C'è un nesso tra ragazze di Cambridge e cover girl di Play Boy.
Per la prima volta nella storia, quest'anno le matricole donne della prestigiosa Università di Cambridge (Inghilterra) hanno superato per numero le matricole uomini». Così il Times di Londra del 23 dicembre 2002. La notizia non è di quelle che provocano reazioni nei giornali italiani, chessoio come se uno parlasse di questioni fondamentali quali la lotta tra gli ascolti di Morandi e De Filippi al sabato sera. Tanto è vero che, per quel che ne sappiamo, nessuno l'ha pubblicata. E, invece, -mi permetto di suggerire- qualche importanza il dato di Cambridge ce l'ha. Se non altro perché conferma quanto dovremmo sapere tutti: il divario economico e di status tra maschi e femmine, che tuttora persiste anche nel mondo industriale avanzato, non è dovuto a differenze di capacità tra i generi sessuali. Semmai, è dovuto, come rivelano inequivocamente le statistiche, agli oneri per la costituzione della famiglia, alla nascita dei figli e al lavoro di cura non retribuito. I test di Cambridge sono sufficientemente seri, imparziali e affidabili, proprio perciò in grado di smantellare un luogo comune, che resiste dai tempi di Aristotele: quello per cui le donne avrebbero minore capacità di astrazione rispetto agli uomini.
I giornali italiani, invece, riportano una notizia pure centrata sulle donne, che proviene dal Nord America. Una equipe internazionale di ricercatori dell'Università canadese di York e di quella austriaca di Vienna - sulla cui serietà e competenza non abbiamo per la verità sufficienti informazioni - avrebbe trovato le prove di un cambiamento significativo nelle misure femminili delle cover girl presenti tra il 1953 e il 2001 sulle copertine di giornali patinati per soli uomini. Giornali del tipo di Play Boy, per intenderci. Le misure di queste moderne dee della bellezza sarebbero, infatti, mutate a tal punto da far ritenere plausibile un vero e proprio cambiamento paradigmatico del canone estetico tradizionale. Le donne in questione avrebbero - secondo i profondi accademici dei due lati dell'Atlantico - sensibilmente meno tette ed esporrebbero natiche dalla convessità meno pronunciata. In sostanza, sarebbe tramontata la famosa forma "a clessidra" e le curve delle cover girl sarebbero tutte assai più simili a quelle dei loro colleghi maschi. Una sorta di androginia costituirebbe, in sostanza, la formula idonea per comprendere il mutamento paradigmatico del non più eterno femminino.
Il sospetto - come avrete già compreso - è che possa esserci un qualche rapporto tra le due notizie qui sopra riprese. E che, in altre parole, la oramai conquistata parità intellettuale possa essere pagata con qualche perdita complessiva in termini di femminilità. Sappiamo bene che quest'ultima non si misura in termini di culi e tette. Tuttavia, molti studiosi di scienze sociali sarebbero disposti ad accettare la tesi secondo cui la differenza tra i generi diminuisce ai nostri giorni secondo vari parametri. E che non solo le donne somigliano più agli uomini, ma anche questi somigliano più alle donne. Volendo radicalizzare, così, si potrebbe sostenere la tesi secondo cui - fino a quando il mondo che conosciamo non cambi più di quel che per ora siamo in grado di capire - quanto più troviamo segni di emancipazione femminile tanto più rintracciamo anche perdite di differenza tra i sessi. La domanda, come avrete intuito, è: trattasi di incubo metafisico o di progresso da incoraggiare?
Il Riformista 28/12/2002
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