Non amare il poeta,
sorella, e neppure il color di cielo dei suoi occhi, ma la Poesia ch’è in lui,
dono ineffabile di Dio: questa è eterna, tutto il resto è perituro.
* *
Confondersi agli uomini
e sentire disomigliare a nessuno. Tristezza im m ensa, senso infinito di solitudine.
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Guai all’artista,
al poeta il giorno che più non arde. Segno che ha consumato tutto il fuoco interiore.
E’ morta in lui la Poesia. Ogni giorno, ogni ora, uomini e paesaggio assumono un
aspetto nuovo. Con l’obiettivo noi ci illudiamo di fermare quell’attimo che più
ci è piaciuto e non facciamo che accrescere la testimonianza della caducità delle
cose terrene. Domani ci accorgeremo di avere amato il volto di « quel » giorno,
il paesaggio di « quel » momento e scenderà sull’anima il velo della sera. Il volto
non avrà mai più « quella » luce, il paesaggio avrà perduto per sempre l’aspetto
che determinò « quello » stato d’animo. Solo Dio non sarà mai illusione.
* *
Giaufredo Rudel non
è morto: finché sulla terra spirerà un alito di fiore e l’ombra di Melisenda ascolterà
il suo poeta: « Che è il sogno, che è la morte? Vane parole. Sol nell’amore è il
vero». Ma il vero amore è quello non del tutto goduto: saziarlo è distruggerlo.
E’ come pretendere d’imprigionare, di possedere l’infinito, rendere transitorio
l’eterno. Fu per questo che la contessa di Tripoli strinse Rudel al cuore soltanto
sul letto di morte.
* *
Dinanzi alla tomba
di San Francesco in Assisi. Penso al mio posto definitivo nel camposanto dell’Urbe,
in un riquadro gremito di morti ignoti. Tutta una vita di battaglie e di dolori
per finire tra folle anonime.
29 settembre 1946
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