Da tre anni e passa ci stiamo illudendo che la guerra è finita. Ce la diamo ad intendere come al malato grave si dà ad intendere che è prossima la guarigione, mentre di prossimo non c’è che la morte; ma della guerra scoppiata nei cuori, della guerra ancora e sempre in atto ci accorgiamo anche senza leggere le gazzette.
Gli
occhi di chi ci passa accanto hanno la stessa inquietudine di allora, quando ci
straziavano tremendi ordigni di distruzione: la stessa aria smarrita, la stessa
ansia dipinta nei volti, seppure temperata in taluni dall’ingordigia di vivere,
in altri dal desiderio di straniarsi dalla giornata mortale, di «evadere»
insomma, parola che ha fatto le spese di troppo romanticume per conservar
tuttavia qualche significato.
Niente
da fare; non ti strani, non evadi, anche se fai lo sciopero della lettura,
anche se scantoni alla svelta per non captare al vicino chiosco quel che t’urla
all’orecchio lo strillone fantasioso, il quale non ha più nulla da inventare,
tanto la realtà supera qualsivoglia fantasia. Basta che lo sguardo scorra le
sgargianti mostre dove donnine succinte (quando s’accorgeranno che sono molto
più interessanti decentemente vestite?) o truculente figure da tragedia vengono
date in pasto alla morbosa curiosità del pubblico. Basta fermarti ai titoli
della cronaca sempre più nera, che ha creato periodici d’ogni tipo e colore,
dove tutto ciò che di più intimo e miserrimo c’è nella natura umana, vien messo
a nudo brutalmente.
Ma
non allarghiamo la visuale e limitiamoci ai delitti. Ecco una rapida
elencazione dei «fattacci» di questi ultimi giorni:
—
«Maria Fusco crede che il capitano Ring sia stato ucciso. La donna ha lasciato
chiaramente comprendere che l’uccisione del capitano debba ritenersi legata a
un affare di controspionaggio. Il Ring conduceva, infatti, vita misteriosa ed
era continuamente in relazione con elementi della polizia inglese. Tutte le
notti lasciava la casa quasi di nascosto: prendeva una gondola e vagava per la
laguna».
—
«Accertato dall’autopsia che l’abate è morto soffocato».
—
«Lai Quadrini lo ha dannato — ha detto — il venerando avv. Marzi».
—
«La tragedia del Veruno. Una lettera testamento trovata indosso all’assassino.
È stata trovata una lettera nella quale Alessandro Sarò spiega le ragioni che
lo hanno spinto ad uccidere la vedova, non avendo voluto questa mai
corrispondere alle sue insistenti profferte d’amore. Nella lettera egli poi
dispone dei suoi modesti beni e lascia alla moglie, con la quale non andava più
d’accordo, la “stanza maledetta” come egli chiamava la camera nuziale».
—
«Spara 10 revolverate perché non lo lasciano dormire».
—
«Noleggiano un taxi, rapinano l’autista e lo lasciano mezzo morto sull’argine
del Tevere».
Ed
ecco la nota bellica autentica:
—
«Ragazzo ucciso da una mina anticarro».
Poi
la nota politica:
—
«Nuova aggressione contro l’On. Matteotti» (già, si tratta proprio del figlio
della vittima che da un quarto di secolo incombe sulla vita politica italiana.
E tralasciamo le violenze dell’ultima battaglia elettorale culminate
nell’assassinio di Gervasio Federici).
—
«Strozza la moglie incinta di sette mesi perché è stanco della vita coniugale».
«Dulcis
in fundo» il dramma di gelosia:
—
«Un polacco ubriaco e cocainomane ferisce gravemente l’amante e uccide la
figlia dodicenne a revolverate».
Ce
n’è proprio per tutti i gusti... marci! E abbiamo volutamente escluso quelle
orripilanti gazzette illustrate, specializzate nell’introspezione dei crimini,
che in nome di una mostruosa libertà continuano a intossicare anime e cervelli.
Significativo: il novanta per cento dei protagonisti di queste... brillanti
avventure sono giovani dai diciotto ai trent’anni. E non parliamo dei violenti
contro se stessi: i suicidi.
La
guerra dunque continua: il suo seme maledetto trova il solco concimato da tutte
le più immonde sozzure. Un lezzo di basse passioni, di sentina, di odio sale
dalle strade malfamate.
Non
ci sarà tregua d’armi finché c’è guerra nel cuore.
BENIGNO
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