venerdì, aprile 04, 2003

Di alcuni non si conoscono neppure i nomi. Si sa invece che Stephen Fank, marine di stanza in California, e' il primo soldato americano a rifiutarsi di combattere in Iraq. Verra' processato in questi giorni: "E' una guerra immorale e ingiusta", ha dichiarato ad un giornale della sua citta'.
Dei due giovani militari di stanza nella caserma della sedicesima brigata d'assalto aerea a Colchester, in Essex, Gran Bretagna, invece non sono stati fatti i nomi. Sappiamo che si trovano in caserma in questo momento. Sono tornati da dove erano partiti a febbraio. Il viaggio che avevano affrontato allora li aveva portati nel Golfo, in Kuwait. Il ritorno e' stato piu' rapido del previsto. I due giovani militari infatti hanno deciso che non avrebbero combattuto la guerra che i loro superiori gli stavano raccontando.
Una decisione difficile, resa ancora piu' complessa dalla natura dei rapporti e dalla struttura gerarchica dell'esercito. Rapporti in cui sono le regole e la disciplina a vincere e in cui la solitudine e' spesso la condizione piu' frequente. Dove a disobbedire si paga un prezzo altissimo. E dove la solidarieta' (intesa come comprensione dei dubbi e delle paure) e' spesso considerata sinonimo di debolezza e quindi estranea all'immagine di forza che deve essere proiettata all'esterno. In questo contesto e' maturata
la decisione dei due militari, che sappiamo essere un tecnico areonautico e un soldato semplice. La sedicesima brigata d'assalto e' un'unita' di prima linea e dall'inizio della guerra e' impegnata in pesanti combattimenti nel sud dell'Iraq. La notizia del rimpatrio dei due soldati obiettori e' stata tenuta segreta per settimane e quando finalmente e' riuscita a sfondare le maglie fittissime degli ambienti militari e' stata liquidata dal ministero della difesa come "un caso di rientro" per motivi non meglio identificati.
Del resto il governo new Labour e' attentissimo a non lasciar trapelare il minimo segnale di disagio tra le forze armate. Sforzi che non gli stanno riuscendo molto bene.
Le dichiarazioni rese alla stampa dai giovani militari scampati miracolosamente al "fuoco amico" statunitense hanno creato non pochi imbarazzi sia all'establishment militare che a quello politico. "Un cowboy senza scrupoli e senza il minimo rispetto per la vita umana", e' stato definito il pilota Usa che ha sparato sul convoglio di tank britannici uccidendo un militare e ferendone diversi altri. A gettare benzina sul fuoco ci si e' messo poi l'ex ministro degli esteri Robin Cook che ha lasciato il governo e domenica scorsa ha chiesto a Blair di ritirare i soldati prima che sia troppo tardi. Dichiarazioni che l'ex ministro ha poi cercato di mitigare ma il cui effetto e' stato "dinamite
pura", come suggerisce l'avvocato dei due militari rispediti nell'Essex, Gilbert Blades.
Delle biografie dei due giovani refuseniks che difende non dice molto ("perche' per il momento e' meglio cosi'"). Racconta pero' che i due, una volta nel Golfo, hanno espresso seri dubbi sulla legittimita' di una guerra che non ha avuto il sostegno delle Nazioni Unite. Hanno detto di non voler partecipare ad operazioni che chiaramente avrebbero provocato la morte di civili e hanno espresso riserve sulla moralita' stessa di questo conflitto. "Non appena hanno esposto questi loro dubbi - ci dice l'avvocato Blades - i due sono stati riportati in Gran Bretagna. E' evidente che il ministero della difesa vuole sopprimere questo genere di commenti e scelte per impedire che trovino sostegno presso altri militari. Anche prima che cominciasse la guerra, dichiarazioni di deputati e ministri contro la guerra, l'opposizione in parlamento e presso l'opinione pubblica, sono state viste con preoccupazione dal ministero della difesa che vorrebbe rimuovere qualunque giudizio e commento che potrebbe influenzare le truppe". Il
problema ora e' stabilire che cosa succedera' ai due militari che hanno disobbedito agli ordini. "Siamo in una societa' civilizzata - dice con una punta di ironia l'avvocato - e quindi sono certo che nessuno pensa all'esecuzione dei dissidenti. Al momento si trovano al loro posto e il ministero della difesa non li ha ne' accusati formalmente di nulla, ne' arrestati. Ma non e' ancora chiaro che cosa ne sara' di loro".
Nonostante la pesante censura sui media, prima che il conflitto cominciasse, qualcosa del mood, dello stato d'animo delle truppe era emerso. Erano stati in molti i soldati che avevano espresso preoccupazione per il fatto che nel paese non ci fosse tutto questo sostegno per la guerra. "Sarei sorpreso - dice l'avvocato Blades - se i refuseniks fossero soltanto questi due soldati. Penso che ci siano molti militari che hanno le stesse opinioni, gli stessi dubbi, ma che ancora non l'hanno detto pubblicamente. I militari rappresentano una fetta non marginale dell'opinione pubblica di questo paese e, ci dicono i sondaggi, la maggioranza della gente non e' d'accordo con
questa guerra".

Il Manifesto, 2 Aprile 2003

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