Come si pone oggi il rapporto tra valori della sinistra italiana e quelli che ispirano il pensiero cattolico riformatore? Si va verso uno scarto che si allarga o è possibile una sintesi comune? Così Aldo Schiavone, che su «Repubblica» del 10 luglio ("Se la sinistra incontra il pensiero cattolico") porta due esempi di possibile incontro: la critica all'ordine capitalistico e il nesso tra etica e politica che coinvolge i diritti umani.
Sotto il primo aspetto egli osserva giustamente che la Chiesa tiene aperta una finestra, poiché il suo discorso non è economico, ma etico e, aggiungerei, antropologico. Essa sostiene una morale universale di liberazione umana che si basa su un'antropologia della dignità di ogni uomo. Proposta liberante ed antropologia fanno tutt'uno, e la chiave centrale sta più nell'antropologia che nell'etica. Occorre riprendere una valutazione discernente del mercato che non è la panacea di tutti i mali, come intendono i liberisti duri; e rilanciare le esigenze della giustizia internazionale, che si sono da tempo enormemente rilassate e che sembra quasi solo la Chiesa a tenere deste. Saremo in grado di riportare attenzione in Italia, in specie nella sinistra, su tali aspetti?
Ne dubito perché è in corso un ricentramento intorno alle questioni etiche, bioetiche, esistenziali, più che su quelle socioeconomiche, che hanno dominato a lungo. In brevi anni l'attenzione si è ricollocata non più su temi economico-sociali ma sull'individualismo libertario e la concezione della legge civile, cui si chiede di riconoscere quasi ogni comportamento. Uno spostamento imponente nella sinistra culturale e politica, dove l'attenzione per il "fai da te", l'ammissibilità di quasi ogni stile di vita, l'autodeterminazione elevata a criterio supremo hanno sostituito precedenti riferimenti. Siamo entrati in un forte soggettivismo morale per cui si ha diritto di fare tutto ciò che si vuole col solo limite di non danneggiare l'altro (ma chi è l'altro? Questa domanda è decisiva). Nella sinistra è accaduto un duplice cambio: a) per la giustizia economica ha adottato moduli di taglio liberale sul mercato, il lavoro e la sua flessibilità con un forte richiamo al contrattualismo, lasciandosi alle spalle i paradigmi solidaristici e collettivistici di vicina o lontana ascendenza marxista; b) sui temi eticamente e antropologicamente sensibili netto è il ricorso a schemi libertari, che privilegiano soluzioni soggettivistiche o anche seccamente utilitaristiche.
Una parola - ma il tema merita ben altro - sui diritti umani che certo sono universali come ricorda Schiavone. Il problema emergente che li riguarda non sta però a questo livello. Risiede in una loro interpretazione oltranzista che lascia da parte la visione dignitaristica e segue una lettura libertaria. Da tempo si tratta la Dichiarazione del 1948 come una lista da cui si può scegliere a piacere i diritti che meglio fanno al caso nostro, ossia alla battaglia cui ci siamo votati, privilegiando nettamente i diritti di libertà. Ne è seguito un esito sconcertante: agenzie culturali, mediatiche e politiche hanno creato un insieme di frammenti iperlibertari strappati con forza dal tessuto unitario della Dichiarazione universale, e portati all'assoluto impiegando come clava il criterio di uguaglianza e di quello di non-discriminazione, invocati per far passare ogni genere di presunti diritti. Un'operazione che comporta la lesione di reali e non presunti diritti della persona e dei gruppi.
Vittorio Possenti
Avvenire, 11 luglio 2006.
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