Tonnellate di emotività per sopraffare le ragioni ragionanti
Marina Corradi
Madri sorridenti coi loro figli nati sani grazie alla selezione pre-impianto degli embrioni. Penosi pellegrinaggi all'estero, perché solo oltreconfine si può ormai ottenere queste diagnosi, e scegliere, fra i diversi embrioni ottenuti in provetta, quello sano, scartando i talassemici, i Down e gli altri - insomma, gli imperfetti. L'altra sera su Raitre «Report» ha fatto abbondantemente leva sull'emotività nell'appellarsi agli italiani contro la legge sulla fecondazione assistita, quando - non a caso - sta per scadere il termine per la raccolta di firme necessarie per i referendum totalmente o parzialmente abrogativi. Mentre più tardi sulla stessa rete il confronto fra Daniele Capezzone e Carlo Casini si appiattiva, anche grazie alla conduzione, sulle posizioni radicali, là dove prima si era lavorato sulle emozioni, che è la strategia comunicativa più immediata. Quei bei bambini che, con questa legge "crudele", non sarebbero nati, o che sarebbero nati sani nelle proporzioni dettate dalle leggi dell'ereditarietà - in vece loro al mondo i fratelli malati e scartati che, nella discussione sul "diritto al figlio sano", paiono del tutto invisibili, come se davvero fossero un nulla.
È possibile che programmi allestiti come quella puntata di «Report» muovano l'opinione pubblica. Davanti alla felicità di una donna con un figlio così a lungo voluto in braccio, a un figlio libero da una malattia che inseguiva da generazioni una famiglia, è difficile non essere colti da un dubbio, non capirne almeno in parte le ragioni.
E tuttavia una ragione seria c'è, oltre naturalmente a quella afferente alla dignità di ogni embrione, per escludere la possibilità di selezione fra perfetti e imperfetti. E la ragione sta nelle inarrestabili capacità della genetica di individuare già a livello embrionale non solo le vere e proprie malattie ereditarie, ma anche la predisposizione a sviluppare certe gravi patologie. Questa "lettura" diventa ogni giorno più praticabile. Un esempio: pochi mesi fa in Gran Bretagna un istituto di ricerca ha chiesto l'autorizzazione alla sperimentazione di una nuova selezione genetica. Si tratta di individuare, fra gli embrioni di sesso femminile, i portatori di un gene responsabile di un particolare tipo di precoce cancro al seno. Il gene non necessariamente sviluppa la malattia, tuttavia l'ipotesi di lavoro è di eliminare, ad ogni buon conto, gli embrioni portatori. Dunque, già si comincia a scartare chi può sviluppare precocemente un cancro. Con le conoscenze di cui si disporrà fra dieci o vent'anni, e il principio che il "diritto al figlio sano" - scritto dove, e su quale Carta? - è acquisito, nessuna diga etica vieterebbe di spostarsi oltre, e poi in avanti ancora.
Nel 1962 il premio Nobel Francis Crick, uno degli scopritori del Dna, scrisse: «Che nessun neonato un giorno debba aspettare, per essere riconosciuto umano, d'avere superato un certo numero d'esami sulla sua dotazione genetica... E che, non superando questi test, non perda il diritto alla vita». Dove forse Crick potrebbe essersi sbagliato in un punto: il test, in un futuro che speriamo di non vedere, potrebbe venire fatto "prima". E allora finalmente nascerebbero solo i giusti, i belli e i sani di mente. Solo splendidi bambini figli di splendide mamme che non sopportano di veder soffrire figli sbagliati. E il prezzo? si chiedeva l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere l'altro giorno. Beh, Dostoevskij, Van Gogh, Beethoven, Kierkegaard, quelli così tutti eliminati a priori, insieme agli altri, i deboli, i matti, gli imperfetti.
Viene in mente Emmanuel Mounier: «Dio passa attraverso le ferite». Ma non tolleriamo più di vedere alcuna ferita, e in ogni modo, dall'inizio alla morte, cerchiamo di garantirci un'illusoria libertà dal dolore. Un sospetto: nell'ansia di eliminare ogni "imperfezione", non si taglierà via alla fine la stessa nostra vita?
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