domenica, maggio 17, 2020

Mater semper certa. Perché l’essere umano non è una pera

Mater semper certa. Perché l’essere umano non è una

Uso l’espressione “utero in affitto” invece di “surrogazione di maternità” perché rende esplicita la transazione commerciale. Mi oppongo alla retorica del “dono d’amore” e tutte le espressioni liriche, rispettose, sentimentali, inventate e diffuse dalle lobby delle industrie biotecnologiche, mentre si tratta di affittare, vendere, comprare, fare profitto. Una sorta di pinkwashing del linguaggio che mira a rendere accettabile e persino etico cancellare la madre e ridurre il suo corpo e il suo neonato a merci. Questa mistificazione nasconde una realtà brutale: essere affittate capita principalmente alle donne povere e/o di paesi poveri, e a loro arriva ben poco denaro perché il vero guadagno va alle agenzie.

La Conferenza dell’Aia ha stimato che il 50 per cento delle surroganti è analfabeta e accetta inconsapevolmente o su pressione degli uomini di famiglia che vogliono quei soldi. Ammassate con altre in grandi locali per risparmiare su dottori e strumenti diagnostici, nutrite e medicalizzate come mai in vita loro, quando infine il neonato viene portato via talvolta impazziscono, come raccontano le ong per i diritti umani, e spesso non vengono più riammesse nei villaggi. Non è possibile tenere una creatura dentro, metterla al mondo e poi vedersela portare via per sempre senza soffrire. Non si tratta di ragioni culturali - si è sostenuta persino questa - ma umane: la chimica ormonale che favorisce l’attaccamento tra madre e bambino, e poi la montata lattea, ovvero la sopravvivenza della specie. È proprio questo legame, fondante della vita stessa, a essere negato. Tutti i contratti di surrogacy dettagliano al millimetro quello che le mamme non possono fare, pena una multa: toccarsi la pancia, per esempio. Mangiare come d’abitudine. Avere rapporti sessuali. Tenere in braccio gli altri figli. Giocare con il gatto. Scegliere come partorire. 


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