Heidegger a Modena
La rivolta dei filosofi mostra la vera faccia del Festival, gita enogastronomica con rimorchio
I filosofi in rivolta che annunciano le dimissioni dal Festival di Modena sembrano tante modelle capricciose che fanno le bizze prima di una sfilata. In realtà le modelle sono molto disciplinate e non oserebbero mandare all’aria un défilé, che è una cosa assai seria. Invece Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Fernando Savater, Giancarlo Marramao, Piergiorgio Odifreddi, Enrico Ghezzi e molti altri, tutti chiamati filosofi come nella canzone di Ivano Fossati (“Oggi chiamano filosofi se stessi/ gli insegnanti di filosofia”) hanno pensato di sabotare il Festival di Filosofia, di non sfilare pensosi in passerella avvolti in qualche filosofica sciarpa, con le sudate carte dentro una shopping bag di stoffa con la scritta: Festival, di cui vengono omaggiati anche i turisti. E’ la protesta contro il cambio della responsabile scientifica: la faccenda è anche politica e riguarda il Partito democratico, la cultura, le spese pazze (i filosofi evidentemente costano e, come Madonna, pretendono petali di rosa sul pavimento della suite, latte di soia sempre fresco, nessuna illuminazione dall’alto e divani bianchi per concentrarsi meglio). Ma un festival non può essere una cosa così super seria (Festival di Sanremo, Festival della Porchetta, Festival della Biodiversità, Festival della Chitarra, Festival della Canzone Sarda), i filosofi da festival dovrebbero saperlo: si va, si chiacchiera, si mangia, se si ha un libro da presentare è meglio, le studentesse fanno le hostess della fiera, le signore anziane chiedono di Kant e vogliono un autografo di Cacciari e di Galimberti, i tortelli alle erbette diventano cucina filosofica e lo gnocco fritto si trasforma nell’immaginario enciclopedico, gli alberghi organizzano visite guidate alle acetaie dove viene prodotto il famosissimo aceto balsamico di Modena, per quattro euro l’organizzazione offre un pasto “sobrio e filosofico” detto razione.
I festival sono fatti per rimorchiare più che per creare nuove fondamentali critiche della ragion pura. Non che i filosofi debbano passare il tempo a ingobbirsi, rovinarsi gli occhi, sudare in solitudine sui libri e siano esclusi ontologicamente dal rimorchio: in un saggio appena uscito per Longanesi, “Hannah Arendt e Martin Heidegger. Storia di un amore”, di Antonia Grunenberg, è dimostrato che la filosofia crea scintille, soprattutto tra studentessa talentuosa e avida di conoscenza e professore sposato e carismatico. Ma insomma, loro due non facevano ospitate ai festival: si scrivevano lettere, si incontravano in Germania, davano scandalo anche col pensiero. Tutto scorre: ora è giusto che i filosofi prendano sul serio imprescindibili questioni amministrative legate a gite enogastronomiche.
di Annalena Benini
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