giovedì, settembre 26, 2002
Il fondatore di Emergency, l'associazione che ha lanciato un appello contro l'intervento in Iraq, spiega le sue ragioni
Perché non esistono le guerre necessarie
di GINO STRADA
Caro direttore, ieri Miriam Mafai scriveva su La Repubblica: "E tuttavia c'è qualcosa che non mi convince in quell'appello, che io non firmerò". L'appello in questione è quello di Emergency, "Fuori l'Italia dalla guerra" (www.emergency.it). Sarebbe utile discuterne a fondo, prima di passare alle "dichiarazioni di firma", perché Miriam Mafai, per la quale ho stima e rispetto, espone ragioni molto serie e opinioni diffuse sulla guerra e sulla pace. "Non mi convince il pacifismo assoluto, di tipo ideologico che lo ispira".
Non credo sia così, almeno per quanto riguarda Emergency: la scelta della non violenza e della pace deriva, al contrario, dall'aver avuto a che fare, negli otto anni di vita della associazione, con più di trecentomila vittime di guerra che abbiamo operato, curato, conosciuto. Non dall'ideologia, ma dal vedere sui tavoli operatori dei nostri ospedali migliaia di esseri umani straziati da bombe e mine il trenta per cento bambini - nasce il nostro rifiuto e disgusto per la guerra. Siamo convinti, perché lo vediamo ogni giorno, che le vittime siano la prima e forse l'unica verità della guerra, e che l'alternarsi di governi e dittatori ne siano soltanto, questi sì, effetti collaterali.
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"La libertà di cui godiamo è nata dal bagno di sangue che si è consumato attorno a Stalingrado e sulle spiagge di Normandia", ha scritto Miriam Mafai. È vero, è andata così. Ma è indispensabile che quel bagno di sangue non si ripeta, perché ci lascia molto amaro in bocca, per usare un eufemismo, una libertà conquistata e goduta al prezzo di milioni di morti.
Il mondo non è più lo stesso dopo l'11 settembre, si sente ripetere da molte parti. Il mondo e la guerra sono cambiati ben prima. Il 6 agosto 1945, il fungo atomico su Hiroshima ha fatto svanire centomila esseri umani in un minuto e ne ha uccisi molti di più nei decenni successivi. E' stato allora, nello stesso periodo in cui in Europa le città venivano rase al suolo dai bombardamenti e si consumava l'Olocausto, che il mondo e la guerra sono cambiati per sempre.
Per quanto mi sforzi di trovare altre parole per definire quel momento, una sola mi ritorna in mente, mi pare adeguata: terrorismo. Da allora, tutte le guerre hanno assunto sempre più un carattere terrorista. Tremila esseri umani, tra le macerie del World Trade Center, hanno tragicamente sperimentato un atto di terrore. Prima di loro, altri milioni di esseri umani per il 90 per cento civili ne avevano sperimentati altri, ciascuno il suo.
Chi è stato bombardato, chi bruciato dal napalm o soffocato dai gas, chi è finito nei gulag o nei campi di sterminio, chi è stato fatto a pezzi da un'autobomba e chi è sparito senza lasciare traccia. Nella lista infinita delle vittime del terrorismo ci sono anche lo capiamo bene, se pensiamo a loro come se fossero figli nostri anche le centinaia di migliaia di bambini iracheni uccisi dall'embargo nell'ultimo decennio. Il negare loro la possibilità di essere curati non permettendo l'arrivo di medicinali è stato, ne siamo convinti, un atto di terrorismo.
"Non mi convince in primo luogo il discorso di che mette sullo stesso piano Bin Laden e Bush". Mi sembra una semplificazione ad effetto, e nulla ha a che vedere con il testo dell'appello di Emergency. Ma forse è il caso di fare una precisazione. Resto convinto che le vittime, cioè gli esseri umani morti e mutilati, non si possano dividere in cittadini di prima e di seconda categoria. Credo che un bambino che sparisce nelle Torri Gemelle valga quanto un bambino afgano che resta ucciso sotto le bombe. Non vale di meno, ma neanche di più. E siccome quei bambini mi interessano, entrambi, ho anche la stessa opinione su chi li ha fatti fuori, l'uno e l'altro.
"Un pacifismo assoluto (...) se può essere proposto come valore da uomini di Chiesa, può non reggere alla dura prova della politica". Questo, mi sembra, è un altro punto importante della discussione. Mi verrebbe da dire, da laico quale sono, che forse è proprio il fatto che i valori e l'etica siano andati da una parte e la politica da tutt'altra, la causa prima del mondo ingiusto e violento che è davanti ai nostri occhi, un mondo dove per molti è "11 settembre" tutto l'anno.
La tesi della "guerra necessaria" per porre fine a feroci dittature è anche la critica più comune al movimento per la pace. Anche di ciò si dovrebbe discutere a lungo. Può darsi che il movimento per la pace non sia in grado di far cadere un dittatore, ma una cosa è assolutamente certa, che il movimento per la pace non ne ha mai creati né aiutati ad imporsi con armi e fiumi di denaro. Mi piacerebbe, e non credo di essere il solo, che ci fosse un ampio dibattito su questi temi, ed è una della ragioni dell'appello di Emergency e delle iniziative che prenderemo nei prossimi mesi.
Senza dimenticare tuttavia, quando si scrive di "guerre necessarie" e si fanno paralleli storici, che ci troviamo una nuova guerra all'orizzonte, oggi, contro l'Iraq. E che la nuova guerra, più che di libertà, ha una maledetta puzza di petrolio.
L'autore è il fondatore dell'associazione umanitaria Emergency
(Repubblica 26 settembre 2002)
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