Domani saranno passati esattamente 25 anni dalla morte di Marshall McLuhan, scomparso a Toronto il 31 dicembre del 1980: un tempo breve per la storia, ma certamente sufficiente a valutare l'impatto di un sistema di pensiero che ebbe da subito un grande successo popolare fin quasi alla parodia: ricordiamo per esempio la sua comparsa, nel ruolo di se stesso, professore che nessuno capisce, nel film «Io e Annie» di Woody Allen. Bisogna aggiungere che i libri fondamentali di McLuhan, «La galassia Gutenberg» e «Understanding media» (incongruamente tradotto in italiano come «Gli strumenti del comunicare») sono rispettivamente del 1962 e del 1964, proprio su quello spartiacque storico che separa la nostra società consumistica, globalizzata, plasmata dai mezzi elettronici, in una parola "postmoderna", dal titanismo "moderno" della prima metà del Novecento, dominato dai grandi conflitti ideologici, dai totalitarismi, dallo scontro delle masse. Di questa "rivoluzione elettronica" McLuhan fu il primo e il più importante profeta, anche in anticipo sui tempi effettivi del suo sviluppo. Il fondamento teorico delle sue posizioni sta in un determinismo tecnologico (rappresentato in maniera particolarmente efficace e popolare dallo slogan "Il mezzo è il messaggio"), che McLuhan riprese dal suo maestro Harold Innis (1894-1952), canadese anch'egli e storico dell'economia e dal grande teorico dell'urbanesimo Lewis Mumford (1895-1990). Secondo questa teoria, la molla principale del cambiamento sociale sarebbe data dall'evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione. Così vi sarebbe stata un'epoca "mitica" prima dell'invenzione della scrittura alfabetica, poi questo sviluppo avrebbe provocato le grandi innovazioni della grecità e della romanità, dal teatro alla filosofia al diritto. Molto più tardi, nel XVI secolo, l'affermazione della stampa avrebbe determinato lo sviluppo della scienza, della tecnologia e della moderna società capitalistica. A metà del Novecento, secondo McLuhan, quest'epoca sarebbe finita e noi, soprattutto grazie alla televisione, ci troveremmo di nuovo immersi nella densa prossimità di un "villaggio globale". Tutti coloro che oggi parlano a favore o contro la "globalizzazione" non si rendono probabilmente conto di dovere proprio a McLuhan il concetto e perfino la parola. Altri autori, in parte suoi allievi come il gesuita storico dell'oralità e della scrittura Walter Ong (1912-2003) si sarebbero assunti il compito a volte non facile di motivare adeguatamente la periodizzazione di McLuhan. I suoi allievi più noti oggi, come Joshua Meyrowitz e Derrick de Kerckhove, hanno sviluppato le sue intuizioni in questa direzione, mostrando quanto i nostri "paesaggi mentali" siano influenzati dal sistema dei media disponibili e così la nostra percezione sociale, la rappresentazione che ci facciamo di noi stessi e del mondo. In generale, McLuhan ha avuto il grandissimo merito di attirare l'attenzione del mondo della comunicazione, di farci capire che i mezzi di comunicazione di massa non erano solo strumenti tecnici interessanti solo per gli ingegneri e gli imbonitori, ma meccanismi di produzione di senso e di articolazione sociale. Solo Roland Barthes ha avuto intuizioni altrettanto precoci e decisive sull'importanza della comunicazione nel mondo contemporaneo.
Ugo Volli
Avvenire, 30/12/2005
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