In un saggio pubblicato ieri 11 Aprile sul "Corriere della Sera", Giuliano Amato accusa di dogmatismo i difensori della legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. Secondo l’ex premier coloro che si oppongono ai referendum rifiutano il dialogo arroccandosi in una difesa dogmatica, che trascurerebbe dati di evidenza scientifica dai quali si dovrebbe desumere che nei primi giorni successivi all’unione dei gameti maschile e femminile non si ha ancora un embrione, cioè una vita umana, ma solo un fenomeno diverso (ovocita, ootide, ecc.), su cui sarebbe pertanto legittimo sperimentare.
A questo autorevole intervento si possono opporre almeno tre obiezioni.
In primo luogo l’accusa di dogmatismo e di scarsa disponibilità al dialogo, rivolta ai difensori della legge n. 40, sembra davvero un po’ fuori dal mondo, in quanto tralascia del tutto di prendere posizione sugli argomenti utilizzati dai promotori dei referendum. Purtroppo per mesi abbiamo assistito a strilli e cinguettii dei radicali e delle femministe diessine che hanno usato i seguenti epiteti nei confronti della legge n. 40: "oscurantista", "crudele" ("cruel and unusual", per i più colti), "nemica delle donne", "clericale", per citare solamente i primi che vengono alla mente. Solo per le leggi razziali si sono usati epiteti più accesi. E questo non solo nel linguaggio di politici di ben nota profondità argomentativa come Alfonso Pecoraro Scanio e Alessandra Mussolini, ma anche in letteratura pseudoscientifica (ha letto l’onorevole Amato gli articoli di Paolo Veronesi su "Quaderni costituzionali" e di Michela Manetti su "Politica del Diritto"?).
Dunque, anche ammesso che da parte dei difensori della legge vi siano talvolta toni fermi o netti, ciò dipende in primo luogo dai termini in cui la questione è stata (da altri) impostata e in secondo luogo dal ricorso allo strumento referendario, il quale, come è noto, non favorisce certo le mediazioni ed irrigidisce le contrapposizioni. Non è questa, purtroppo, l’ora della problematicità, ma quella delle scelte. E proprio l’astensione nel referendum è la via più indicata da un lato per dire un fermo no al modo poco civile in cui i promotori hanno impostato la campagna referendaria e dall’altro per non chiudere la porta ad una prosecuzione della riflessione sulla legge, se il quorum non scatterà ed essa resterà in vigore.
Detto ciò sul metodo del confronto, è bene passare al merito. Amato evoca una letteratura americana dalla quale si desumerebbe una discontinuità nel processo di formazione dell’embrione, cui conseguirebbe l’esigenza di un trattamento differenziato del cosiddetto preembrione. Su questo punto è bene ripetere quanto si è già detto, anche perchè Amato non supera l’argomentazione già proposta. E’ sicuramente controverso dal punto di vista scientifico se il processo di formazione dell’embrione sia continuo o meno e ciò è argomento di discussione fra gli scienziati. Tuttavia non sembra si possa affermare che sulla "discontinuità" nell’evoluzione dell’ovulo fecondato vi sia nella comunità scientifica quell’accordo unanime o quantomeno quella larga maggioranza che renderebbe legittimo il paragone con il caso Galileo, incautamente proposto da Amato. Ove tale dimostrazione vi fosse, occorrerebbe - è il suo ragionamento - rivedere la tesi della intangibilità del "prodotto del concepimento" sin dall’inizio. Ma in un ordinamento ispirato al favor vitae spetta ai sostenitori della discontinuità fornire tale prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Mentre il dubbio permane - e questa è oggi l’unica certezza, niente affatto dogmatica, però - è più ragionevole optare per la tutela di quella che appare vita umana. Tanto più che il valore da limitare - la libertà di ricerca - non può essere inteso come assoluto, anche considerato che i vantaggi dell’utilizzazione delle cellule staminali embrionali non sono del tutto certi, né paiono mancare le alternative.
Su un punto, poi, l’articolo di Amato contiene addirittura un errore. Nella foga di criticare una delle disposizioni più controverse della legge (quella che limita a tre il numero massimo di embrioni da produrre e da impiantare in ciascun ciclo di fecondazione assistita), l’ex premier intende il numero di tre come un numero "rigido" vincolante in ogni caso per il medico. Ebbene tale rigidità esiste nel massimo (e ciò desta qualche perplessità, per il vincolo eccessivo rispetto alle esigenze del caso singolo e all’autonomia del medico), ma non nel minimo, come Amato sembra credere.
Ancora una volta si imputa ad una legge non certo perfetta un difetto che non presenta. Dovremo abituarci a questa e ad altre piccole menzogne, da qui al 12 giugno...
Marco Olivetti
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