L’aria è già pregna di crisantemi, ma non pensi ai morti. Sai che per chi crede, la morte è soltanto apparente, e quelli che tu chiami «poveri» — i morti nella sua Grazia — son più vivi di quanti s’agitano per le strade del mondo, pieni d’ansia e d’inquietudine. E forse son Santi.
Fin
dall’inizio la Chiesa consacrò un giorno dell’anno alla memoria dei suoi figli
più illustri, morti per la fede. Ma il numero di questi crebbe a dismisura in
seguito alle persecuzioni, talché non fu più possibile dedicare un giorno a
ciascuno. Si pensò allora a una celebrazione comune.
Come
risulta da alcune omelie di San Giovanni Crisostomo, la Chiesa antiochena fissò
la festa alla prima domenica dopo Pentecoste. L’uso si generalizzò poi nelle
Chiese orientali. Ebbe origine romana in Occidente. Fu papa Bonifacio IV che,
ottenuto dall’imperatore romano Foca il pagano Pantheon, lo purificò, lo
trasformò in Chiesa e lo dedicò a «Sancta Maria ad Martyres». Il 13 maggio del
609, giorno della consacrazione, divenne in Roma giorno della celebrazione di
tutti i santi martiri.
Nel
secolo successivo, nella basilica di San Pietro, Gregorio III consacrò un
oratorio al Salvatore, alla Madonna e «a tutti gli apostoli, martiri,
confessori, e a tutti i giusti perfetti morti per tutto l’orbe». Così fu
costituita la festa di Ognissanti, che sotto Gregorio IV venne definitivamente
fissata al primo novembre.
Questa
celebrazione, cui fa seguito quella dei fedeli defunti, mette in azione il
dogma ineffabile della comunione dei santi. Il sangue di Vita circola in questi
giorni nelle vene della Chiesa madre. Chi sta ancora nel combattimento, e non
sa come si concluderà, guarda a coloro che l’hanno preceduto — i fratelli beati
— per essere sostenuto, per trovare nel loro esempio una norma di condotta e un
motivo di speranza.
Rispondono
i beati a tanta fiducia col patrocinio presso il trono di Dio. Domani, dal
Purgatorio giungerà a noi e salirà fino ai beati un grido di soccorso; sarà la
perfetta realizzazione del dogma consolatore. Noi celebriamo la gloria dei
fratelli arrivati al Regno.
Terra
e cielo sono in festa. I Santi, giunti in cielo da ogni parte dell’orbe, da
ogni popolo e nazione, cantano le glorie eterne.
«In
quei giorni — dice Giovanni nell’Apocalisse — vidi un altro Angelo che saliva
da levante e teneva il sigillo di Dio vivo. E gridò ad alta voce ai quattro
Angeli ai quali era stata data potestà di danneggiare la terra e il mare: Non
danneggiate né la terra né il mare né le piante, finché non abbiamo messo
l’impronta in fronte ai servitori del nostro Dio. E udii il numero di quelli
che avevan ricevuto l’impronta del sigillo… Dopo queste cose vidi apparire una
folla immensa che nessuno potea contare, d’ogni nazione, tribù, popolo e
lingua, che stava in piè dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello. Indossavano
tutti delle vesti bianche, tenean de’ rami di palma in mano ed esclamavano ad
alta voce: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all’Agnello! E tutti
gli Angeli stavano in piè, circondando il trono…».
Quello
è il Regno, quella è la nostra Patria. Il cammino per giungervi è tracciato nel
Vangelo delle beatitudini: distacco dai beni terreni, mansuetudine, sete di
giustizia, amor di sofferenza, castità, letizia, carità. Questa via i beati
l’han già percorsa. Non ci rimane che imitarli.
Non
tristezza di crisantemi dunque, ma sinfonia d’Angeli, ma alito di gigli.
BENIGNO
2
novembre 1947
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