Quando dico che è ormai di fatale necessità che ciascuno di noi prenda posizione contro gli orrori che devastano la Terra e preparano altri spaventosi conflitti e terrorismi, so bene di suscitare le frustrazioni di chi è convinto di non contare nulla nelle decisioni dei governanti, di chi sente di trovarsi di fronte allo strapotere del grande Capitale e, ancor più amaramente, di chi ricorda il fallimento di una propria esperienza nei partiti, nei sindacati, nelle espressioni di "base". Tutto ciò è dolorosamente vero, e però, io credo, non ci esime dal dovere di custodire in noi la dignità del coraggio e dell'indignazione. Questi due sentimenti,
diceva un grande pensatore, Agostino di Ippona, sono figli della verità: chi contempla la ferocia dei Potenti sui poveri non può, se crede nella dignità dell'uomo, non sentire dentro se stesso bruciare una ribellione che lo spinge a intervenire; e poiché questo sentimento risponde alla logica dell'amore esso è inevitabilmente sostenuto dalla volontà di non tradirne le conseguenze. Dunque un passato deludente, o peggio, non può giustificare una diserzione: o accettiamo di farci minimi ma reali protagonisti del nostro tempo o siamo poveri rottami portati via da una corrente fangosa. Dobbiamo provare e riprovare, ancora, creare aggregazioni o dare il nostro contributo a quelle già esistenti.
Sembra a me di capire che (altro magnifico segno di speranza) molta e molta gente, in questi giorni più che in altre occasioni, stia comprendendo questa realtà.
La moltiplicazione quasi irruente, di manifestazioni di solidarietà con le due volontarie italiane pare indicare questa preziosa novità. Se la partecipazione popolare ai funerali dei soldati morti a Nassiriya travalicò la retorica dei generali e di cardinali come Ruini fu perché gli italiani sono sempre stati abituati a considerare i nostri militari come "poveri figli di mamma". Grandi furono anche le manifestazioni per il rilascio dei vigilantes italiani: molti, anche fra quelli che non condividevano le loro scelte "professionali" -ed anzi le disapprovavano - colsero lo strazio delle famiglie e vollero esprimere pietà e vicinanza. Ma nel caso di Simona Pari e di Simona Torretta non è solo la pietà a radunarci in loro favore: è
che chiunque sa che l'amore è più potente dell'odio e comunque ben più vicino alle ragioni della vita, nonostante ogni diffidenza per la politica e ogni paura di compromettersi si sente toccato nei suoi sentimenti migliori e coglie tutta l'assurdità delle guerre, la loto forza disgregatrice di ogni sentimento; e del conflitto da Bush contro l'Iraq coglie la mostruosa ipocrisia e la devastazione di un popolo che si pretende di salvare.
Forse il movimento per la pace non è mai stato così forte nel nostro Paese; e se è bene che gli esponenti dei partiti di opposizione salgano le scale di palazzo Chigi per mostrare all'opinione pubblica internazionale l'unità del popolo italiano nel richiedere l'incolumità e la liberazione delle due Simona, è necessario che i leaders di quei partiti non consentano equivoci sul ripudio della guerra irachena e delle strategie "preventive", quasi che queste scelte passassero in secondo piano in un momento di crisi così dolorosa e di consapevolezza così lucida.
Momento, anche, di orgoglio. Il movimento per la pace è stato spesso accusato di preferire le retrovie all'eroismo militare: Ma le due Simona erano assai più esposte ai rischi dei soldati superarmati: e servivano la pace molto più dei soldati inviati dal governo italiano agli ordini degli occupanti britannici. La vicenda di "Un ponte per " dovrebbe ridurre al silenzio chi in ogni occasione ha cercato di offendere i valori del movimento per la pace. Berlusconi - ricordate? - dileggiava Gino Strada che sotto i bombardamenti dell'Afganistan denunziava la crudeltà e l'inutilità
della guerra. "E' un uomo dalle idee confuse" assicurava con un sorriso sardonico. Lui, invece, ha idee chiarissime. Speriamo che piacciano sempre meno agli
italiani.
Ettore Masina
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