giovedì, settembre 27, 2012


«Maria Giulia: la più fedele di tutti»


Maria Giulia Moretta
Qualcuno ha scritto che “c'eravamo proprio tutti” in questa mattina di settembre intrisa di lacrime e sole. C'eravamo tutti, è vero, verissimo. Proprio come un giorno di settembre di cinque anni fa quando ci stringemmo intorno a don Piero per la sua consacrazione episcopale. Allora sentimmo viva più che mai la presenza di Gesù Maestro e Pastore seduto tra la folla ad insegnare e a sfamare il cuore dell'uomo. Stamane era lo stesso Gesù che piangeva l'amico Lazzaro, a ricordarci con fatica (nostra!) che la pietra del sepolcro sarà rotolata e anche noi “andremo incontro al Risorto”. Perché la fede è una molla che a volte si allunga oltre modo, altre volte si contrae quasi a rannicchiarsi in se stessa, ma non si spezza mai. Mai. Anche quando i pugni allo stomaco fanno male, quando il dolore assume un peso specifico dalla eco incalcolabile e, subito dopo, si trasforma in uno stato di preghiera e di abbandono. Perché ad ogni grande dolore segue sempre una grande pace. O se volete, in un senso audace, al dolore segue una Festa. C'eravamo tutti alla festa di Maria Giulia che guadagnava il Paradiso! Lo guadagnava prima di tutti, come ci ha ricordato Raimondo, perché lei era la donna del “già e non ancora”. Ho osato immaginare che tutte le nostre lacrime (sì, abbiamo pianto, senza filtri e senza copioni, abbiamo pianto lacrime vere, tutti, e tutti ce le siamo asciugate a vicenda senza se e senza ma, senza proferire parole che non servivano...), ebbene che queste lacrime d'amore abbiamo formato, in un solco già tracciato dal Mistero, un percorso dolce come quei ruscelli di montagna che Maria Giulia amava tanto, e che proprio Lei si sia fatta cullare fino alle braccia del Padre. C'eravamo tutti fin dal pomeriggio del suo rientro a San Salvo, quando, ininterrottamente, abbiamo visto e rivisto 40 anni di storia della nostra parrocchia di San Nicola: volti, nomi, biografie, destini, vocazioni, figli e nipoti, nostalgie ed orgoglio. Maria Giulia ha voluto che iniziassimo fin da subito i “festeggiamenti” per il quarantennale, e anche in questo ci ha preceduti e spiazzati. Una cosa mi sento di dire senza timore di smentita alcuna: Maria Giulia è stata la parrocchiana più FEDELE alla nostra parrocchia, nel senso più ampio e più fecondo del termine. C'era (e c'è) il nostro sconfinato amore alla parrocchia poi c'era (e c'è) Maria Giulia...! E ha ragione don Piero quando dice che non si può prescindere da Maria Giulia per decifrare la storia di questa comunità! Don Piero... e quella lacrima donata e condivisa perché un padre è vero sempre di fronte ai suoi figli, nella gioia e nel dolore. Insomma, c'eravamo tutti, e anche chi fisicamente non c'era, impedito da mille cose, c'era lo stesso, lo sappiamo, lo abbiamo sentito. C'era la Chiesa, la diocesi, la scuola, la Cooperativa, il Popolo, tanto popolo e tanta, tantissima parrocchia! Oggi è stato un grande giorno per la nostra parrocchia, ed io vorrei che tutti noi ci sforzassimo di approfondire e di capire cosa è stata la Comunità di San Nicola per la città di San Salvo, chi è stato quel giovane prete oggi Vescovo, chi e cosa sono stati quei ragazzi e quelle ragazze, di ieri, di oggi e di sempre, cosa ha dettato al tessuto cittadino questa grande storia, cosa ha lasciato nei meandri della società, della cultura, della solidarietà, di un nuovo umanesimo tutt'altro che relativo e scontato. Ne dobbiamo parlare tra noi e con la gente, ne parlerò anche alle istituzioni, lo sto già facendo. Giammai per una visione autoreferenziale: una parrocchia non ha nulla di autoreferenziale o di autarchico anche perchè sa bene che “solo Dio basta”...  Solo Dio e gli uomini che Dio ama, fede e vita, vangelo e storia concreta. Tutto questo, ed altro ancora, è stata Maria Giulia, lo hanno dimostrato le migliaia di presenze di questi giorni e un curriculum così vero, profondo e generoso che il Buon Dio non poteva esimersi da assumerla! Forse troppo presto ma l'orologio del cielo ha lancette sconosciute agli uomini e palesi ai santi e agli angeli. Il nostro ultimo incontro si è consumato in una stanza di ospedale, eppure su quel tavolo asettico e sempre dello stesso colore, siamo riusciti a spalmare le nostre idee e i nostri progetti. Sono ancora, Amica Cara, le NOSTRE idee e i NOSTRI progetti, che insieme a quelli di tutti diverranno impegni e fatti, come ci hai abituati ad agire e ad operare. Prima di andare via mi hai chiesto delle mie bambine, mi hai detto che le avevi viste in una foto e che ti scusavi perché non ancora venivi a salutare la piccolina: mi sono commosso, ti ho abbracciato e ti ho promesso che appena saresti stata meglio avremmo passato un po' di tempo insieme. Manterrò la promessa, racconterò ad Alessia e Virginia quello che il cuore vorrà dettare e pregare, dirò loro chi eri, chi sei e cosa siamo stati. E di quel giorno che c'eravamo proprio tutti, fino a scoprire dentro l'ennesima lacrima che TU CI SEI ANCORA. Oggi e sempre.

Perché mai “nessuno potrà separarci dall'amore di Cristo”.
Un abbraccio forte ai tuoi familiari.
A te un dolcissimo bacio.
Con l'Affetto che sai.

Domenico Di Stefano

lunedì, settembre 24, 2012

Postmodernism Generator

Expressionism in the works of Madonna

Jacques Z. Humphrey Department of Sociolinguistics, University of California
O. Martin Hanfkopf Department of Deconstruction, University of Georgia

1. Madonna and capitalist Marxism

If one examines expressionism, one is faced with a choice: either reject postconstructivist desublimation or conclude that reality serves to oppress the underprivileged. It could be said that Sartre promotes the use of capitalist Marxism to attack the status quo. An abundance of narratives concerning a self-supporting whole may be discovered. “Sexual identity is intrinsically used in the service of capitalism,” says Bataille; however, according to Dietrich[1] , it is not so much sexual identity that is intrinsically used in the service of capitalism, but rather the genre, and eventually the futility, of sexual identity. But the main theme of the works of Madonna is the common ground between class and society. Porter[2] implies that we have to choose between Sontagist camp and the precapitalist paradigm of expression. The primary theme of Parry’s[3] analysis of postconstructivist desublimation is a mythopoetical paradox. Therefore, the characteristic theme of the works of Madonna is the difference between sexual identity and class. Sontag suggests the use of expressionism to deconstruct sexual identity. “Class is part of the stasis of language,” says Debord. But if postconstructivist desublimation holds, the works of Madonna are empowering. Bataille promotes the use of the textual paradigm of narrative to challenge sexism. “Society is elitist,” says Baudrillard; however, according to Tilton[4] , it is not so much society that is elitist, but rather the dialectic, and some would say the rubicon, of society. Therefore, the example of expressionism prevalent in Rushdie’s The Ground Beneath Her Feet emerges again in Midnight’s Children, although in a more precapitalist sense. Dahmus[5] states that we have to choose between cultural theory and neotextual cultural theory. In a sense, Foucault’s critique of capitalist Marxism implies that the Constitution is fundamentally used in the service of hierarchy, given that the premise of expressionism is invalid. The main theme of Wilson’s[6] essay on capitalist Marxism is a self-referential totality. Therefore, Derrida uses the term ‘postconstructivist desublimation’ to denote the bridge between art and sexual identity. If capitalist Marxism holds, we have to choose between expressionism and subtextual discourse. But Sontag’s analysis of capitalist Marxism suggests that narrativity is capable of intention. Foucault uses the term ‘expressionism’ to denote not, in fact, narrative, but prenarrative. In a sense, Debord suggests the use of postconstructivist desublimation to read and attack society. Capitalist Marxism states that context is a product of the masses. Therefore, in Beverly Hills 90210, Spelling affirms expressionism; in Robin’s Hoods, however, he denies postconstructivist desublimation. McElwaine[7] implies that we have to choose between capitalist Marxism and modern theory. But Sartre promotes the use of expressionism to deconstruct sexism. Several desituationisms concerning Lacanist obscurity exist.

2. Consensuses of paradigm

In the works of Spelling, a predominant concept is the concept of subtextual culture. Thus, the primary theme of the works of Spelling is a mythopoetical paradox. Debord uses the term ‘postconstructivist desublimation’ to denote the role of the observer as reader. “Sexual identity is elitist,” says Derrida. However, Lyotard suggests the use of capitalist Marxism to modify class. Lacan uses the term ‘expressionism’ to denote the absurdity, and subsequent economy, of patriarchial language. Therefore, a number of narratives concerning not discourse, as precapitalist narrative suggests, but neodiscourse may be found. The main theme of McElwaine’s[8] model of capitalist Marxism is the dialectic, and eventually the absurdity, of modernist class. In a sense, an abundance of constructions concerning expressionism exist. Baudrillard promotes the use of capitalist Marxism to attack class divisions. However, any number of discourses concerning the role of the participant as writer may be discovered. If the postdialectic paradigm of discourse holds, we have to choose between capitalist Marxism and textual sublimation.

3. Predeconstructivist desituationism and cultural subcapitalist theory

If one examines capitalist Marxism, one is faced with a choice: either accept expressionism or conclude that government is intrinsically used in the service of sexism. In a sense, Lyotard suggests the use of dialectic capitalism to read and challenge art. An abundance of discourses concerning capitalist Marxism exist. In the works of Spelling, a predominant concept is the distinction between figure and ground. However, the subject is contextualised into a Derridaist reading that includes culture as a reality. Marx uses the term ‘expressionism’ to denote the common ground between class and truth. In a sense, Bataille promotes the use of neopatriarchialist appropriation to attack archaic, sexist perceptions of society. Any number of dematerialisms concerning the role of the observer as writer may be revealed. However, Lyotard suggests the use of expressionism to analyse sexual identity. Derrida uses the term ‘cultural subcapitalist theory’ to denote the difference between class and sexuality. It could be said that the primary theme of the works of Spelling is the role of the artist as observer. Lacan uses the term ‘capitalist Marxism’ to denote the stasis of textual class.

1. Dietrich, M. Q. ed. (1982) Deconstructing Socialist realism: Capitalist Marxism and expressionism. University of Oregon Press
2. Porter, C. D. C. (1999) Expressionism and capitalist Marxism. Panic Button Books
3. Parry, W. ed. (1988) The Reality of Genre: Capitalist Marxism and expressionism. University of Massachusetts Press
4. Tilton, Y. G. (1992) Capitalist Marxism in the works of Rushdie. Yale University Press
5. Dahmus, U. ed. (1986) Realities of Stasis: Expressionism in the works of Stone. And/Or Press
6. Wilson, B. U. (1970) Capitalist Marxism in the works of Spelling. University of Michigan Press
7. McElwaine, W. P. O. ed. (1985) The Burning House: Expressionism in the works of Cage. Harvard University Press
8. McElwaine, Y. R. (1999) Expressionism and capitalist Marxism. And/Or Press

The essay you have just seen is completely meaningless and was randomly generated by the Postmodernism Generator. To generate another essay, follow this link.

domenica, settembre 23, 2012

LA FILOSOFIA POPOLARE E IL POPULISMO FILOSOFICO Una volta, tanti anni fa, andai in televisione a parlare di filosofia. Il programma, allestito da Rai Educational, si chiamava "Il grillo". Ero circondato da studenti delle scuole superiori, c' era un tema, e poi dovevo fare tutto da solo, compresa un' autopresentazione. "A cosa serve la filosofia?", questa era la domanda; avevo un' ora (televisivamente, un tempo enorme) per rispondere assieme ai ragazzi. Me la cavai dicendo che a rigore la filosofia non serviva a nulla, tranne che a interrogarsi in modo critico attorno al senso della parola "servire". Non si combatte il populismo filosofico chiudendosi in casa (o nel proprio studiolo, o nella propria aula, che è una specie di casa), insomma rivendicando un atteggiamento elitario. Semmai lo si affronta davvero solo "scendendo in piazza" e rischiando di abbandonare il comodo piedistallo dello studioso solitario o attorniato solo da una sparuta cerchia di pari. Ma, allora, cosa significa fare filosofia e cosa vuol dire combattere il populismo filosofico? Ci sono parecchi equivoci da stanare e da chiarire. Una filosofia che abdichi al proprio compito critico, anche radicalmente critico, forse anche masochisticamente autocritico, non serve a nulla: legittima di volta in volta l' opinione corrente, le fornisce un po' di belletto teoretico. Perciò il cosiddetto "filosofo" è da sempre un personaggio alquanto scomodo, talora irritante, e da sempre, se è un "vero" filosofo, rischia la sua faccia e deve avere il coraggio di sfidare il potere delle idee prevalenti e già codificate. Non basta dire che il filosofo è uno che ama le idee in un mondo involgarito: la filosofia serve a qualcosa solo se accende dei segnali rossi attorno a certe idee lanciando un allarme. Per esempio, dovrebbe riuscire a distinguere tra populismo filosofico e filosofia popolare, saper individuare bene la natura, il senso e le conseguenze di questo equivoco abbastanza clamoroso sul quale si è costruito il recente dibattito sulle feste filosofiche e sulla filosofia prêt-à-porter (inaugurata a luglio su Repubblica, da Roberto Esposito e proseguita con altri interventi in questi mesi). Fin dall' antichità la filosofia ha avuto una vocazione popolare: ciò significa che essa si occupa e si preoccupa dell' esperienza quotidiana, si rivolge ai "cittadini" proponendo loro uno stile di vita. La filosofia ha da sempre una vocazione pubblica ed etica, anche quando sembra essere solo un esercizio del soggetto su se stesso. Questa vocazione attraversa tutta la sua storia, solo che oggi i cittadini non sono più un gruppo limitato di persone ma un insieme che riguarda tendenzialmente l' intera società senza distinzioni. Il bisogno di filosofia è avvertito oggi da tutti e perciò hanno presa le feste filosofiche che chiunque può frequentare, e si sviluppano di continuo iniziative di massa che hanno come scopo la divulgazione. La filosofia popolare deve cessare di essere critica? No, certamente, ma essa si annoda, oggi, con la cosiddetta "cultura televisiva" e accade così che la mediatizzazione appiattisca questa criticità o addirittura la elimini. Può esistere una filosofia popolare senza una tale "semplificazione" che snatura la filosofia stessa? Sì, può esistere, ma qui si deve innestare una verae propria battaglia culturale contro il "populismo" filosofico, cioè contro la tendenza a ridurre il pensiero filosofico a modelli semplici e unificati. La battaglia tra chi asseconda questa riduzione e chi la combatte, magari anche nelle piazze, dunque anche nelle feste filosofiche (a FilosofiaGrado, qualche giorno fa, ho parlato proprio di questo). Combattere la semplificazione populistica che è visibilmente in atto significa spingere il pedale della criticità, e battersi per il pensiero critico vuol dire, a mio parere, evidenziare gli aspetti paradossali del discorso filosofico, il suo connaturato pluralismo, il suo piacere della sfumatura, il suo rifiuto delle fissazioni, la sua vocazione storica e genealogica. Non a caso questa battaglia ha ora come campo un' idea di verità non bloccata né presupposta. Uno dei miei autori preferiti, A.N. Whitehead, aveva lanciato una campagna contro le "cattive astrazioni". Il populismo filosofico è una cattiva astrazione. Riduce la filosofia a un' ideologia prêt-à-porter. Lavorare contro il populismo filosofico e le sue cattive semplificazioni significa allora accettare la sfida mediatica e tentare di salvare l' identità del filosofo, oggi decisamente messa a rischio. Questa identità è attraversata da parte a parte da una tensione ironica. Se dalla cassetta degli attrezzi del filosofo si toglie l' ironia, con la quale è possibile spiazzare i problemi e farli vedere in una luce inabituale, il cosiddetto filosofo rischia di diventare un funzionario del pensiero abbastanza grigio. PIER ALDO ROVATTI Repubblica, 19 settembre 2012

mercoledì, settembre 19, 2012

Ecco il "Vangelo della moglie di Gesù"

È davvero encomiabile la scelta, da parte dell’Università di Harvard, di offrire una dettagliata scheda informativa su un presunto testo evangelico che è stato appena scoperto, e che farà sicuramente parlare di sé nei prossimi giorni. Si tratta di un frammento papiraceo datato al IV secolo, scritto in copto, che gli studiosi hanno proposto di identificare come parte di un inedito “Vangelo della moglie di Gesù”.

Continua su Lettere Paoline.

domenica, settembre 16, 2012