Della vecchia Dc si puo' dire tutto il male che si vuole: camorristi a Palermo, ladroni a Roma - ma come politica estera, bisogna lasciarli stare. D'un paese che aveva fatto sette guerre in un secolo, era riuscita a fare una potenza pacifica rispettata da tutti. Di una nazione non grandissima, sconfitta in guerra, famosa per giri di valzer e tradimenti, uno dei tre pilastri su cui sorgeva l'Europa. L'Italia non e' sempre stata il paese dei telefonini: c'e' stato un momento in cui eravamo una specie d'Iraq bombardato, con le macerie al nord e la fame nera al sud. "Italian fascists", ci chiamavano, o - i piu' benevoli - "macaroni'" o "mandolini".
La prima volta che questa Italia ando' all'estero, a un dibattito pubblico europeo, il nostro rappresentante era un signore occhialuto alto e magro, abiti decorosi, sorriso raro. Attraverso' la sala - quando tocco' a lui prendere la parola - fra sguardi compassionevoli e sorrisini. "Mr Digaspery of Aitaly!". "So bene - comincio' - che tutto in questa sala, esclusa la vostra personale cortesia, ci e' contro. Ma noi italiani...". E parlo'. Parlo' dell'Italia povera ma coraggiosa, delle guerre subite e della pace sperata, delle macerie che gia' - senza aspettare nessuno - stavamo rimuovendo. Parlava sempre piu'
piano, eppero' ascoltato da tutti, perche' il silenzio era grande, mentre - per bocca del suo leader - nella sala passavano le sofferenze e i meriti, gli errori e i doni di tutto un popolo. Che ritornava adesso a parlare - dopo un buio di tanti anni - con tutti gli altri: senza piu' imporre niente a nessuno, senza piu' imperi, ma con una sua profonda civilissima dignita'.
Infine De Gasperi tacque, raccolse lentamente le carte e si avvio' per uscire: al suo passaggio, tutti i delegati - americani, francesi, inglesi, canadesi e tutti gli altri - si alzavano l'un dopo l'altro in piedi, in segno di rispetto; dietro di lui usci' la piccola delegazione italiana, composta da democristiani, liberali, azionisti, socialisti e comunisti. Da quel momento l'Italia torno' ad essere un paese d'Europa. Insieme - ed alla pari - con i francesi e i tedeschi fu anzi la prima a dire che bisognava unire l'Europa.
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E ora, nel momento in cui finalmente l'Europa cresce economicamente e fa politica, fa fronte all'impero impazzito, prepara forze armate comuni - nel momento in cui, dal punto di vista nazionale, c'era da raccogliere il frutto di cinquant'anni di semina coerente e faticosa - ecco che arriva un brianzolo qualunque e strilla: "Tenetevi la vostra Europa, scemi! Noi vogliamo essere 'mmericani!". Gli altri naturalmente lo guardano con un sorriso gentile, e si dividono tranquillamente la parte nostra. Vabbe'. D'altronde, non sanno nemmeno se gli abbiamo mandato una persona onesta o un ladro a rappresentarci fra loro; abbiamo fatto una legge apposta per abolire ogni possibilita' di saperlo e loro educatamente "Ah si'? Beh, se da voi si usa cosi'...".
Riccardo Orioles
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