di Simonetta Fiorio
La legge 40 stabilisce che «il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità», e precisa che le tecniche vanno applicate con «gradualità, al fine di evitare il ricorso a interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasività».
È possibile sostenere che queste direttive siano contro la salute delle donne, come sostengono i referendari? Quale potrebbe essere l’obiezione al principio che, prima di farsi imbottire di ormoni e aspirare gli ovociti dall’addome, sia meglio curarsi nel modo meno invasivo possibile? È contro o a favore della salute stabilire che la terapia proceda per gradi, e che si cerchi di risolvere il problema della sterilità nel modo più naturale possibile, ovvero per prima cosa attraverso un’accurata diagnosi? È contro o a favore della salute della donna che non succeda più quel che accadeva prima della legge 40, quando una coppia non faceva in tempo a varcare la soglia di un centro per la fecondazione assistita e si trovava subito proiettata dentro il programma per avere un figlio senza neppure sapere cosa l’aspettava?
Eppure c’è chi dice (da Stefania Prestigiacomo, ministro delle Pari opportunità, a Barbara Pollastrini, onorevole diessina, da Margherita Boniver, sottosegretario agli affari esteri, a Emma Bonino, deputata al Parlamento europeo) che la legge 40 «è crudele e pericolosa nei confronti della salute delle donne».
Il modo migliore, per rispondere ma soprattutto per difendere davvero la salute, è far conoscere cosa la legge 40 dice e far sapere cosa si faceva in un laboratorio di fecondazione assistita prima della sua entrata in vigore. Forse così si capirà anche cosa si tornerebbe a fare se le proposte referendarie avessero la meglio.
Ad aiutarci è il professor Orazio Piccinni, ginecologo, che la patente di "fecondatore in vitro con trasferimento di embrioni" ha iniziato a usarla nel 1989, fondando un centro specializzato a Bari. Poi però, stufo di "scartare" embrioni, ha deciso di farla finita con la provetta.
Professore, come si induce la produzione di ovociti per un ciclo di fecondazione assistita?
«Innanzitutto le pazienti vanno "azzerate". Noi medici dobbiamo bloccarne la produzione ovarica, dobbiamo comandare il ciclo. E per farlo usiamo una fiala di soppressione perché la paziente deve essere gestita dal centro (attraverso il farmaco). Se dovessimo adeguarci a ogni paziente ci sarebbe una dispersione di energia enorme. Così, invece, comandiamo noi. Possiamo raggruppare le pazienti – fino a 70 – e mediante un’iniezione blocchiamo l’Fsh (l’ormone follicolo-stimolante). Se un’iniezione non basta se ne fanno due. Nell’ovaio non ci devono essere follicoli maturi o in via di maturazione. Fatto questo, è possibile partire con la stimolazione, per tutte».
Prima si blocca l’ovulazione, poi la si stimola. Bisogna produrre diversi ovuli per avere qualche speranza di creare embrioni che poi, reimpiantati, possano arrivare alla nascita. Che costi ha la stimolazione sulla salute della donna?
«Per ottenere molti ovociti la donna va stimolata. Quella più giovane in maniera blanda, quella più avanti con l’età molto di più (4/5, fino a 8 fiale al giorno di gonadotropine). Quando inizia a essere trattata con l’Fsh, viene monitorata controllando gli estrogeni nel sangue. Dalla quantità di estrogeni deriva la produzione dei follicoli. Questo tipo di stimolazione può sfuggire al controllo perché la natura, comunque, reagisce a modo suo»
È vero che, nonostante tutti gli esami che i medici possono fare, sia le pazienti più giovani sia quelle più mature possono rispondere alla stimolazione in modo imprevedibile?
«Se la paziente non risponde (cioè produce pochi estrogeni e pochi follicoli), si forza la produzione di estrogeni perché lo scopo del medico che si occupa di fecondazione in vitro è ottenere un figlio a tutti i costi. La paziente spesso è ignara del fatto che viene stimolata molto e che può, da un momento all’altro, finire in iperstimolazione: in altre parole, il suo ovaio può "impazzire". Questa sindrome è tanto più frequente quanti più ovociti si cerca di ottenere»
Più ovociti, più pericolo. Pericolo di cosa?
«L’iperstimolazione, spesso, provoca trombosi profonda e blocco renale, con possibile pericolo di vita. Una stimolazione blanda – quella per riuscire ad avere gli ovociti che servono per impiantare tre embrioni – genera dai 10 ai 15 follicoli per ovaio, una iperstimolazione arriva fino a 100 follicoli».
I referendari obiettano: se la legge permettesse di congelare gli embrioni, le donne verrebbero stimolate una volta sola, si farebbe un’unica superproduzione di ovociti che verrebbero fecondati. Gli embrioni così ottenuti potrebbero essere congelati e impiantati secondo necessità, senza bisogno di stimolare ancora le ovaie delle donne…
« Per ottenere più embrioni in un solo ciclo la paziente viene stressata, sottoposta a un trattamento 10 volte maggiore rispetto a quello messo in atto oggi con la legge 40. Se io fossi una donna e mi fosse chiesto di scegliere non avrei dubbi: non rischio la mia salute, produco tre embrioni. È scientificamente innegabile: due stimolazioni blande per ricavare tre embrioni più altri tre sono assolutamente meno rischiose di una sola per ottenerene sei. In questo caso i pericoli di iperstimolazione, e quindi di trombosi e insufficienza renale, sono infinitamente più elevati. Due mie pazienti furono colpite da trombosi profonda femorale, e addirittura da trombosi della vena giugulare. Tutto questo accade per effetto dell’accanimento con il quale si vogliono ottenere più embrioni da trasferire. Oggi su 50 donne stimolate in un mese con superstimolazione blanda per ottenere tre embrioni, 6-7 pazienti finiscono in iperstimolazione. Figuriamoci cosa accadeva prima che la legge 40 introducesse delle garanzie».
Possiamo fare un paragone con la pillola anticoncezionale, di cui le donne diffidano proprio per i rischi sulla loro salute?
«Con l’iperstimolazione abbiamo un bombardamento che equivale a un uso esasperato di pillola contraccettiva. Basti sapere che usando il contraccettivo si incorre in un rischio di trombosi da due a sei volte superiore rispetto a chi non usa la pillola. L’anticoncezionale, infatti, va prescritto dallo specialista proprio perché non tutte le donne possono usarlo. Non è un caso se sono state introdotte le pillole "a basso dosaggio" di estrogeni».
C’è un’altra fase molto interessante che riguarda sempre la superstimolazione e che val la pena chiarire quando si parla della salute delle donne. È vero che più si stimola l’ovaio più le sue dimensioni aumentano, e che questo, quando bisogna andare a prelevare gli ovociti, è un rischio in più per la donna?
«Il prelievo si svolge tramite un ago guidato attraverso una sonda ecografica. Si punge il follicolo, si aspira il liquido che contiene l’ovocita, si mette in vetrino... Se l’ovaio è piccolo (contrariamente a quanto si possa pensare) si riesce a evidenziare meglio, se è molto dilatato per la iperstimolazione si confonde, e finisce col coprire l’intestino. Col risultato che al posto di pungere l’ovaio si perfora l’intestino. Le conseguenze sono infezioni, ascessi, interventi chirurgici successivi. Un ovaio iperstimolato può raggiungere le dimensioni di un melone, 30 centimetri per 30. Se restano gravide, le donne sopportano perfino questo. Ma se la fecondazione fallisce, passano alle denunce».
Nel caso la paziente resti gravida, l’iperstimolazione peggiora?
«Se la donna iperstimolata resta incinta c’è un periodo iniziale di "esacerbazione". La gravidanza stessa è infatti fonte di ulteriore produzione ormonale. Così si entra in un periodo di crisi di uno-due mesi in cui si rischia addirittura di veder morire la paziente. È come se a una donna che ha la flebite si desse la pillola. La gravidanza in una donna iperstimolata è davvero rischiosa. Noi medici spesso ci siamo trovati a sperare, con tutte le nostre forze, che certe gravidanze si interrompessero. Per la salute della donna».
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