domenica, aprile 13, 2025

Signore, si fa sera!

«La cattolicità è una nota essenziale della vera Chiesa, e nessuno può dirsi partecipe o devoto alla Chiesa se non partecipa e non è devoto alla sua universalità, cioè al tuo radicarsi e fiorire dappertutto sulla terra. Quei due laici, come il sacerdote loro guida, non trovavano riposo, al solo pensiero che milioni di uomini non conoscevano ancora Cristo. Beati quei tre! Le loro ossa riposano ora insieme, custodite nel reliquiario naturale della collina verdeggiante che s’innalza dolcemente dal fiume dei Mohawks, fluente placido e dolce.»

Il brano è tratto dal radiomessaggio pontificio per i protomartiri del Nord America, e lo riportiamo qui per tre motivi di alta spiritualità: 1.) L’universalità della Chiesa ha un respiro così vasto che tutte le umane ideologie appaiono meschine al suo confronto. 2.) Il richiamo alla vera essenza della cristianità, che è quella di non avere pace, se davvero fedeli alla Croce, finché sulla terra vi sia un’anima che non conosce Cristo. 3.) Il profumo di poesia che emana da queste parole apostoliche, espresse con il tono delle più alate Scritture del Libro eterno.

Giorno certamente verrà in cui le pagine più belle e ispirate dei successori di Pietro saranno raccolte e andranno ad arricchire la serie che compone quel libro senza tempo.

* *

Durante la nostra giornata affannosa, ci capita spesso di ricordare i discepoli di Emmaus e il cammino percorso insieme, mentre Gesù — viandante sconosciuto — spiegava loro le Scritture: «E come furono vicini al villaggio dove si recavano, Egli fece finta di andare oltre.
Ma essi lo trattennero dicendo: “Rimani con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto.” Ed entrò con loro. E avvenne che, messosi a tavola, prese il pane, lo benedisse e lo spezzò. Allora si aprirono loro gli occhi, e lo riconobbero.»

Lo riconobbero da quel gesto: era il Maestro. Colui che, nell’ultima Cena, prima del Sacrificio, spezzò il pane e alzò il calice, istituendo il sacramento ineffabile dell’Eucaristia. Affinché, tornando Egli al Padre, l’uomo che tanto amò, per cui diede la vita non si sentisse più solo nelle tentazioni e nelle sofferenze.

Anche a noi accade, ingannati dalle apparenze, di sentirci soli. Anche a noi capita di gridare nel buio: «Signore, rimani con noi, si fa sera!»

E non pensiamo che i discepoli di Emmaus ne avessero meno diritto di noi, loro che avevano conosciuto personalmente Gesù e ascoltato le sue parole.

Noi non abbiamo soltanto la sua Parola, eredità che non passa, ma il suo stesso Vicario, che dalla Cattedra di Pietro parla a tutti coloro che hanno orecchie per udire e pupille per vedere.

Beati coloro che, al di sopra della rissa e del fango che sale, sanno ascoltarlo.

Parlaci, parlaci ancora e sempre, o Padre nostro! Il giorno è già declinato, e non sappiamo se il sole sorgerà ancora sul mondo.

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Questo mondo è superbo. Il mondo si inorgoglisce sempre più, ma di che cosa, se non della propria miseria e iniquità?

Il mondo sente che, fuori dalla rete di Pietro, vi è solo buio e perdizione, ma non vuole arrendersi. Resiste, come se doversi umiliare alla presenza di un suo pari fosse un'offesa. Come se Dio fosse un altro uomo già perduto, già condannato. Il mondo si sottomette al giogo duro dell’amor proprio, che già conosce, e respinge quello “soave” dell’umiltà, che gli è ignoto.

Ebbene, dobbiamo essere noi, gli addomesticati dal giogo soave, a ripetere al tuo erede, o Signore, le parole di Simone, quando i discepoli stavano per abbandonare Gesù, tentati di scuotere il giogo. Ci voleva Pietro, soltanto Pietro, a pronunciarle con la sua rude schiettezza marinara. E noi le ripeteremo a te, Padre nostro, che sei in terra per il pascolo benedetto: «Da chi andremo, se lasciassimo te, che possiedi parole di vita eterna?»

Ogni giorno che passa è come se facesse notte prima della sera. Le notti sono in verità troppo lunghe, e talvolta ci opprime il cuore il terrore di respirare nelle tenebre per tutta la vita. Non potrebbe forse il Signore vendicarsi così del male che gli uomini fanno? Non più diluvio , promise a Noè, ma non parlò della tenebra. Egli potrebbe sempre negarci la luce del sole. Non è tenebra, forse, questa che acceca l’uomo e lo spinge ad uccidere il fratello? Non è tenebra quella che ci fa dimenticare le parole terribili: «Vendicherò la vita dell’uomo sopra l’uomo e sopra suo fratello»?

Diluvio no, perché la parola di Dio è una e non mente. Ma tenebra sì. E perciò tu ci parli, Padre nostro che sei in terra, tu, Vicario di Cristo, tu, successore di Pietro. La discendenza ti ispira le stesse parole di Vita, ti suggerisce gli stessi ammonimenti del Cristo, come se fosse ancora tra noi. Ma a molti dei suoi discendenti, fedeli, che pronunciarono soltanto parole di Vita, gli uomini hanno preparato il patibolo. E contro la Chiesa fondata dal Gran Re — il Primogenito di Dio — si accumulano tutte le nefandezze, occulte e palesi, perché il mondo, che ha odiato il Cristo e odia noi, sa che la tenebra della menzogna non prevarrà sulla luce, che è Verità.

Padre, rimani con noi, parlaci sempre, parlaci ancora! Si fa sera, e il giorno è già declinato.

A. D. A.

13 aprile 1947 

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