Arrivati all’età matura s’aspetta che qualcuno bussi alla porta da un momento all’altro.
«Purché
sia accompagnata — si pensa — tutto andrà bene».
Ma
sarà accompagnata se avremo preparato il bagaglio; il che significa aver fatto
la pace, prima con sé, poi con il prossimo. Allora la misteriosa visitatrice
può arrivare anche inavvertita. Non solo non fa paura, ma si aspetta che ci
passi la mano un po’ fredda sulla fronte come una madre, e magari ci aiuti lei
a portare il bagaglio fino alla presenza del Padre.
Matteo
non aveva mai pensato, in verità, che qualcuno potesse bussare alla porta di
casa per prelevarlo e portarselo via. Di prelevamenti aveva sentito parlare, ma
non potevano interessarlo, e tanto meno preoccuparlo, non essendosi mai
occupato di parte guelfa o ghibellina, di bianchi o di neri, di palleschi o di
piagnoni: perché per Matteo, uomo saggio e pensoso di tanti umani eventi,
fuorché dell’evento definitivo, tutto si riduceva, almeno nel suo povero paese,
a un ripetersi di cicli storici, e perciò di lotte intestine tra fazioni.
Soleva dire che la sua gente era troppo geniale e che la natura si ripagava
della genialità prodigata condannandola alla miseria. Convinto perciò che ogni
partecipazione alla lotta che non sia quella per il pane quotidiano si
risolvesse in perdita di tempo e di sangue, Matteo aveva imparato a guardare la
vita con occhi di esiliato. Può un esiliato interessarsi agli avvenimenti del paese
che l’ospita? Le folle per lui non erano che greggi allucinate, in perpetuo
cammino dietro un falso miraggio, greggi manovrate da pastori pensosi di un
solo problema: il proprio. Non s’accorgeva, però, che fuori del gregge non era
concesso neppure di partecipare della stessa vita, ché questa esclude o butta
ai margini i disertori.
Matteo,
uomo saggio, in fondo, e probo a modo suo, non aveva mai visto la Morte in
faccia. Gli avi erano scomparsi prima ch’egli venisse al mondo, e padre e madre
scoppiavano di salute. Non aveva altri parenti prossimi o remoti. Misantropo
per natura, egoista per elezione, non s’era mai accorto che la falce mieteva
intorno a lui di giorno in giorno. Non era mai entrato in un cimitero; non
aveva mai voluto seguire un corteo funebre. Se ne vedeva qualcuno da lontano,
cambiava strada. Si giustificava dicendo che una cosa è la vita, una cosa è la
morte e che della vita bisogna godersi i frutti più maturi, se no li colgono
gli altri a tue spese. Di conseguenza, Matteo era sempre di buon umore: un
esiliato, insomma, che avvicinava il prossimo solo per trarne vantaggio.
Quella
sera andava verso casa sorpreso da un’ansia mai provata. Sentiva nella testa e
nel sangue uno strano vago risentimento. All’angolo guardò: il portone era
chiuso a metà! Fece le scale di corsa, aprì la porta col gelo fra i capelli. La
vecchia madre gli venne incontro, lo baciò, lo condusse, gl’indicò la casa di
fronte.
—
È morto il Cav. Venuti. Bisognerà vegliarlo stanotte: sai, è stato sempre buono
con noi.
—
Sì, mamma, sì.
Nessuno
gli levò dalla testa che la «nemica» dei reprobi e degli indifferenti aveva
sbagliato porta; e quella notte stessa, dopo la veglia, cominciò a prepararsi
il bagaglio, cioè a fare l’esame di coscienza.
Fu
il primo richiamo; ma ne ebbe altri, Matteo, prima di partire da questo mondo.
E se li meritò con la consolidata fede. Nessuno di noi sa invece se, col
bagaglio in disordine, avremo tempo di raccomandarci l’anima al Padre; perché
tutte le ricchezze, le battaglie, le conquiste della vita, non valgono quella
semplice previdenza: tenere il bagaglio pronto.
Benigno
23
novembre 1947
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