Balthasar, la musica per cercare Dio
Di Elio Guerriero
Hans Urs von Balthasar nacque a Lucerna il 12 agosto 1905. Ricorre, dunque, in questi giorni il primo centenario della nascita dello scrittore cristiano più fecondo del secolo XX, che non solo ha indotto la teologia a un profondo ripensamento, ma con tutta la sua vita ha testimoniato la «santa inquietudine» di cui ha parlato papa Benedetto all'inizio del suo pontificato.
Come è noto von Balthasar non esordì con un'opera di teologia, bensì con uno scritto musicale «Lo sviluppo dell'idea musicale», nel quale il giovane autore reagiva con vigore alla visione romantica della musica, alla prevalenza del soggettivismo del direttore e dei musicisti sulla forma musicale. La musica è, per lui, «la forma che ci avvicina di più allo spirito, il velo più sottile che ci separa da lui… Esso è un punto limite dell'umano, e a questo limite comincia il divino». Questa impostazione, poi, è confermata non solo negli altri scritti musicali dell'autore, ma nel secondo grande interesse di von Balthasar: la letteratura. All'università, difatti, frequentata in una Vienna che doveva ancora riprendersi dalle ferite della Grande guerra, von Balthasar non studiò musica, «bensì germanistica e quanto vi appresi è ciò che più tardi posi al centro della mia opera teologica: la possibilità di vedere, valutare e interpretare una figura… Di questa attenzione alla figura io sono debitore a Goethe». (Dal ringraziamento per il conferimento del premio Mozart).
Cogliere la forma e figura, Gestalt, è un modo di comprendere la natura, il reale, afferrandone l'unità interna che esiste già e lo spirito dello scrittore, del pensatore è chiamato a scoprire non a inventare (idealismo tedesco). Naturalmente vi è una gerarchia delle forme per cui si passa dalla forma primordiale all'essere animato alla forma misteriosa dell'essere vivente. Però l'universo è cosmo, reca l'impronta lasciata da Dio nella creazione. Per questo la grande opera di critica letteraria che von Balthasar der ivò dalla sua tesi di dottorato in letteratura si chiama Apocalisse dell'anima tedesca: tre volumi nei quali il letterato che cominciava a porsi degli interrogativi filosofico-teologici si accosta ai principali scrittori di lingua tedesca interrogandoli sul senso ultimo delle cose, sulla concezione e il destino dell'uomo che non è solo una domanda per i tempi ultimi, ma è principalmente interrogativo sull'oggi, sulla concezione e la visione dell'uomo che nella letteratura tedesca dal 1400 al 1900 è una concezione eminentemente cristiana. Eppure l'ultimo volume, che esamina gli scrittori nella scia di Nietzsche porta il titolo di «Divinizzazione della morte». Von Balthasar non si lascia intimorire dal linguaggio onirico di chi aveva proclamato la morte di Dio. Come scriverà più tardi nel confronto con un altro scrittore tedesco, Reinhold Schneider, la fede nella resurrezione permette al cristiano come a nessun altro di guardare dentro le fauci della morte. Solo che la fede non può essere ridotta a illusione o vaga promessa, ma è certezza che fa rinascere la vita proprio là dove la morte sembra celebrare i suoi trionfi. E siamo all'interesse teologico di von Balthasar che prese vigore e forma nel terzo e quarto decennio del secolo XX dall'incontro e dal dialogo con alcuni dei grandi teologi e uomini di Chiesa del secolo XX. Durante lo studio della letteratura, a Berlino poté seguire i corsi di Romano Guardini traendone sostegno e conferma per la sua tesi. A Monaco conobbe Erich Przywara che gli trasmise l'amore per Agostino ma anche il frutto dei suoi ostici e fondamentali studi sull'analogia entis, a Lione gli fu amico e maestro De Lubac che gli dischiuse l'orizzonte dei padri, sostenitori di un «cristianesimo che ancora pensa rivolto agli spazi illimitati delle genti e che ha ancora la speranza della salvezza del mondo». Approdato a Basilea, alla vigilia della seconda guerra mondiale, von Balthasar fu ulteriormente confermato in questo orizzon te di speranza universale da due altre figure decisive per il suo pensiero e la sua vita: il teologo evangelico Karl Barth che aveva osato sfidare Calvino sostenendo che Gesù non è una risposta dal doppio esito bensì il sì di Dio al mondo e la dottoressa Adrienne von Speyr. Con i suoi doni mistici, con la partecipazione alle sofferenze di Cristo durante il triduo pasquale, in particolare la discesa agli inferi al sabato santo, Adrienne schiudeva al teologo una strada nuova, la strada della chenosi, la via della spoliazione e della sofferenza che non ha altro fondamento se non la generosità assolutamente gratuita, originaria e sorgiva di Dio stesso. A questo punto von Balthasar aveva trovato quello che egli chiama il Grundakkord, l'accordo fondamentale che come il basso continuo dell'organo ritorna in tutte le sue opere e che ha trovato la sua esposizione più completa e articolata nella trilogia di Gloria, Teodrammatica e Teologica.
Dio è amore. Di conseguenza egli non se ne sta chiuso in se, ma si dà a vedere ed entra in relazione prima con il Figlio nella Trinità santa, poi con la creatura (i sette volumi di Gloria). Dio è amore. Egli corre, allora, il rischio di donarsi completamente al Figlio, di dar vita ad una creatura libera alla quale offre un patto sulla scena del mondo. È l'origine del dramma al quale Dio stesso nel Figlio pone rimedio nella chenosi eterna e nella chenosi di incarnazione, morte e discesa agli inferi (i cinque volumi della Teodrammatica). Dio è amore. Il cosmo e la stessa creatura razionale non sono inganno o apparenza illusoria ma recano traccia e presenza dello Spirito di Dio, lo Spirito di verità e di amore (i tre volumi della teologica).
In Paradosso e mistero della Chiesa, a conclusione di un'appassionata testimonianza a favore dell'amico, Henri de Lubac riportava divertito il giudizio di un visitatore francese che aveva da poco conosciuto von Balthasar. Diceva l'anonimo visitatore: «Mi sembrava di p asseggiare con un padre della Chiesa finito tra gli elvezi».
Vorrei concludere con questa immagine scherzosa ricordando che gli elvezi in questione siamo un po' tutti noi che solo a fatica abbiamo percepito la grandezza della sua opera. Come, peraltro, von Balthasar ripeteva con insistenza essa non postula solamente una intelligenza della mente ma è appello al cuore, è invito alla pienezza della vocazione cristiana, perché non si tratta della nostra bravura ma della chiamata di Dio nell'amore.
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