La notizia è di quelle che zittiscono il nostro disordinato rumore quotidiano: polemiche, risposte, dichiarazioni, denunce, provvedimenti, leggi del taglione, ogni episodio di cronaca scatena un fiotto di parole inarrestabile e ribollente che infine ci imprigiona in una sorta di impotenza. Tre giorni, e tutto è come prima. Da Besano, 2400 anime, provincia di Varese, la signora Elisa Meggiorin, madre di Claudio, 23 anni, il barista ucciso a coltellate da un ragazzo albanese mentre cercava di sedare una rissa, ha detto che vuole adottare un bambino albanese. A distanza, per ora, e poi se è possibile vorrebbe portarselo a casa. A neanche due settimane dalla sera in cui l'hanno chiamata per dirle: signora, suo figlio è morto, l'hanno ucciso; neanche due settimane dopo averlo visto inerte sull'asfalto, quel suo ragazzo, la signora Elisa vuole prendersi in casa un bambino albanese. Albanese come il giovane assassino.
Silenzio: ogni polemica, e strumentalizzazione, e marcia, e proclama, e disegno di legge, anche il migliore, non può che tacere davanti a un gesto come questo. Non è politica, cioè arte di vivere nella polis, dare e ricevere per il bene comune, ma gratuità assoluta. E alla gratuità siamo poco abituati - la gratuità spiazza e ammutolisce. Se poi viene da una donna che ha appena perso un figlio in quel modo, in una stupida rissa, nel vibrare di una lama nella mano di un ragazzo perso nell'ira, quella gratuità ci confonde. Un bambino? Albanese? Con gli stessi occhi scuri, lo stesso accento di quell'altro, uno che per tutta la vita, crescendo, ti ricorderà il destino di tuo figlio finito d'improvviso una sera d'estate, davanti a un bar?
La scelta della signora Elisa è decifrabile solo in una chiave, senza nessuna retorica, profondamente materna. Di una madre che, davanti al colpo più duro, non si arrende al la morte e ricomincia a dare vita. Un bambino albanese è ciò che le è stato suggerito da una sorta di genio femminile e materno: ricominciare, e perdonare assieme. La gente attorno vede e resta a guardare. Non c'è bisogno di alcuna parola.
Questa donna di un piccolo paese lombardo, piccola, minuta, ai funerali del figlio s'era messa alla testa degli ultrà, fra i quali qualcuno minacciava sfasci contro gli extracomunitari, intimando: "Se volevate bene a Claudio, state buoni". E quelli, giganti nerboruti, le hanno obbedito. La Lega soffiava sul fuoco: cacciamo i clandestini. La signora Elisa, zitta, non una parola. Ora parla, per annunciare una fondazione col nome del figlio, dedicata ai bambini extracomunitari in Italia. E pensa a adottare il suo ragazzino albanese. Quanto più forte lei di chi grida: cacciateli tutti.
E' la sbalorditiva forza della gratuità - che, certo, esorbita dalla politica. Ma quando ne vedi un barlume, lascia senza fiato. Com'è possibile? E come mai mentre i più minacciano o si chiudono in casa o se ne infischiano, quella donna invece...? E' capace di gratuità chi è grato di ciò che ha ricevuto. Dalla gratitudine per ciò che si è avuto può partire una generosità che non misura. Forse sull'asfalto di Besano davanti al figlio morto una donna ha affrontato il suo strazio, e i venticinque anni vissuti con lui, indietro, fino al giorno della nascita. Quanto, di amore. E in quella gratitudine più forte del dolore, ha immaginato un bambino.
Marina Corradi
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