giovedì, aprile 10, 2025

Pilato e Don Abbondio

I due personaggi stanno bene insieme perché, in fondo, «se ne lavano le mani». Ma Don Abbondio, qualche rischio lo affronta: l’ira di Renzo, che doveva attendersi scoppiasse un brutto giorno, quando il giovanotto si fosse accorto d’essere stato gabbato. L’altro invece — Pilato — ha qualcosa di ripugnante, che ben giustifica il perpetuarsi del suo gesto nel tempo, volgarizzato a eterna sua dannazione.

Il cattivo prete, dinanzi a Federico che lo tempesta di colpi — come soltanto i santi sanno fare — si scorda di essere al cospetto di un principe della Chiesa ed esplode in quelle parole che rivelano tutta la sua pavida natura: «Gli è perché le ho viste io quelle facce!»

Il dramma di quell’anima è tutto qui. Don Abbondio, badate, è un povero curato campagnolo che ama, magari, il buon bicchiere, il letto caldo e il caminetto rovente: faccia piena, passo cauto, animo mite. Lontano, lontanissimo dalla santità — d’accordo, tanto che non riesce a comprendere Federico — ma, alla fin fine, senza quella disavventura, sarebbe riuscito un prete mediocre (accidenti ai signori e ai loro capricci!). Tanto è umano lo sfogo di Don Abbondio, che Federico è quasi costretto a far macchina indietro e a domandarsi: «Già, cosa avrei fatto io al suo posto?»

Porsi, all’incirca, questo interrogativo è — se non giustificare — compatire l’altro. Pilato sa di aver a che fare col Figlio di Dio, e lo baratta con Barabba. Scade di fronte a sé stesso e al popolo, nell’investitura ricevuta da Cesare e da Dio. Per paura di Cesare, condanna a morte il suo Dio. Tanto è sicuro della divinità del Cristo, che sul patibolo scrive: «Gesù di Nazaret, Re dei Giudei», e resiste ai gran sacerdoti che protestano: «Devi scrivere: Costui ha detto: “sono re dei Giudei”»

Solo allora Pilato ritorna autoritario e risponde: «Quanto ho scritto, ho scritto», quasi a farsi perdonare il sangue versato, il consentito delitto, l’abominevole assassinio che l’inchioderà per sempre alla gogna, insieme ai tanti — ai troppi — seguaci, con un martello ben più pesante di quello della Croce.

Auro d’Alba

16 marzo 1947

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