Un relitto di tabacco caduto tra i relitti di pellicole ha provocato una strage: ventinove creature umane trasformate in torce viventi. Per pochi, terribili minuti hanno continuato a consumarsi, a bruciare tutto di sé: venti, trenta, quarant'anni di vita cancellati in un attimo, con le loro speranze e le loro delusioni, le gioie, gli affetti, i dolori, le aspirazioni, i sogni — tutti bruciati vivi.
Quando la casa era ormai un rogo, e orribili ustioni
straziavano le povere carni, qualcuno ha tentato di salvarsi aggrappandosi
disperatamente alle grondaie, ai cornicioni, ai davanzali. Ma è precipitato
sulla strada, in fiamme.
Scene terrificanti — che la mente umana non riesce a
contenere, tanto la realtà supera la fantasia — si sono svolte attorno alla
casa maledetta, nell’obitorio dove, sul freddo marmo, erano allineate le salme
carbonizzate, e negli ospedali dove venivano accolti i superstiti.
Alle grida di terrore, al panico, agli atti di eroismo, alla
disperazione, è subentrato il silenzio. Ma un silenzio pesante come un incubo.
Qualcuno ha parlato di supremo avvertimento.
Il giorno luminoso dell’Ascensione è trascorso quanto mai
triste. Solo una pausa di respiro: quando le campane, da San Pietro a San
Giovanni, hanno suonato a distesa per annunciare al mondo che la Chiesa di
Cristo ha un nuovo Santo.
Poi, alla sera, il popolo è salito sui colli, sulle
terrazze, alle finestre alte, per cogliere il riflesso di una certezza eterna:
nella visione incomparabile della cupola michelangiolesca illuminata a giorno.
Avvertimento? Ma perché pochi hanno pagato per tutti, se
tutti siamo colpevoli d’aver ridotto la terra a un immenso mattatoio, dove
perfino gli agnelli aspirano a diventar lupi come i lupi?
Domande cominciano a trovare, qua e là, una risposta
precisa, inesorabile. Eppure, consolatrice.
Intanto, dalle salme straziate si è levato un monito che i
superstiti hanno raccolto, affratellati — come non accadeva da tempo
immemorabile — da un dolore comune, acerbo. Dal Sommo Pontefice al più umile
cittadino, enti, istituti, associazioni e privati si stringono in nobile gara
intorno alle famiglie delle vittime. Vittime benedette, che hanno saputo
ridestare sentimenti che parevano inariditi nei cuori devastati dall’odio. È
come una schiarita di cielo sulle coltri funebri, un respiro ampio di
solidarietà umana che avvolge chi soffre.
È la pietas romana che rifiorisce, raccogliendo
frutti d’amore per infiorare le tombe precoci di chi ci ha soltanto preceduto. Perché
noi non crediamo alla morte. Noi crediamo alla Vita.
Benigno
25 maggio 1947
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