donate their organs, why should we deny them that choice?

But this logic is dangerously superficial and overlooks the subtle pressures that may influence such decisions. If and when euthanasia becomes normalised, an organ donation system can exert subtle but powerful pressure on the dying. They may feel an obligation to “give back” to society by allowing their organs to be removed from their bodies before they are finally euthanised. And the pressure to opt for euthanasia that bit sooner because your organs will benefit someone will that bit greater.

Even more disturbingly, doctors, many of whom are involved in both euthanasia and organ transplant programs, may, consciously or not, begin to view their patients through a utilitarian lens. The desire to save multiple lives through organ donation can bias physicians toward steering patients toward euthanasia, especially in emotionally charged or economically constrained health systems. What starts as compassionate care can mutate into a system where ending life is seen as medically efficient and socially beneficial.

Ireland must not embark on this perilous path. The combination of a soft opt-out organ donation regime with the potential legalisation of euthanasia is a recipe for abuse and moral pressure. Such a system opens the door to exploitation, particularly of vulnerable patients.

We must defend the foundational principles of medical ethics: that life has inherent dignity and that doctors must never become agents of death. Failing to do so risks transforming medicine into a cold calculation of utility, where the very sick are increasingly valued for the usefulness of their body parts.

domenica, giugno 01, 2025

Fuga dalla vita

Il suicidio di un giovane ventenne in uno dei nuovi bar di Milano (leggi tabarino) ha provocato una «lettera milanese» in cui si disserta sui locali ultramoderni e su quelli ottocenteschi della capitale lombarda.

Strana coincidenza. Mentre il giovane si uccideva nel nuovo locale di gran lusso (pare sia costato 38 milioni pochi mesi fa, e perciò ne costerebbe oggi 50), si iniziavano poco distante i lavori di demolizione di uno dei più vecchi bar milanesi, situato in un palazzo di stile veneziano a Largo San Babila, che chiunque sia stato a Milano ricorda.

Cinquant’anni, e anche meno, son bastati a sconvolgere i cervelli a tal segno che, al posto dell’indaffaratissimo personaggio frequentatore del vecchio bar di San Babila, ecco sulla scena il perdigiorno novecento, già stanco della vita a vent’anni, che, dopo una telefonata clandestina, si tira un colpo di rivoltella alla tempia. Prima aveva provato l’arma per assicurarsi che funzionava. Stile Novecento!

Che sia scomparso, con la demolizione del bar vecchio stile, anche quel bontempone trafelato che pigliava l’aperitivo in piedi, tra una corsa e l’altra? — si domanda preoccupatissimo il brillante cronista. E che, mentre il frequentatore dell’Ottocento e passa non aveva tempo da perdere, e ci teneva a mostrarlo, ce n’è tanto oggi di tempo da buttar via che ci si può togliere persino la vita per perderlo tutto di un colpo? Sta proprio tutta qui la differenza?

«Non bisogna essere pessimisti — commenta Orio — ma qualcosa se n’è andato che bisogna sostituire con qualcosa di simile».

Ecco, perfettamente; se n’è andata la fede nella vita, e non in questa vita soltanto. Niente, però, da sostituire; bisogna restituirla, la fede, semplicemente. E non è cosa da poco.

Quel personaggio che s’incontrava un po’ dappertutto, che non aveva tempo da perdere, che pigliava l’aperitivo in piedi, trafelato, e mentre il barista glielo mesceva trovava però due minuti per telefonare a casa; quel personaggio non è del tutto scomparso — grazie a Dio — anche se è ignorato dai più. È della mia generazione e, direi, della mia razza, tanto la generazione d’oggi sembra staccata dal nostro stesso sangue.

Oh, non è questo il solito nostalgico richiamo del tempo che fu, che si ripete sistematicamente di padre in figlio, fino a diventar di maniera! Questo rimpianto nasce dal profondo, s’inquadra in un mondo spirituale che gli uomini hanno rovesciato con gioia sadica, giorno per giorno, ora per ora, fino a sentire intorno a sé gelo e disperazione. L’aperitivo oggi si gusta seduti su certi trespoli da cicogne o negli angoli più remoti dove tutto riluce — specchi, tavoli, pareti, cristalli — fuorché i volti pallidi, ma non pensosi, fuorché gli occhi insonni di ben altra insonnia che fu per noi quella del fecondo studio. In quegli occhi già lontani, in quegli occhi senza sguardo che riveli una vita interiore, l’anima non c’è più, l’anima è morta. Ed allora è naturale che il corpo non le sopravviva. I fantasmi non hanno diritto di cittadinanza.

Taluno di quei personaggi «principio di secolo» ci accade ancora d’incontrarli, e non hanno più fretta perché la... verde età più non consente.

E sai dove? Solo davanti al Santissimo. Sono d’un’altra razza, vero? Di quelli che anche a vent’anni (quando non s’aveva la fortuna di possedere una cappelletta in famiglia) il primo saluto, voltato l’angolo, lo portavano in Chiesa.

— Buon giorno, Gesù!

E Gesù rispondeva — oh, se rispondeva!

- Ce ne accorgevamo appena fuori di Chiesa, che la strada s’illuminava tutta, anche col vento e col gelo, e i piedi intirizziti sembrava che avessero le ali.

— Buon giorno, Gesù!

Non s’aveva proprio tempo di pensare alla morte allora, perché già pensavamo alla Vita.

 

Benigno

26 ottobre 1947