domenica, giugno 29, 2025

Il bagaglio pronto

 Arrivati all’età matura s’aspetta che qualcuno bussi alla porta da un momento all’altro.

«Purché sia accompagnata — si pensa — tutto andrà bene».

Ma sarà accompagnata se avremo preparato il bagaglio; il che significa aver fatto la pace, prima con sé, poi con il prossimo. Allora la misteriosa visitatrice può arrivare anche inavvertita. Non solo non fa paura, ma si aspetta che ci passi la mano un po’ fredda sulla fronte come una madre, e magari ci aiuti lei a portare il bagaglio fino alla presenza del Padre.

Matteo non aveva mai pensato, in verità, che qualcuno potesse bussare alla porta di casa per prelevarlo e portarselo via. Di prelevamenti aveva sentito parlare, ma non potevano interessarlo, e tanto meno preoccuparlo, non essendosi mai occupato di parte guelfa o ghibellina, di bianchi o di neri, di palleschi o di piagnoni: perché per Matteo, uomo saggio e pensoso di tanti umani eventi, fuorché dell’evento definitivo, tutto si riduceva, almeno nel suo povero paese, a un ripetersi di cicli storici, e perciò di lotte intestine tra fazioni. Soleva dire che la sua gente era troppo geniale e che la natura si ripagava della genialità prodigata condannandola alla miseria. Convinto perciò che ogni partecipazione alla lotta che non sia quella per il pane quotidiano si risolvesse in perdita di tempo e di sangue, Matteo aveva imparato a guardare la vita con occhi di esiliato. Può un esiliato interessarsi agli avvenimenti del paese che l’ospita? Le folle per lui non erano che greggi allucinate, in perpetuo cammino dietro un falso miraggio, greggi manovrate da pastori pensosi di un solo problema: il proprio. Non s’accorgeva, però, che fuori del gregge non era concesso neppure di partecipare della stessa vita, ché questa esclude o butta ai margini i disertori.

Matteo, uomo saggio, in fondo, e probo a modo suo, non aveva mai visto la Morte in faccia. Gli avi erano scomparsi prima ch’egli venisse al mondo, e padre e madre scoppiavano di salute. Non aveva altri parenti prossimi o remoti. Misantropo per natura, egoista per elezione, non s’era mai accorto che la falce mieteva intorno a lui di giorno in giorno. Non era mai entrato in un cimitero; non aveva mai voluto seguire un corteo funebre. Se ne vedeva qualcuno da lontano, cambiava strada. Si giustificava dicendo che una cosa è la vita, una cosa è la morte e che della vita bisogna godersi i frutti più maturi, se no li colgono gli altri a tue spese. Di conseguenza, Matteo era sempre di buon umore: un esiliato, insomma, che avvicinava il prossimo solo per trarne vantaggio.

Quella sera andava verso casa sorpreso da un’ansia mai provata. Sentiva nella testa e nel sangue uno strano vago risentimento. All’angolo guardò: il portone era chiuso a metà! Fece le scale di corsa, aprì la porta col gelo fra i capelli. La vecchia madre gli venne incontro, lo baciò, lo condusse, gl’indicò la casa di fronte.

— È morto il Cav. Venuti. Bisognerà vegliarlo stanotte: sai, è stato sempre buono con noi.

— Sì, mamma, sì.

Nessuno gli levò dalla testa che la «nemica» dei reprobi e degli indifferenti aveva sbagliato porta; e quella notte stessa, dopo la veglia, cominciò a prepararsi il bagaglio, cioè a fare l’esame di coscienza.

Fu il primo richiamo; ma ne ebbe altri, Matteo, prima di partire da questo mondo. E se li meritò con la consolidata fede. Nessuno di noi sa invece se, col bagaglio in disordine, avremo tempo di raccomandarci l’anima al Padre; perché tutte le ricchezze, le battaglie, le conquiste della vita, non valgono quella semplice previdenza: tenere il bagaglio pronto.

Benigno

23 novembre 1947

 

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