Qualche settimana fa ho scambiato un po' di idee con Luigi Puddu a proposito non tanto del Concilio ma su quanto ne è seguito ed ora, passata l'ondata referendaria, vorrei tornare sulla questione.
Tutto è cominciato da un malinteso, su wxre, nei commenti a questo post, io avevo ricordato polemicamente come Ratzinger avesse contrastato i lefevriani. Luigi pensava mi stessi riferendo a lui. Subito ci siamo chiariti e mi ha scritto:
Carissimo Angelo,
respiro! ..., il rilievo di sospetto lefevrismo non può lasciare indifferente.
È vero, considero il post-concilio epoca gravida di degenerazioni, ma sono le stesse che Papa Wojtyla e il card. Ratzinger hanno individuato e condannato in questi anni (e non credo che la Dominus Jesus o la Redemptionis Sacramentum siano state scritte per la FSSPX).
Ciò che mi preme però evidenziare è che io non mi tiro fuori.
Sono anche colpe mie e di altri, con cui siamo obbligati a fare i conti ogni giorno.
Fenomenologicamente, nella mia esperienza posso individuare il primo punto critico nell’idea che dal 1963 in poi la Chiesa fosse ontologicamente cambiata, con una netta cesura col passato.
Di qui il pensiero conseguente che la verità della fede consistesse non nelle permanenze, ma solo nell’aggiornamento-mutamento, che la kenosi non fosse la via per la Risurrezione, ma fosse un (luciferino?) processo infinito di continua auto-spoliazione, comportante la perfetta mondanizzazione (nella linea radicale) o la continua mediazione (nella linea meno estremista) in sempre più aggiornati valori secondi.
Ma chi era il Mediatore?
Questa domanda è stata per me come un invito a aderire alla realtà (Cristo), senza tentazioni o tentativi utopistici di ricrearla o ideologici di cristallizzarla.
Ma se la tentazione ideologica non ha mai attecchito (e come avrebbe potuto, quando l’esito sarebbe stato un triste settarismo, in cui la Chiesa è solo quella passata?), quella utopistica (protestantica, autocefala, tipo “NOI siamo chiesa”) influiva.
Ideologia e utopia, forme diverse di perenne eresia …
Nel 1978 in molti abbiamo sentito l’invito ineludibile ad “aprire le porte a Cristo”.
E a distanza di anni ho riconosciuto in qualcuno, dato per “nemico”, il sigillo dell’illuminato dallo Spirito (“la presenza è la persona”, diceva in primo luogo ai suoi).
Così come tanti ho dovuto imparare nuovamente – non perché i papi di prima non lo sapessero o dicessero, ma perché in tanti lo davamo come presupposto psicanaliticamente “da rimuovere” – l’unicità e universalità di Cristo, il radicamento della morale nella sua Persona, il carattere trinitario della nostra Tradizione, il carisma petrino per la conferma permanente della fede … e, contro ogni idea di cesura, il principio dell’organica evoluzione del sentire ecclesiale.
Questo non poteva non portarmi a molte riconsiderazioni autocritiche (decisiva fu la lettura - in senso antiprogressista e antitradizionalista! – della “Festa della Fede” del card. Ratzinger) su come in tanti abbiamo vissuto il Concilio.
E veniamo al mio post.
Il coraggio missionario di Papa Wojtyla e la ferma difesa della dottrina cattolica - cum Petro e sub Petro - del card. Ratzinger (ma non è coraggio missionario anche questo?) li abbiamo avuti come un dono dall’alto in questi ultimi venti e più anni.
Oggi chi vede la Chiesa più come matrigna che come madre (una cum la stampa dei padroni del vapore) temo voglia tentare con lo slogan “Benedetto XVI, diverso da Ratzinger, diverso da Wojtyla” una nuova opera di autodemolizione.
Che passa proprio, osserva bene, attraverso l’individuazione di una cesura.
Non posso che chiedere, e promettere, preghiera e vigilanza.
In Xsto
Luigi Puddu (24.9.57)
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