lunedì, febbraio 28, 2005

L'ultima

Il termine, la vetta
di quella scoscesa serpentina
ecco, si approssimava,
ormai era vicina,
ne davano un chiaro avvertimento
i magri rimasugli
di una tappa pellegrina
su alla celestiale cima.

Poco sopra
alla vista
che spazio si sarebbe aperto
dal culmine raggiunto...
immaginarlo
già era beatitudine
concessa
più che al suo desiderio al suo tormento.
Sì, l' immensità, la luce
ma quiete vera ci sarebbe stata?
Lì avrebbe la sua impresa
avuto il luminoso assolvimento
da se stessa nella trasparente spera
o nasceva una nuova impossibile scalata...
Questo temeva, questo desiderava

giovedì, febbraio 24, 2005

Un monsignore alla Fao

A tre mesi dalla morte, un profilo di Agostino Ferrari Toniolo, esperto di diritto internazionale.

di Romolo Pietrobelli

Dal 15 novembre 2004 monsignor Agostino Ferrari Toniolo – compiuti 87 anni – riposa nella pace di Dio nel cimitero di Pieve di Soligo (Treviso), a fianco della tomba del nonno materno Giuseppe Toniolo, pioniere dell’impegno sociale dei cattolici alla fine dell’800 e nei primi decenni del ’900. Aveva espresso il desiderio di essere sepolto a fianco del grande nonno quasi a suggellare l’interiore ispirazione da lui trasmessagli e il forte legame che lo unì a lui in tutta la vita di sacerdote e di studioso.
Il suo curriculum di studioso e di sacerdote è ricco e intenso. Nasce a Pieve di Soligo nell’agosto 1917, cresce e viene educato a Venezia, ove il padre è direttore della Biblioteca Marciana. Compie gli studi universitari a Venezia e a Roma, consegue il dottorato in Utroque jure, (diritto canonico e civile) nella Università Lateranense, con una tesi su «Stato e democrazia nel pensiero di Giuseppe Toniolo». Quel lavoro di ricerca, ricorda Vincenzo Bonomo, che fu suo allievo, «pose le basi della sua collaborazione alla raccolta degli scritti editi ed inediti del Toniolo nell’edizione dell’Opera Omnia predisposta dall’Editrice Vaticana».
Viene ordinato sacerdote a 24 anni, nel 1941. Insegna Diritto canonico nel seminario di Venezia, esercita la docenza di Introduzione alle scienze sociali e giuridiche presso l’allora Ateneo cattolico veneto (poi Studium Pio X). Viene nominato Cancelliere nella Curia patriarcale succedendo a monsignor Giovanni Urbani, chiamato a Roma quale Assistente generale dell’Aci.
Nel 1953 si trasferisce a Roma dove Pio XII lo nomina Segretario del Comitato permanente per le Settimane sociali dei cattolici d’Italia, succedendo all’allora mosnignor Pietro Pavan – futuro rettore della Lateranense e poi cardinale – con il quale instaura un rapporto di collaborazione di comune interesse scientifico e di profonda amicizia.
Il suo impegno di docente in diversi atenei romani – ricorda Bonomo – «diventò quello di rendere rispondente ai tempi il curric ulum e l’insegnamento della Facoltà di Diritto civile e dell’intero Institutum Utriusque Juris dell’Università Lateranense, favorendo in primo tempo la prospettiva del diritto comparato poi quella del diritto internazionale che, come soleva ripetere, sono le caratteristiche che si addicono all’Università del Papa»
«Pose la sua competenza a servizio del Magistero della Chiesa – prosegue Bonomo –, collaborando con Giovanni XXIII e Paolo VI: era il periodo delle grandi encicliche, la Mater et Magistra, la Pacem in Terris, la Populorum Progressio. Una collaborazione continuata anche durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Gli anni del Vaticano II in particolare lo videro partecipare al lavoro di elaborazione del decreto Apostolicam Actuositatem; successivamente venne nominato membro della Commisione mista chiamata a predisporre la costituzione pastorale Gaudium et Spes».
Nel 1967 viene eletto vescovo e diventa ausiliare a Perugia, diocesi ove prestò servizio per un tempo breve. Nell’ambito dell’attività accademica nella Facoltà di Diritto civile alla Lateranense lavora a un preciso obiettivo: potenziare il settore delle discipline internazionalistiche.
L’ultimo ventennio della sua vita attiva, dal 1971 al 1992, monsignor Ferrari Toniolo lo dedica al servizio diretto della Chiesa nel mondo – sulla linea del Vaticano II – nel ruolo di osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao e il Programma alimentare mondiale, nel Consiglio mondiale della alimentazione e presso il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. Luoghi e istituzioni in cui l’impegno in lui vivissimo per il futuro globale dell’umanità lo trovarono combattente agguerrito e appassionato con la sua competenza di giurista, economista e sociologo inserita in una limpida vocazione ecclesiale sempre alla ricerca, spesso irrequieta, di prospettive nuove e vaste.
«Nel 1990 – osserva ancora Bonomo – pubblica un volume sulla organizzazione internazionale specificamente dedicato alle Nazioni Unite . Quel testo lo volle come sintesi del suo insegnamento e, come ripeteva spesso, di una metodologia capace di leggere "dal di dentro" il fenomeno delle isituzioni internazionali».
Ma la pagina forse più importante della sua dinamica esistenza – quella in cui ha lasciato il segno più fecondo della sua esuberante personalità e il dono più autentico della sua vocazione sacerdotale – «don» Agostino l’ha scritta nell’esercizio dell’assistenza e della formazione spirituale di tanti giovani universitari attraverso la Fuci. È in questa particolare scelta di vita che egli ha servito la Chiesa con frutti copiosi in mezzo a tante generazioni di universitari che lo hanno conosciuto e amato come «don» Agostino, senza ulteriori qualifiche.
In effetti nel 1953 egli si trasferisce a Roma – richiesto al patriarca Angelo Roncalli dall’allora pro-segretario di Stato monsognor Giovanni Battista Montini – per assumere il compito di vice-assistente nazionale della Fuci, dopo essere stato assistente della Fuci di Venezia. Entra in quell’anno a comporre quella splendida compagine di preti per la Fuci, diventati poi vescovi: «don» Costa, «don» Guano sopra tutti, Anichini, Vivaldo, Zama e tanti altri, ai quali va il merito della formazione, tra gli anni ’40 e ’70, di moltissimi intellettuali, professionisti, docenti. Alcuni nomi tra i molti che si potrebbero ricordare: Alfredo Carlo Moro, Franco Casavola, Leopoldo Elia, Valerio Onida, Nicola Lipari, Claudio Leonardi, Lorenzo Chiarinelli, Angelo Bertani, Italo De Curtis, Vincenzo Cappelletti, Alberto Monticone, Bruno Musso, Carlo Maria Gregolin, Nando Gasparini, Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini.
Scrive monsignor Roncalli, il futuro Papa Giovanni, a monsignor Montini, il futuro Paolo VI, quando monsignor Ferrari Toniolo lascia Venezia : «Don Agostino fa onore alla memoria benedetta del suo grande avo materno prof. Giuseppe Toniolo, è intelligente, ottimamente preparato ed esercitato alle varie forme di Azione cattolica, specialmente fra g li intellettuali, è soprattutto sacerdote di ottimo spirito, e di vita interiore».
Da allora è stato un «don» Agostino trascinatore generosissimo, che ha lavorato in sintonia con un gruppo di preti eccezionale «perché la presenza dei cattolici nella società italiana fosse il più possibile un apporto di novità di idee e di testimonianze morali rigorose, piuttosto cha una espressione di numero e di potere» (come scrive in suo ricordo C.M. Gregolin).
Il cardinale Marco Cè, già assistente nazionale dell’Ac e Patriarca di Venezia, lo ha ben definito nell’omelia ai suoi funerali: «Dotato di una intelligenza lucidissima e vivace... di un cuore buono, fu attento e sensibile alle attese delle giovani generazioni universitarie, con le quali fu sempre franco e leale. Amò la Chiesa e per essa si spese... accanto a grandi uomini di fede».

martedì, febbraio 22, 2005

La posizione ufficiale della FUCI sui referendum

Una premessa necessaria

Sembra innanzi tutto opportuno sottolineare che il tema della difesa della vita non può essere limitato alle questioni della bioetica e alle scelte politiche che riguardano l'inizio e la fine della vita: difendere la vita significa anche saper fare scelte che in ogni campo vadano nella direzione della tutela dei più deboli, dei più poveri e degli esclusi così come significa battersi per una cultura della legalità, della democrazia, della fiducia nelle istituzioni che permettano veramente di perseguire il bene comune di una comunità.
Detto questo è evidente che nel momento in cui il tema dell'inizio e del termine della vita entrano nell?agenda politica di una comunità diventa sbagliato e irresponsabile, per un cristiano e per chiunque, lavarsene le mani o disinteressarsene.



Inquadrare la questione e impostare il problema

Crediamo che la questione della fecondazione assistita si possa inquadrare in questi termini: il progresso scientifico ha portato all'elaborazione di alcune tecniche, che offrono determinate possibilità ( avere un figlio per chi altrimenti questa possibilità non la avrebbe e nuove strade di ricerca per la scienza) e che comportano certi costi (principalmente la soppressione o manipolazione di embrioni, problemi di identità del nascituro, oltre alle questioni legate alla salute di chi si sottopone a queste tecniche).
La nostra comunità, attraverso il suo legislatore è chiamata ad autorizzare, vietare, regolare l'utilizzo di queste tecniche. Il legislatore è intervenuto con una legge ordinaria, la 40/2004, che evidentemente ha lasciato dei cittadini insoddisfatti, non meno di un milione, tanti sono quelli che hanno firmato per chiedere l'abrogazione totale della legge. Ora tutta la comunità è chiamata a pronunciarsi sulle domande legittimamente poste da questa parte del corpo elettorale.

Come tutte le leggi che intervengono in simili materie anche la legge sulla procreazione assistita ha fatto percepire il problema in termini di scontro
e contrapposizione fra cattolici e laici. I laici accusano i cattolici di voler imporre le loro idee alla società, i cattolici rispondono che la legge non è confessionale, cioè non corrisponde in molti suoi punti all?etica cattolica.
Il problema esiste e non lo si può negare, tuttavia sentiamo di poterci esprimere chiaramente su due punti:
- Il tema della tutela dell?embrione non è un problema cattolico: fino a
prova contraria tutti, non solo i cattolici, siamo stati degli embrioni, così come un embrione, nelle opportune condizioni biologiche, evolve in una persona umana, non necessariamente in un cattolico. In altre parole la questione dell'inizio della vita è una questione che riguarda tutti ed è una delle questioni fondamentali alla base di una comunità civile;
- Riteniamo importante opporci fermamente all'idea che un bisogno diventi automaticamente un diritto nel momento stesso in cui la scienza ne rende possibile la realizzazione. Anche qui non si tratta di un problema dei cattolici: il tema della necessità di una giustificazione etica delle applicazioni scientifiche è un problema di civiltà; prescinderne può avere effetti devastanti per le nostre società.

Detto questo, come esprimersi sulla legge 40 /2004?
Una legge in questa materia deve essere il frutto di un dialogo ed un confronto civile che porti ad individuare valori comuni che possano essere alla base di scelte legislative autorevoli, umane e condivise. Da questo punto di vista la legge 40/2004 non può essere considerata la panacea di tutti mali. Non si può nascondere che da non pochi viene considerata una legge oscurantista, contraria alla salute della donna e alla libertà di ricerca. Al di là di molte esagerazioni polemiche ed ideologiche non è da escludere non solo che questa legge possa essere migliorata, in particolare per quanto riguarda gli aspetti sollevati dal quesito referendario relativo alla salute della donna, ma anche che questa legge non rispecchi un'etica condivisa dalla nostra
comunità, o, addirittura, che non esista su questi temi un'etica condivisa nella nostra società. E' questo forse il nodo del problema. Sono questioni che superano la legge 40/2004 e il relativo referendum. Anche dopo il referendum questi dilemmi si ripresenteranno, su questa e su altre questioni. Non si riesce peraltro a vedere oggi altra via di soluzione che quella di una crescita della nostra società in termini di cultura, consapevolezza, dialogo e responsabilità.


Di fronte al referendum

Quanto detto sopra lascia però aperta un'altra questione: nel momento in cui si viene interrogati bisogna rispondere. Il referendum, purtroppo, lascia pochi spazi alla mediazione. Il cittadino è chiamato a rispondere in maniera secca. Cosa fare? Vediamo innanzi tutto di delimitare il campo delle possibilità lasciate aperte dal referendum ed in particolare di dare una risposta alla questione se per un cittadino civilmente responsabile l'astensione sia legittima o meno.
Crediamo che astenersi ad un referendum sia legittimo, per due ordini di ragioni. Innanzi tutto la previsione di un quorum per la validità della consultazione sottolinea la possibilità per il cittadino di sottrarsi alla domanda posta dai promotori, qualora non la ritenga adatta e di non subire alcuna conseguenza
nel caso in cui la sua scelta sia condivisa dalla maggioranza della comunità.
E' qui che passa la differenza con le elezioni politiche che, mettendo invece il cittadino di fronte ad una domanda cui non ci si può sottrarre, se non negando la necessità di un governo della società, stabilisce come sanzione per chi non partecipa l'automatica sottomissione alle decisioni prese dagli altri.
In secondo luogo per come è strutturato oggi il referendum la non partecipazione al voto può essere una valida strategia politica. Secondo la disciplina attuale chi vuole abrogare una legge deve raccogliere 500.000 firme, passare il vaglio della Corte Costituzionale, portare a votare il 50% più uno degli aventi diritto, far prevalere il Sì. Nessuna norma stabilisce l'obbligo per chi non vuole abrogare la legge di collaborare con i promotori in nessuna di queste fasi. Pertanto chi non vuole abrogare la legge si trova a dover legittimamente decidere fra due strategie possibili, il No e l'astensione.

Delimitato il campo delle scelte possibili analizziamole una per una

Abbiamo innanzi tutto la possibilità di votare SI, con l'obiettivo di cambiare la legge in alcuni punti fondamentali. Nessuno dei cambiamenti proposti dai promotori del referendum ci sembra però condivisibile. Come già sottolineato, qualche dubbio lo fa sorgere il quesito sulla salute della donna, ma semmai preferiremmo che questa legge venisse modificata in Parlamento piuttosto che da un quesito secco. Non abbiamo pertanto alcuna ragione per votare SI. Se anche fosse vero, ma è difficile stabilirlo, il rilievo che la legge non sia uno specchio della società, non crediamo che il problema si risolva votando in maniera diversa da quello che è il proprio pensiero: il pluralismo funziona se ognuno ha chiaro quello che pensa, vota di conseguenza e se si cercano spazi di mediazione, non se uno vota in maniera diversa da come pensa in un momento, come quello della consultazione referendaria, che non lascia spazio alla mediazione.

Possiamo votare NO . La scelta ci sembra controproducente; non avendo ragioni per modificare la legge ci pare che scegliere di votare No finirebbe per dare una mano a chi è intenzionato a votare Si, cioè per realizzare un obiettivo contrario alla nostra volontà.

Possiamo Astenerci. Ci sembra questa la soluzione più plausibile, sia perché ci sembra il modo più efficace per non contribuire alla modifica della legge nel senso indicato dai promotori del referendum, sia perché non crediamo che la consultazione referendaria possa aiutare la ricerca di una soluzione a queste complesse e delicatissime questioni.

Il comitato

Ci è stato chiesto di far parte di un Comitato ( 'Comitato Scienza e Vita' per la legge 40) che ha come obiettivi quelli di diffondere la cultura dei principi ispiratori della legge 40, evitarne modifiche parlamentari che realizzino gli effetti peggiorativi perseguiti dai promotori del referendum, impedire l'effetto abrogante dei referendum. Abbiamo riflettuto e discusso molto prima di aderire.
In generale ci sentiamo di condividere le linee di fondo del comitato e in particolare la scelta del doppio no, alle modifiche e allo strumento referendario.

Un problema che molto ci ha fatto riflettere è se la scelta di creare un simile comitato vada nella direzione di sottolineare che le questioni bioetiche non riguardano i soli cattolici, oppure se approfondisca il solco fra cattolici e laici, il che sicuramente non aiuta la 'soluzione' dei problemi. E' evidente che questo dipende dalla struttura del comitato, e in particolare dalla presenza o meno di membri laici al suo interno, e dai modi con cui questo porterà avanti la sua azione. La natura non confessionale del comitato e la presenza all'interno dello stesso di alcuni membri non cattolici, certamente una minoranza ma comunque presenti e valorizzati, ci fanno ritenere che possa essere un valido strumento per perseguire gli obiettivi che si è dato.
Un'altra obiezione che ci siamo posti è quella se, come presidenti di un'associazione, sia giusto partecipare ad una simile iniziativa che comunque è un'iniziativa politica. Sinceramente crediamo che si debba superare questa obiezione: la presenza di parlamentari di diversi e contrapposti partiti non consente di ricondurre l'azione di questo comitato ad un particolare partito politico o schieramento, il che garantisce dal rischio di collateralismo e di strumentalizzazione politica dell'associazione. A fronte di questa garanzia, non crediamo di poterci ritirare dicendo che dobbiamo occuparci della formazione delle coscienze e non di politica. La società civile non può tirarsi indietro nel momento
in cui le è chiesto di prendere una posizione e di agire in maniera non partitica, per una causa che riteniamo essere di civiltà. Sarebbe un guaio se il nostro lavoro di formazione delle coscienze si fermasse nel momento in cui c'è da prendere una posizione e trarre delle conseguenze. Purtroppo oggi prendere posizione è un obbligo nel vero senso della parola: la 'fuga' non è prevista fra le alternative referendarie.
Pertanto abbiamo aderito personalmente a questo comitato, dove cercheremo di portare quella sensibilità dialogante e aliena da ogni spirito di crociata che ci è stata insegnata all'interno della Fuci; l'associazione rimane libera di fare i passi che meglio crede.

Alcune conclusioni

Qualunque sia l'esito di questa consultazione, in termini di risultato e di ripercussione per il nostro Paese, crediamo che sia assolutamente ingenuo e fuori luogo pensare che le questioni legate alla procreazione assistita e alla bioetica si possano considerare chiuse con questo referendum. Nel caso vincessero i promotori del referendum sarebbe un gravissimo errore pensare di essersi sbarazzati dei cattolici oscurantisti e denoterebbe un'incapacità di comprendere l'importanza, la complessità, l'universalità, la delicatezza delle questioni legate all'inizio della vita. Nel caso in cui la legge non venisse modificata, altrettanto grave errore sarebbe il ritenere da parte di chi la ha sostenuta di aver definitivamente risolto la questione; i problemi sollevati dalla legge 40 sono enormemente superiori alla legge stessa, la superano e inevitabilmente si ripresenteranno su questa e su altre materie.
Pertanto crediamo che da parte di tutta la società civile dovrà continuare lo sforzo di cercare di comprendere la delicatezza delle questioni in gioco e tentare di venirne a capo con le armi della cultura, del pensiero e del dialogo. Sarà il Parlamento che dovrà di volta in volta decidere, ma in questo campo la società civile può offrire tantissimo in termini di elaborazione culturale.
Un ultima parola infine va dedicata all?istituto del referendum, che mostra in questo caso tutti i suoi limiti e fragilità e chiede chiaramente una revisione delle regole che lo governano. Il nodo del problema sta nel fatto che mentre chi vuole abrogare la legge ha chiaro cosa deve fare, cioè votare Si, stando alle regole attuali il cittadino che vuole che la legge non venga modificata non sa che cosa deve fare, se astenersi o votare No. In via teorica nessuno avrebbe motivi per votare No: se il Si già da solo raggiunge il quorum, la battaglia è già persa; altrimenti è meglio non contribuire al raggiungimento del quorum. Un interesse a votare No si può avere soltanto nella misura in cui non vi è coordinazione fra chi è contrario alle modifiche proposte dal referendum, per cui questa contrarietà si disperde fra chi vota no e chi si astiene. In altre parole se ci si accorge che una parte significativa dei contrari alla modifica della legge è intenzionata a votare No, per cui è probabile che il quorum venga raggiunto, allora conviene che tutti i contrari
alla modifica vadano a votare No.
Ma come può funzionare correttamente un istituto di democrazia diretta se il cittadino che ha chiaro quello che vuole (non modificare la legge), non può sapere con certezza quello che deve fare (votare No o astenersi)?

Enrica Belli Davide Paris
Presidenti nazionali FUCI

Il valore della vita

Dai blog dell'Azione Cattolica Italiana.


“Ci siamo assunti un impegno straordinario per i prossimi mesi: vivere questa campagna referendaria come occasione per dire in ogni modo il valore della vita, in quei termini culturali ed educativi che appartengono alla nostra sensibilità dando nel contempo qualche segno forte di attenzione e di accoglienza, soprattutto riproponendo il valore dell’affido e dell’adozione e rendendoci sensibili e attenti a tutte le situazioni in cui la vita è debole e mortificata”.

Così la presidenza nazionale dell’Azione Cattolica italiana scrive ai presidenti diocesani, in una lettera che segna l’avvio di una stagione di confronto importante, in cui l’associazione è chiamata, tanto a livello locale quanto sulla scena nazionale, ad offrire il proprio contributo di idee e di valori.

Un compito che l’AC intende svolgere insieme a quanti ritengono che scienza e vita debbano stringere una profonda alleanza. E proprio Scienza e Vita si chiama il comitato cui hanno aderito la presidente Paola Bignardi, i vicepresidenti Ernesto Preziosi e Marco Franchin, i presidenti di Fuci e Meic, tantissime firme illustri dell’associazionismo cattolico, ma anche molti laici, spesso esponenti proprio del mondo scientifico.

Un sì alla vita e un doppio no al referendum, è questo in sintesi il messaggio dei 112 firmatari, che se da un lato difendono la legge 40 del 2004, dall’altro rifiutano il ricorso al referendum per definire scelte così importanti e complesse. L’opzione espressa dal comitato, attraverso un appello di cui hanno dato notizia i giornali di domenica, è quella dell’astensione, intesa non come un ritrarsi dal confronto, ma come il modo migliore per far sentire forte il proprio no.

“Non andremo a votare – si legge nell’appello – proprio per esprimere con fermezza questo nostro doppio no. Ma anche per ribadire alcuni obiettivi strategici: riaffermare – contro ogni deriva scientista – che gli esseri umani non sono cavie; dare ai figli genitori veri e conosciuti, garantendo la certezza di specchiarsi nello sguardo di un padre e di una madre; dare nuovo slancio ad una società che a partire dal rispetto dei più deboli consolidi i valori fondamentali del nostro vivere civile, quali solidarietà, giustizia, uguaglianza, libertà e pace”.

Gennaro Ferrara

lunedì, febbraio 21, 2005

Newman

Oggi a Dublino nevica, avvenimento insolito. Da quando sono qui, tre anni, ho visto la neve solo 3 volte, nell'aria, ma mai così bella. I grandi prati del campus sono tutti imbiancati, sembra Natale.
(Potete farvi un'idea tramite una delle telecamere che danno sul laghetto)

Inizia oggi per me una settimana piena di impegni, all'insegna di Newman.

Nel pomeriggio sarà inaugurato l'International Centre for Newman Studies.
Il sito ufficiale contiene molto materiale ed è un'utile introduzione alla vita e l'opera del cardinale inglese.
Domani è il mio compleanno.
Dopodomani, nel mio college, terrò una conferenza su l'Idea di Università, per l'associazione Atlantis.
E venerdì tornerò in Italia a presentare la mia traduzione.



She's gone 2000 miles, it's very far
The snow came down
Get's colder day by day, I miss her

I hear children singin'
It felt like Christmas time

In these frozen and silent nights
Sometimes in a dream you appear
Outside under the purple sky
Diamonds in the snow sparkle

And our hearts were singin'
It felt like Christmas time

2000 miles is very far through the snow
I think of you wherever you go
2000 miles is very far through the snow
I think of you wherever you go

She's gone 2000 miles, it's very far
The snow came falling now
Get's colder day by day, I miss you

I hear people singin'
It felt like Christmas time

I hear people singin'
It felt like Christmas time

I hear people singin'
It felt like Christmas time

I hear people singin'
It felt like Christmas time

domenica, febbraio 20, 2005

Dal MEIC

Dal sito del MEIC, Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale.

RIFLESSIONI SU VITTORIO BACHELET A 25 ANNI DAL SUO SACRIFICIO
di Fulco Lanchester

Consiglio Superiore della Magistratura 11 febbraio 2005 – Sala Conferenze XXV Anniversario della scomparsa di Vittorio Bachelet
Intervento del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, prof. Virginio Rognoni

Introduzione giuridica al Seminario della presidenza nazionale di Azione cattolica sulla fecondazione artificiale
Intervento del presidente nazionale del Movimento, prof. Renato Balduzzi

LA COSTITUZIONE OGGI UNA DISCUTIBILE RIFORMA, UNA DERIVA PERICOLOSA

Intervento del prof. RENATO BALDUZZI, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Genova, presidente nazionale del MEIC

Democrazia, potere, partecipazione : governare la società complessa in un mondo globalizzato
Sintesi della Relazione del prof. RENATO BALDUZZI, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Genova, presidente nazionale del MEIC

sabato, febbraio 19, 2005

Troppa grazia!

Nel giro di tre o quattro giorni mi sono trovato citato in quattro siti diversi. Che emozione!

Su Romanzieri.com, dove si parla della mia traduzione. Ho l'impressione che da quelle parti ci sia qualcuno che mi conosce, altrimenti non si spiega tanta attenzione, già mostrata in passato.

Poi su Impegnoreferedum il sito di Avvenire dedicato alla riflessione sui prossimi referendum.

Oggi wxre riprende il dibattito dei mesi scorsi con Massimo Adinolfi sull'umanità dell'embrione. Luigi Deniet aggiunge delle considerazioni molto interessanti.
E a queste si ricollega Friedrich Bapa, sul suo blog cattolico-liberale.

Un grazie a tutti.

(Siamo in Quaresima e il proprio orgoglio non andrebbe alimentato ma, si sa, siamo fragili e sempre in cerca di considerazione)

ps.
Si è aggiunto alla discussione anche Filaretum.
Season of the hurricane, dig deep you redwood trees.
Watch while our year draws to a close.
Sing for us you cloistered men, a cold cathedral hymn.
Wipe from our feet the city street,
turn our city lights down dim.
Maybe we’re just trying to hide away.
Maybe we’ll just put it in a box.
Maybe we’ll remember just how it’s meant to be.
When it was you and me always forever.
Keepers of the gate, watchers on the wall,
waiting for the rain to fall.
I came here unsuspecting of the land that lay in wait.
I came here with wild dogs at my heels.
Took the trail to the mountain top, saw the solitary star.
I knew I could be silent here,
No poison cloud, no sidewalk crowd, no jagged, burnt out car.
I fear the world gonna sink.
Light become relentless, rivers stink.
And only those with dollars get to drink.

giovedì, febbraio 17, 2005

Sul manifesto dei cattolici e laici per il sì

Sul manifesto dei cattolici e laici per il sì

Un documento/manifesto di laici e cattolici nel centrosinistra «per un confronto leale» sulla materia referendaria e «contro il bipolarismo etico» nella società civile merita rispetto ed è con questo sentimento (cui si aggiunge la stima per amici presenti tra i firmatari) che stendo le osservazioni che seguono. Osservazioni severe, però, perché il documento contiene troppe affermazioni affrettate un tono liquidatorio davvero mal riposto su questioni d’importanza per passare senza vaglio.

Già le “premesse” (i primi tre capoversi) suonano incoerenti con l'assunto etico dei suoi estensori, per. Mi pare errato (oltre che grossolanamente formulato) condannare come "dottrinario e astorico", "semplicistico di tipo ideologico", "sconnesso da una lettura della realtà sociale" l’atteggiamento di chi assume la propria impostazione etica come "bene massimo" su cui valutare margini possibili di scostamento e soglie di non negoziabilità. Anzitutto una prospettiva etica non pone se stessa come bene massimo ma coglie un bene massimo come proprio fondamento e riferimento. Così non è per proteggere se stessa che definisce dei beni assiologici non negoziabili ma per affermare coerentemente quei beni.

La coerenza in questo non è dottrinarismo; e appare comunque ingenuo parlare di “astoricità” riguardo agli enunciati del dover-essere. Nessun dover-essere (dai minimi ai massimi) che impegni assenso e decisione conforme si presenta con correttivi relativistici o nella forma di una "storia". Né “non uccidere” né “vietato calpestare le aiuole” mi riguardano eticamente nella forma non prescrittiva: “in un antico testo si comanda: Non uccidere”, o “in qualche cartello è scritto Vietato ecc.”. Né la "concreta realtà sociale" ha (né potrebbe avere) in se stessa funzione e valore di norma; quando questo avviene è perché il concreto si trasforma in modello e attira a sé (o contro di sé) come un assoluto. È proprio la concreta realtà sociale che rende forte la "presa di posizione"; quanto più è "concretamente" conosciuta tanto più essa urge il giudizio.

Non per questo un (necessariamente) “assoluto” dover-essere considera il pluralismo delle tesi o delle tavole di valore come un vincolo, anche se non è tenuto a riconoscerlo sempre e comunque come "ricchezza". Ma non assegna al "pluralismo" alcuna decisione sovrana sul proprio valore; è semplice osservare che se un ordine pluralistico riducesse gli assoluti morali ad opinioni non-regolative non avremmo alcun pluralismo, ma solo un pulviscolo indifferente di atteggiamenti personali e contingenti. Un pluralismo, poi, che imponesse di "evitare" di promuovere norme "pur moralmente fondate" diventerebbe (e diviene frequentemente) un apparato di neutralizzazione forzata di ogni dover-essere.

Lo spazio pubblico plurale sussiste come spazio di confronto e di regolato conflitto; e non vi è motivo di pensare che questo "laceri la società". Il “bipolarismo etico” paventato dal documento (per analogia, negativa evidentemente, col bipolarismo del sistema politico), per cui una diversa maggioranza politica favorirebbe ogni volta una opposta norma, non produce per sé effetti relativistici; al contrario, eventualmente definisce l'immagine dell'altro.

Nel documento risultano manierate (su questa falsariga) molte altre osservazioni di metodo, come quando esso oppone al negoziato tra «appartenenze separate» una specie di destinazione del civis al bilanciamento. O quando rifiuta «gli unilateralismi ideologici e confessionali» o sottolinea che «libertà della coscienza significa che è in definitiva la persona a scegliere, ascoltate tutte le posizioni emergenti nello spazio della discussione». Gli estensori sollecitano dai lettori un facile consenso, chiedendo però di connotare negativamente le appartenenze (le quali come potrebbero esistere se non “separate”?); sembrano pensare che la persona che in definitiva “sceglie” sia moralmente superiore a quella che “appartiene” poiché, pare ci dicano, chi “appartiene” non può scegliere. Sfugge agli estensori che chi “appartiene” spesso (forse sempre, perché cosciente appartenenza vuole liberi atti di assenso) appartiene in virtù di una scelta, ha già scelto. E ciò che si è scelto ha tanto più forza e irrevocabilità (data la nostra finitezza) quanto più è seria la materia della scelta.

Quante volte il dibattito filosofico ha, nella sua storia, sancito che la scelta di scegliere di scegliere è vuota? Perché essere costretti a ricordare a dei cattolici questo; forse perché tra loro vi sono dei laici?

La tematica (la realtà) disciplinata dalla Legge 40 non è in sé materia su cui fare esercitazioni di pluralismo, quasi in corpore vili. Scelgano gli amici altri terreni. Sono in gioco, come molte intelligenze scientifiche riconoscono, il significato e la dignità dell’uomo. Chi lo avverte non può collocarsi in medio per tutelare il metodo democratico a scapito del merito antropologico, la tutela del nascituro, ad esempio, che è conquista civile e giuridica non negoziabile.

La sequenza delle indicazioni che il manifesto del sì ci propone (e le sue ragioni) è sintomatica di questa “perdita del centro”. Non a caso l’indicazione di voto procede dal quesito sulla fecondazione eterologa. Certo, la portata (la rischiosità, l’indesiderabilità) socio-antropologica della generalizzazione di quella tecnica è enorme, e anche lo scrivente ha preso posizione. Ma non è per questioni di antropologia familiare che l’eterologa è in gioco nel referendum. Il perno di tutto è altrove, ed è là dove il documento esibisce invece scetticismo. Polemico («la mera equiparazione ecc. rispecchia solo una parte limitata ecc.») sulla protezione giuridica dell’embrione, esso mostra disponibilità ad accogliere un suo surrogato come generica tutela della “dignità umana di tutti i soggetti” (gli estensori, che negherebbero polemicamente di sapere cos’è “persona”, sanno invece cos’è “soggetto”!), retorica perché applicabile o non applicabile ad libitum. Sfugge agli estensori l’affermazione che l’inizio della vita è “progetto (!) di vita” (da quando un inizio è un progetto, se non in linguaggi omiletici?), illogicità che la più consapevole cultura bioetica laica non lascerebbe passare. Tutto converge, contro le premesse e le ambizioni, in un sottrarsi, nell’oggi, alla responsabilità intellettuale e civile-religiosa della cultura cattolica. E non consola che si rinvii alla benevolente “garanzia” di qualcuno (ancora la dipendenza cattolica dagli altri, come nel recente passato!).

Sugli altri quesiti, da un lato, il “metodo pluralistico” degli estensori neutralizza, naturalmente, il pure «astrattamente condivisibile obiettivo di evitare selezioni eugenetiche»; dall’altro teorizza come scelta «doverosa» il sì all’utilizzo degli embrioni sovrannumerari (tutti, a quanto pare, passati e futuri, quelli prodotti e quelli che produrremo), motivato con la necessità di non apparire «rigidi», di «non concepire in modo statico la vita» (!) e con la analogia - che pare, ad alcuni, praticabile con enorme cautela solo per una parte degli embrioni congelati - tra uso sperimentale dell’embrione disponibile e espianto di organi dal cadavere.

I costi di questa esibita “liquidità” (non solo metodologica, ma di ragioni e convinzioni) sono obiettivi: si chiede al partito del sì dato per vincente (ma con quale realismo quel vincitore appare capace di “generosità”?) che il concepito resti sì “protetto” ma non lo si protegge dai «buoni motivi» per manipolarlo entro limiti «certi e definiti». L’amico Ceccanti non troverà chi affermerà di non avere buoni motivi, né chi definirà dei limiti senza disporre di veri criteri. Gli estensori (e Giuliano Amato, al cui progetto si rinvia) conoscono il momento maturativo in cui inizia la “dignità umana” o affideranno l’onere di stabilirlo di volta in volta alla “coppia”, ai medici, ai comitati etici?

Ma vi sono anche costi culturali. Ancora all’inizio del Terzo millennio cristiano, dopo che il Signore ha scaraventato in mare cavallo e cavaliere (Esodo 15. 1,19), una cultura cattolica si propone informe su un terreno in cui solo la Weltanschauung cristiana ha strumenti, criteri e forma; e si propone per farsi formare (“la forma dell’acqua”) e dignificare proprio dall’approvazione di chi criteri e strumenti non ha. Mi si dice che il “mondo cattolico” rappresentato dai firmatari sia ormai piccolo e ininfluente. Non lo credo; ovvero, è forse così ma le alleanze naturali sono molte. Troppo solo abbiamo lasciato l’alto magistero di Roma; troppo grande è stata la nostra inazione rivestita di piccole (e sante) buone opere e di non santa enfasi. Per questo anche l’astensione cattolica e non cattolica sarà una scelta non conformistica, difficile da ottenere. E un banco di prova della nostra dignità.

Pietro De Marco

mercoledì, febbraio 16, 2005

16 parlamentari di diversi schieramenti promuovono l'astensione

«RISPOSTA RESPONSABILE PER EVITARE IL RITORNO AL FAR WEST»

All’inizio del 2004 il Parlamento ha approvato la legge sulla procreazione medicalmente assistita, dopo anni di riflessione e di approfondimento. Lo ha fatto consapevolmente con un’ampia maggioranza, perché come ha riconosciuto la Corte costituzionale (quando ha dichiarato inammissibile il referendum che chiedeva l’abrogazione totale di tale legge), la situazione fino a quel momento aveva visto la «produzione» di decine di migliaia di embrioni crioconservati, il cui futuro è ancora sospeso nel vuoto, centinaia di donne interessate da pratiche di fecondazione invasive e pericolose, coppie «esaurite» psicologicamente, fisicamente ed economicamente, paradossali moltiplicazioni delle figure dei genitori e scioccanti annunci di clonazione umana. Il Parlamento ha fissato delle regole certe, nell’interesse di tutti, anche del concepito, che per la prima volta è stato riconosciuto soggetto di diritti. L’approvazione dei quattro quesiti referendari ammesso dalla Consulta farebbe ricadere nella situazione antecedente l’intervento normativo, ritornando al Far West.
Riteniamo che non recarsi al voto sia la risposta più responsabile alla sfida referendaria. La delicatezza della materia, i valori che chiama in causa, la necessità di distinguere i vari e articolati profili del rapporto fra la tecnica, la ricerca e il rispetto della dignità di ogni essere umano impongono questa scelta e rendono incongrua e sommaria una semplicistica risposta da «sì» o «no» a singole parti della legge 40/2004. Non votare lascia invece aperto un confronto di merito, che sarà favorito dalla valutazione oggettiva degli effetti delle nuove norme: una valutazione che, in base alla stessa legge, compete in prima battuta a un Parlamento che non deve sottrarsi a tale responsabilità. Non votando, ci impegniamo a lavorare, con chiunque voglia aderire alla nostra iniziativa, a fianco dei cittadini per informarli e comprendere il merito delle questioni in gioco, rifiutando posizioni astratte e ideologiche, slogan «terroristici» e senza fondamento; per esempio, a dare conto di quanto sostiene la gran parte della comunità scientifica, che riconosce nella ricerca sulle staminali una terapia certamente più efficace rispetto a quella delle cellule embrionali.


Angelino Alfano (Fi), Federico Bricolo (Lega Nord), Enzo Carra (Margherita), Alessandro De Franciscis (Udeur), Domenico Di Virgilio (Fi), Massimo Grillo (Udc), Anna Maria Leone (Udc), Maurizio Lupi (Fi), Renzo Lusetti (Margherita), Gennaro Malgieri (An), Alfredo Mantovano (An), Francesca Martini (Lega Nord), Antonio Palmieri (Fi), Patrizia Paoletti Tangheroni (Fi), Riccardo Pedrizzi (An), Luca Volontè (Udc).

martedì, febbraio 15, 2005

L'Idea di Università



La mia traduzione è finalmente uscita.
Qui tutti i particolari.

Approfitto dell'occasione per segnalare che è stata pubblicata qualche mese la traduzione tedesca de L'Idea di Università, traduzione realizzata nella seconda metà degli anni Venti da Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce.
Sul sito della curatrice qualche dettaglio in più
.

E' vita!

Grazie ad Avvenire, un ottimo sito per capire i prossimi referendum.

sabato, febbraio 12, 2005

Celebrations

Da queste parti si festeggia. Si festeggia innanzitutto perché questo piccolo blog ieri ha compiuto tre anni. Già, abbiamo iniziato tre anni fa, quando in Italia eravamo qualche decina.
E poi si festeggia perché oggi è San Valentino. Sarà anche una festa cretina ma quando uno è innammorato ....

Pochi lo sanno ma le spoglie di San Valentino sono a Dublino. Furono regalate da un papa dell'Ottocento ad un predicatore carmelitano irlandese che le riportò qui. Si trovano in una chiesa dove vado spesso a pregare, in Whitefriars Street.

A chi l'anima gemella la sta ancora cercando consiglio la lettura di questo articolo apparso oggi su BBC News. Si parla di on line dating, ossia dei siti internet che aiutano a conoscersi ed ad incontrarsi. Secondo un recente studio inglese hanno un'alta percentuale di successi. Non mi stupisce, visto che nel mio caso ha funzionato.

Auguri a tutti!

Vittorio Bachelet



Il 12 febbraio saranno 25 anni dall'uccisione di Vittorio Bachelet, uomo giusto.
Ho avuto la fortuna e l'onore di conoscerlo come amico. Fu vittima di una violenza politica particolarmente ingiusta e ignorante. Sapendosi minacciato, non volle altra difesa che la sua chiara e aperta umanita'.
Il figlio Giovanni, nello spirito di suo padre, perdono' gli uccisori. I quali, qualche tempo dopo, furono toccati e vinti da quel "segno vincente di pace" in cui "la vita aveva trionfato sulla morte" e si sentirono liberati dal loro passato perche' ricevettero "l'immagine di un futuro che puo' tornare a essere anche nostro".
Anche chi non fa una precisa professione di fede, puo' riconoscere un segno pasquale, di risurrezione, in quella vicenda umana, che nascostamente si rinnova, a bilanciare tante violenze e offese, nella storia umana.
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Il 12 febbraio 1980 le Brigate Rosse uccidevano a Roma Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Durante il rito funebre, ripreso dalla televisione, il figlio minore Giovanni (24 anni) prego' per gli uccisori del padre e, a nome della famiglia, annuncio' il perdono.
Quasi quattro anni dopo, un fratello dell'ucciso, il padre gesuita Adolfo Bachelet, ricevette da diciotto brigatisti rossi una lettera, di cui riportiamo il brano seguente: Sappiamo che esiste la possibilita' di invitarla qui nel nostro carcere. Di tutto cuore, desideriamo che Lei venga e vogliamo ascoltare le sue parole. Ricordiamo bene le parole di suo nipote, durante i funerali del padre. Oggi quelle parole ritornano a noi, e ci riportano la', a quella cerimonia, dove la vita ha trionfato della morte e dove noi siamo stati davvero sconfitti, nel modo piu' fermo e irrevocabile.
Per questo la sua presenza ci e' preziosa: ai nostri occhi essa ci ricorda l'urto tra la nostra disperata disumanita' e quel segno vincente di pace, ci conforta sul significato profondo della nostra scelta di pentimento e di dissociazione, e ci offre per la prima volta con tanta intensita' l'immagine di un futuro che puo' tornare a essere anche nostro. Solo alcuni di noi si sono aperti in senso proprio alla esperienza religiosa, ma creda, padre, che tutti, nel momento in cui con tanta trepidazione la invitiamo, ci inchiniamo davanti al fatto puro e semplice che la testimonianza d'umanita' piu' larga e vera e generosa sia giunta a noi da chi vive in spirito di carita' cristiana
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Dio non ci evita il male, non lo impedisce.
Lo prende su di se'.
La sua potenza consiste nel trasformare il male in bene, la morte in vita, come trasse la luce dalle tenebre.

Enrico Peyretti

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Vittorio Bachelet e la pienezza di umanità

Ricordarlo nel giorno anniversario della sua morte è sempre stato, in questi venticinque anni, un modo per riflettere sulla necessità di presenze cristiane in grado di testimoniare la propria fede nella comunità cristiana e nella città degli uomini.

Molti aspetti sono stati studiati della vita di Vittorio: la formazione giovanile, la vocazione intellettuale, la partecipazione attiva al rinnovamento nella stagione conciliare e l’opera per un’ACI rinnovata, il servizio libero e disinteressato alle istituzioni.
Aspetti differenti che si fondono in una personalità che si presentava nella semplicità e con una grande e sempre serena disponibilità.

Vorrei fermarmi proprio sulla dimensione umana: il ricordo di molti, anche il mio personale - un giovane che incontrava il presidente di cui aveva grande ammirazione - ci restituisce un uomo pacifico, aperto, capace di ascolto, di dialogo, disponibile a coinvolgesi in prima persona se interpellato anche su aspetti minimi della vita personale. Non che non avesse le sue idee, non che non esprimesse una sua linea – ne abbiamo più di una traccia sia nel lungo percorso di Azione Cattolica, sia nella sua professione – ma su tutto prevaleva la carità che si traduceva in uno stile sobrio, schietto, sorridente, nella lealtà dei rapporti umani. Vittorio rappresentava quella pienezza di umanità che si realizza nella maturità: nella ricononciliazione con Dio e con gli uomini.

Oggi che richiamiamo la memoria di quella morte così violenta quanto ingiustificata, insieme ai molti aspetti della sua personalità e alla ricchezza della sua testimonianza, vorremmo interrogarci sulle radici profonde di tale capacità di fraternità, di amicizia, di responsabilità.

Ernesto Preziosi

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ROMA - «Non ho dimenticato nulla di quella mattina. Non soltanto la sequenza dei fatti, non ho dimenticato le sensazioni. Conservo addirittura il ricordo dell’odore della polvere da sparo», racconta Rosy Bindi, oggi deputata della Margherita e 25 anni fa assistente di Vittorio Bachelet nella sua cattedra di diritto amministrativo all’Università «La Sapienza» di Roma. «Se non l’avessero ucciso, il 20 febbraio avrebbe compiuto 79 anni. Nel tempo trascorso da allora, avrebbe potuto dare molto al Paese», aggiunge la donna che accompagnava la vittima senza sapere che erano in agguato i macellai delle Brigate rosse. Che cos’altro le è rimasto impresso?
«Tutto, le dico. Potrei cominciare dal deserto che ci trovammo intorno uscendo dall’aula della lezione».
Ossia prima dell’attentato. Perché un deserto?
«I corridoi del pianterreno di Scienze politiche erano stati sgombrati. Al piano superiore Luciano Lama teneva una conferenza contro il terrorismo. Qualcuno sparse la voce che c’era una bomba e noi non fummo avvertiti. Esclusivamente la nostra aula: chi si incaricò di avvisarci non lo fece. Proprio perché la voce era falsa e serviva a ridurre il numero dei testimoni».
Lei e Bachelet andaste al primo piano, diretti verso le stanze dei docenti. Saliste due, tre scalini.
«Io ero alla sua sinistra. Anna Laura Braghetti, con la testa coperta da un cappellino di lana e il volto sorridente, lo chiamò: "Professore"».
Come reagì?
«Vidi la faccia di lui che si era reso immediatamente conto: era una persona sempre sorridente, accogliente, e gli si scolpì in volto la paura. Poi...».
Poi?
«Poi i brigatisti lo allontanarono e gli spararono. Al petto. Alla nuca».
E lei?
«Io chiamai a lungo. Però non arrivò nessuno, fin quando non se ne accorsero dai piani superiori. Uno degli aspetti più terribili è che in quei momenti la paura è l’istinto più forte che ti prende. Perfino la pietà arriva dopo. Prevale il senso di impotenza, la ricerca di aiuto. Che coraggio ci voleva a far fuori un uomo così?».
Bachelet aveva rifiutato la scorta. Perché?
«Glielo avevo chiesto. Pensava ad Aldo Moro, che aveva insegnato nella stessa aula. Gli studenti erano talmente tanti, con Moro, che se dovevamo rivolgerci a lui facevamo prima a parlare con Oreste Leonardi, il capo della scorta poi massacrata. Bachelet mi rispose: "Meglio morire da soli che in cinque"».
Il perdono offerto agli assassini da Giovanni, il figlio di Bachelet, colpì l’Italia. Per lei, cattolica e testimone dell’agguato, quale significato ha?
«Anni dopo, alcuni brigatisti visitati in carcere dai due fratelli di Bachelet, Adolfo e Paolo, gesuiti, dissero: "La nostra vera sconfitta non è stata da parte dello Stato. C’è stata con quella preghiera del figlio a San Bellarmino"».
Non le pare che Anna Laura Braghetti, nel libro «Il Prigioniero», sia stata molto indulgente con se stessa?
«Molto. E non mi è piaciuto il film che ne ha tratto Marco Bellocchio».
Oggi si ridiscute di quel passato, si rievocano morti precedenti come il rogo di Primavalle. Se ne parla nel modo giusto, a suo avviso?
«So che non sono disponibile ai colpi di spugna. Le persone vanno sempre riscattate. Nulla in contrario ai permessi della legge Gozzini, alle misure del caso. Ma no a un’amnistia politica».
Per quale ragione?
«Perché il terrorismo, oltre a uccidere padri di famiglia, ha tolto all’Italia gli uomini migliori. Uomini che si prefiggevano di realizzare la Costituzione: Bachelet, Moro, Emilio Alessandrini... Ci hanno privato di una classe dirigente, ne abbiamo pagato la mancanza. Benché molto diverse, la corruzione di Tangentopoli e il terrorismo sono ferite del nostro Paese. E le Br non hanno mai detto tutta la verità. La regìa era altrove».
Maurizio Caprara, Corriere della Sera, 12 febbraio 2005.

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Venticinque anni fa, il 12 febbraio 1980, assassinato dalle Brigate Rosse, moriva a Roma Vittorio Bachelet. Qualche giorno dopo, durante il solenne funerale celebrato in San Pietro, Giovanni Paolo II disse: «L'eloquenza di questa morte consiste nella testimonianza. Il morto può dare ancora una testimonianza? Sì, la dà mediante ciò che egli era, il modo in cui è vissuto, il come ha operato. La dà anche mediante i vivi: mediante coloro che facevano parte della sua vita. Mediante coloro che ha lasciato orfani. Mediante la famiglia. Ed ancora mediante l'ambiente al quale apparteneva. Mediante tutti noi».
Sono parole che, nel mentre mettono mirabilmente a fuoco il senso più vero di una vita e di una morte fuori del comune, ci riportano con efficace immediatezza al clima di quei giorni, all'ondata di commozione che percorse tutta l'Italia, alla lezione di fede che la famiglia di Vittorio seppe allora darci (come non ricordare la preghiera di Giovanni durante il rito funebre in San Roberto Bellarmino?); e soprattutto ci inducono a riflettere sulla straordinaria testimonianza umana e cristiana di un uomo che nell'umiltà, senza far notizia, seppe dare un contributo importante alla crescita religiosa e civile della società italiana.
Ebbi il privilegio di lavorare nella segreteria di Vittorio Bachelet negli anni in cui egli fu presidente dell'Azione Cattolica Italiana: 1964-1973; anni densi di grandi avvenimenti e di cambiamenti profondi, sia nella comunità ecclesiale, sia in quella civile. Potei perciò conoscere da vicino la sua spiritualità e il suo modo di affrontare i problemi del tempo. Di quella spiritualità vorrei qui richiamare tre aspetti, che mi sembrano particolarmente significativi.
Anzitutto la serenità e il cristiano ottimismo con cui Bachelet guardava alla vita di tutti i giorni. Vittorio era un uomo di speranza nonostante tutto, cioè nonostante le difficoltà del mondo, di cui aveva piena coscienza; e voleva che ogni cristiano, in particolare ogni iscritto all'Azione Cattolica, fosse nella Chiesa e nella società una «forza di speranza», cioè «una forza positiva capace di costruire nel presente per l'avvenire». Il suo ottimismo era l'espressione di una profonda fiducia nell'uomo, oltre che in Dio. Ad esso erano strettamente collegate una grande serenità d'animo e una visione positiva delle cose. Vittorio non perdeva mai la calma e la fiducia. Attraversava certo momenti di grave preoccupazione, soffriva indubbiamente dei mali della società, ma non si lasciava mai andare ad espressioni di sconforto e di sfiducia.
Al contrario, lavorava nella fiducia e nella speranza («Per conto mio - disse pochi giorni prima di morire - vivo nella fiducia che piccoli segnali possano diventare una grande luce»), ed esortava a vivere in una visione positiva e costruttiva della realtà. Era sua convinzione che la protesta potesse essere utile e talvolta necessaria, ma che la proposta era di gran lunga da preferirsi, perché più efficace e costruttiva. Vittorio desiderava che i cristiani sapessero «guardare alla realtà della Chiesa e del mondo non solo per piangere sulla tristezza dei tempi, ma per scoprire le speranze di arricchimento, le possibilità di bene su cui costruire un avvenire migliore. Guardare alla realtà del mondo non solo per elevare proteste più o meno vibrate - anche queste talora necessarie, ovviamente - ma per vedere con quali mattoni si possa costruire una casa migliore; non solo per correre a spegnere a ogni pie' sospinto la casa che bruciava, ma per costruire nuove case, non più di paglia così da prendere fuoco ad ogni alitare di vento, ma solidamente in cemento armato».
Il secondo aspetto della spiritualità di Vittorio Bachelet che vorrei qui brevemente ricordare riguarda il senso di apertura verso i fratelli. Chi ha potuto avvicinarlo sa quanto grande fosse la sua capacità di accoglienza, di ascolto, di condivisione, di rispetto, in una parola di amore. Di fronte all'interlocutore (chiunque esso fosse: pove ro o ricco, colto o ignorante, condividesse o no le sue idee politiche e religiose) egli si poneva in un atteggiamento di profonda umiltà e sincera disponibilità. E ciò indubbiamente facilitava l'incontro e la conversazione. Parlando con lui avevi veramente l'impressione di essere ascoltato e capito. Sapeva partecipare alle gioie e alle difficoltà di ognuno con pienezza ma anche con raro senso di discrezione. Stava volentieri - e vi faceva bella figura - con le persone colte, brillanti, umanamente vive; ma le sue preferenze erano per quella gente semplice che - come ebbe a dire nel 1970 - «molti oggi, anche tra i cristiani, sembrano considerare un peso per la Chiesa, ma che è quella gente di cui sarà pieno il regno di Dio».
E tra la gente semplice un posto particolare avevano nel cuore di Vittorio i poveri. Non solo i poveri che chiedono l'elemosina all'angolo della strada o alle porte delle chiese, ma anche quelli che egli chiamava i «nuovi poveri». «In questa società quasi opulenta, ci sono infiniti poveri, specie nelle grandi città», disse nel 1972 facendo riferimento ai malati, agli orfani, agli emigranti, ai disoccupati, ai braccianti, ai vecchi la cui solitudine e il cui bisogno di aiuto - precisò allora profeticamente - «sarà uno dei grandi problemi di domani e avrà bisogno di tutto l'amore cristiano per essere affrontato».
Il terzo ed ultimo aspetto riguarda la concezione laica che il credente Bachelet aveva del suo impegno nella Chiesa e nella società. Cresciuto alla scuola della Fuci e dei Laureati cattolici, conosceva molto bene la distinzione maritainiana tra la sfera del naturale e quella del soprannaturale, tra la politica intesa come partecipazione alla costruzione della «polis» e alla realizzazione del bene comune, e la politica puramente partitica, elettoralistica, tecnica; e metteva in guardia contro ogni disordinata confusione e sovrapposizione di fini e di mezzi, prospettando la necessità, già all'indomani del 18 aprile 1948 ma con maggiore in sistenza negli anni in cui fu a capo dell'Azione Cattolica, di una «doverosa opera di chiarificazione, al servizio anch'essa della Chiesa e della città».
Vittorio era un uomo libero, anche nei suoi rapporti con la gerarchia. Era però anche un cattolico obbediente. Libertà nell'obbedienza, o se si preferisce obbedienza nella libertà. In un momento in cui (mi riferisco agli anni dell'immediato post-Concilio) parole come autorità e obbedienza sembravano essere passate di moda, dentro e fuori della Chiesa, Vittorio affermò con vigore la convinzione che si potesse essere liberi ed insieme obbedienti, che «dei cristiani franchi e liberi possano vivere nella Chiesa di oggi e di domani bell'obbedienza e nella pace», additando l'esempio di Camillo Corsanego, che nel 1925 offriva a Pio XI la libertà e la disponibilità dei suoi giovani, non «quasi trepida ansia di servi ma libera confidenza di figli»; di don Primo Mazzolari, che auspicava una generazione di laici che sapessero obbedire al Papa stando «in piedi» e che «in piedi sapessero dargli una mano a portare la grossa croce che ha sul cuore e sulle spalle»; di Angelo Roncalli, «prete, vescovo, Papa libero e fedele», rispettoso delle altrui competenze e responsabilità; e finalmente additando ai cattolici italiani la figura «libera e fortemente cristiana» di Alcide De Gasperi, che - disse nel 1966 - «rimane per noi e per le generazioni che verranno maestro non solo di arte politica, ma vorrei dire soprattutto maestro dello spirito, di coerenza ideale e di rigore morale: espressione veramente di quella spiritualità laicale che tutto assorbe dalla ricchezza cristiana e, nella fedeltà alla Chiesa, liberamente e con propria responsabilità, trasfonde quella ricchezza nel faticoso operare delle realtà umane, nel più grande rispetto di tutti i valori umani: geminando davvero - dato il suo specifico campo di azione - con un genuino senso della Chiesa un autentico senso dello Stato».

Mario Casella, Avvenire, 12 febbraio 2005.

giovedì, febbraio 10, 2005

Il Formicaio



Tutto ciò che l’uomo cerca su questa terra è dinanzi a chi genuflettersi, a chi affidare la propria coscienza e in che modo, infine, riunirsi tutti in un indiscusso, comune e concorde formicaio.
S’intitola L’arte della libertà (Mondadori 2004) ed è un curioso tentativo di illustrare cinquanta categorie politiche, sociali e culturali attraverso altrettante opere di artisti. A elaborare questa particolare galleria simbolica sono un giornalista prestato alla politica, Salvatore Carrubba, e uno storico dell’arte, Flavio Caroli. Ebbene, alla voce "conformismo" m’imbatto in questa citazione di Dostojevskij. Sono parole taglienti che fotografano una realtà costante che nel volume è illustrata ironicamente dalla tela veneziana Il concertino di Pietro Longhi. Il nostro tempo è ancor più esplicito e impudico nel mostrare la verità di quell’asserto: la moda impera e fa seguaci ciechi, il luogo comune imperversa sbeffeggiando chi si affatica a ragionare, la televisione accoglie folle di guardoni istupiditi da spettacoli volgari e "taroccati".
L’immagine del formicaio è illuminante, ma lo è soprattutto una frase amara: l’ansia di «affidare la propria coscienza» a un altro. È questa la vera perdita dell’anima, è l’essiccarsi della moralità, sostituita dal "così fan tutti". E se non siamo più che attenti, questa deriva colpisce ciascuno di noi, perché il conformismo è un nemico invisibile che si insinua in tutti gli ambienti, anche in quelli più santi, lasciandovi le sue spore. Parlando all’assemblea generale dell’Onu nel 1961, Kennedy aveva dichiarato: «Il conformismo è il carceriere della libertà e il nemico dello sviluppo».
Le sue catene sono, però, dorate e la sua violenza è dolce e nascosta. Per questo è necessario tener alta la guardia e non consegnare mai a nessuno la propria coscienza, ma neppure cloroformizzarla nella superficialità.

Gianfranco Ravasi, Avvenire, 8 febbraio.

Fratelli d'Italia

Fratelli d'Italia. Franco e Riccardo Bossi (rispettivamente fratello e figlio di Umberto Bossi) sono stati assunti presso l'Europarlamento con la qualifica di assistenti accreditati, a 12.750 euri al mese. Di mestiere, Franco Bossi fa il venditore di autoricambi a Fagnano Olona e Riccardo Bossi, che ha solo 23 anni, il fuoricorso. "Ma non erano quelli che dicevano Roma ladrona?" commenta indignato un lettore. Tranquillo: meglio cosi'. Vuol dire che in fondo sono italiani anche loro.

Riccardo Orioles

mercoledì, febbraio 09, 2005

Cose da pazzi

Da quando il Corriere è tornato sotto la direzione di Mieli sembra non passi giorno senza una svista, una manipolazione, una caduta di stile.

Oggi hanno pubblicato un'intervista sui prossimi referendum a don Vitaliano Della Sala, come se questo personaggio contasse qualcosa all'interno della comunità ecclesiale. L'ex parroco, ora confinato, sembra orientato per il NO. Meno male.

La domanda più sconvolgente però è questa:

E l'embrione vive al momento dell'aborto. Quindi lei è contro la legge 180?
«Sì, sono contrario. Noi preti poi abbiamo le nostre posizioni pubbliche - e la mia non differisce da quella della Chiesa, di condanna - e abbiamo il luogo della misericordia, il confessionale, dove entro certi limiti possiamo esercitare la comprensione e il perdono».



La legge 180? Ahahahah
Pazzesco.

martedì, febbraio 08, 2005

Carnevalate

Ognuno ha i propri intellettuali di riferimento. A casa mia, ad esempio, adoriamo Antonella Clerici, tanto che a Natale abbiamo regalato alla mamma il suo recente capolavoro letterario.
Le ultime dichiarazioni rilasciate a Repubblica hanno fatto crescere enormemente la mia simpatia per la futura conduttrice del Festival di San Remo.

Ma la conduttrice reduce dell'ultima puntata del reality show 'Il ristorante', ha parlato anche delle sua fede cattolica: "Sono mariana. Però non dimenticherò mai una bruttissima esperienza con 'Comunione e Liberazione'. A 17 anni un ciellino mi sputtanò raccontando a tutti che mi aveva visto fare sesso in macchina con un ragazzo. Cosa ovviamente non vera".

E ha aggiunto: "Con i ciellini o fai il soldatino o ti fanno fuori. Io dicevo sempre quello che pensavo e me l'hanno fatta pagare. Sono falsi, e quando vedo in tv i loro meeting mi sento male. Vorrei essere invitata per dir loro di essere meno ipocriti e meno attaccati alle ideologie. E pensare che ero una seguace di Don Giussani".


L’astensione: il vero modo per dire no a questi referendum

L’astensione: il vero modo per dire no a questi referendum
Da “Europa” del 4 febbraio 2005

di Marco Olivetti


L’appello di 59 intellettuali cattolici e laici a votare sì a tre dei quattro referendum in materia di procreazione assistita è sicuramente, e per più ragioni, una buona notizia.

In primo luogo gli autori del manifesto hanno assunto una posizione chiara e argomentata, che è una ricchezza per il dibattito in corso.

In secondo luogo viene fatta un po’ di giustizia del concetto (a tratti un po’ pilatesco) di libertà di coscienza di fronte alle questioni oggetto dei referendum, le quali richiedono, invece, una bonhoefferiana assunzione di responsabilità.

In terzo luogo l’appello tenta di differenziare fra i vari referendum, ipotizzando una posizione non necessariamente favorevole all’abrogazione su uno dei quattro quesiti (quello sulla fecondazione eterologa).

Infine si richiama l’importanza della mediazione su temi eticamente sensibili: ed alla mediazione, di cui non si sono in passato esplorate tutte le possibilità, si dovrà senza dubbio tornare, qualunque sia l’esito della prossima consultazione referendaria.

Detto tutto ciò, vanno però evidenziate alcune ragioni di perplessità, che attengono al merito della iniziativa assunta. E ciò, va da sé, ha una rilevanza particolare sia nella prospettiva culturale in cui si collocano molti degli aderenti all’appello in questione – che è quella dell’umanesimo cristiano – sia nell’ottica del centrosinistra, cui essi fanno riferimento (riconoscendosi, quasi tutti, nell’area diessina).

Ora, è certamente vero che le questioni oggetto dei quattro quesiti referendari sono eticamente ed umanamente complesse, e che varie sono le soluzioni logicamente compatibili con una prospettiva antropologica che metta al centro l’uomo, la sua unicità ed irripetibilità, e la sua dignità intangibile dal concepimento alla fine della sua esistenza. E diversi fra loro sono anche gli oggetti dei quattro quesiti referendari, i quali ammettono quindi risposte diverse. Tuttavia riesce davvero difficile comprendere come possano essere ritenuti compatibili con tale prospettiva antropologica almeno due quesiti su cui gli aderenti al manifesto in questione propongono di votare si.

Va in primo luogo notato che il quesito che mira a sopprimere il principio della tutela di tutti i soggetti coinvolti nel processo di procreazione assistita, incluso il concepito, attacca l’idea stessa che il concepito possa essere qualificato come un “soggetto coinvolto”, e quindi nega in radice la sua soggettività e l’eventualità che possano essergli riconosciuti diritti o facoltà – magari nel timore che in futuro possa essere rimessa in discussione la legge sull’aborto.

Anche il quesito che propone di sopprimere alcuni limiti alla libertà di ricerca previsti dalla legge n. 40/2004, e di rendere possibili la crioconservazione dell’embrione e alcune forme di clonazione di esso, attacca direttamente un asse portante della legge, che ha gerarchizzato il rapporto tra vita umana in forma embrionale e libertà di ricerca scientifica applicata.

Certo, è sufficientemente noto che le firme per questo referendum sono state raccolte sotto l’improbabile intitolazione “per consentire nuove cure per malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, le sclerosi, il diabete, le cardiopatie, i tumori”. Ma i firmatari dell’appello di cui si discute sono troppo fini intellettuali per non cogliere al volo che tra il quesito referendario sulla libertà di ricerca e la cura delle numerose menzionate malattie (fra le quali manca solo il ginocchio della lavandaia) esiste un nesso causale molto flebile, paragonabile a quello che esiste tra l’approvazione di tale quesito e altri eventi pur essi desiderabili, quali la promozione del Torino in Serie A e la fissione nucleare.

Del resto molti studiosi ci informano che la ricerca sulle cellule staminali embrionali può essere svolta sui cordoni ombelicali donati dopo i parti e sui feti deceduti a seguito di aborti naturali. Dunque la convinzione che la legge n. 40, limitando le forme di ricerca applicata sugli embrioni umani, impedisca ricerche importanti per la cura di malattie gravi e umilianti si spiega solo con la convinzione di fondo che anima – oggettivamente, beninteso, al di là dei pur meritori distinguo soggettivi – i promotori (e soprattutto le promotrici) dei referendum: ovvero l’idea che l’embrione umano sia una cosa. Un aggregato di cellule, come ha affermato un costituzionalista un po’ rozzo in un saggio d’assalto recentemente pubblicato. Anzi, una invenzione, come ha scritto Chiara Valentini nel suo libro “La fecondazione proibita”, Editore Feltrinelli.

Diverse sono, certo, le questioni poste dagli altri due referendum.

Discutibile, in particolare, è la questione del numero massimo di embrioni producibili con ogni ciclo di fecondazione assistita: una rigidità che si sarebbe forse potuta evitare, ma che non sembra aver bisogno di un referendum per essere corretta, mentre, d’altro canto, lo stesso quesito incide in maniera un po’ random sulle forme di accesso alla PMA, rischiando di produrre un assetto normativo contraddittorio.

Infine, irto di asperità è il quesito sull’abolizione del divieto di fecondazione eterologa: ma, singolarmente, qui, ove pure qualche dubbio si potrebbe nutrire (non tanto su giudizi etici negativi su questa forma di fecondazione, quanto su una insufficiente esplicitazione delle ragioni che dovrebbero giustificarne il divieto) i nostri sottoscrittori, così disinvolti sulla tutela del concepito e sui limiti alla libertà di ricerca, vengono colti da improbabili dubbi, che non li inducono però – almeno per il momento – a scegliere per il si o per il no.

Dunque, nel complesso, la mediazione che emerge dal documento dei 59 appare davvero un po’ strana, quasi alla rovescia: disponibile al no solo sull’eterologa, piatta sul sì per quesiti inaccettabili per l’antropologia cristiana. Il tutto con una immancabile squalificazione etica dell’astensione, nonostante questa sia giustificata proprio dal quorum richiesto dall’articolo 75 della Costituzione, e che ha una sua ratio ben precisa in un referendum rimesso all’iniziativa di una piccola minoranza di promotori.

Ma l’iniziativa preoccupa anche per un secondo aspetto, che attiene al rapporto tra mondo cattolico e centro-sinistra.

Il fatto che la maggioranza degli aderenti cattolici all’appello in questione provenga da movimenti intellettuali e non da associazioni ecclesiali “popolari”, spiega, forse, la loro sottovalutazione dell’umore diffuso su questi temi nel tessuto ordinario del cattolicesimo militante e praticante italiano, ad esempio nelle associazioni parrocchiali di Azione cattolica.

Il linguaggio dei referendari (certo più dei radicali che degli altri, ma è solo una questione di sfumature) è, per questo tipo di mondo – forse non molto intellettuale, ma con un solido senso del bene e del giusto – come una acre puzza di zolfo. L’adesione alle proposte referendarie si pone quindi in netto contrasto con questa sensibilità “popolare” diffusa. Di qui il timore che la campagna referendaria possa contribuire a realizzare ciò che non è accaduto nel primo decennio della seconda Repubblica: quella berlusconizzazione della base cattolica che le zie suore (e le due mogli) di Berlusconi non sono sinora riuscite a determinare.

Infine, una terza perplessità. La mediazione è un metodo sacrosanto, imprescindibile per l’azione dei cristiani nella storia, al punto che lo stesso Figlio di Dio vi ha fatto ricorso, scegliendo di incarnarsi. Fermo restando, quindi, che si dovrà, prima o poi, tornarvi, vale per essa quanto è scritto nel Qoelet sulla guerra e sulla pace: c’è un tempo per l’una e per l’altra cosa. Immaginare che un appuntamento referendario, con la sua logica binaria, possa costituire un’occasione in cui praticare la mediazione, appare un po’ ingenuo, e induce quasi a credere che si sia davanti a forme di idolatria della mediazione.

In realtà questi referendum saranno il terreno di un confronto aspro, il cui tono è ben desumibile dal linguaggio prevalente dei promotori, che hanno qualificato la legge n. 40 di volta in volta come “crudele”, “oscurantista”, “integralista”, “vittima del pregiudizio”, “nemica delle donne”, facendone l’atto normativo più calunniato dell’ultimo secolo. Di fronte al messaggio di cui questo linguaggio è portatore c’è una sola risposta sensata: l’astensione, il vero modo per dire no – senza se e senza ma – a referendum che non avrebbero mai dovuto essere richiesti.

lunedì, febbraio 07, 2005

Prospettive più dinamiche nella scelta del non-voto

Prospettive più dinamiche nella scelta del non-voto

Luca Diotallevi

Il dibattito in vista del referendum sulla legge 40 (relativa al complesso fenomeno della fecondazione assistita) si va progressivamente avviando, e - salvo in alcuni episodi - su livelli mediamente elevati.
Al centro di questo confronto è finito anche l’invito al non-voto che molti osservatori hanno còlto nelle parole pronunciate a Bari dal cardinale Ruini nel corso dei lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Anzi, si può dire che questa ipotesi sta attirando un notevole volume di attenzioni, e di critiche, in parte attese in parte inattese.
È allora il caso di chiedersi quale sia il valore aggiunto del non andare al voto rispetto al "no" che si può scrivere sulle schede, visto che tanto un affermarsi del "no" quanto un affermarsi dell’astensione avrebbero come effetto la sconfitta dei "sì". Posto che il non andare a votare garantisce al referendum l’essenziale di quello che il "no" ottiene, c’è qualcosa che il non-voto consente e che il "no" invece non garantisce? Se al referendum vince l’astensione non solo si evita che sia consentita la fecondazione eterologa, la illimitata produzione e manipolazione di embrioni della specie umana, la riduzione ulteriore del numero e della qualità di diritti riconosciuti all’embrione, ma si ottiene qualcosa in più. Qualcosa che con il "no" non si può ottenere.
In primo luogo, la vittoria del non-voto, a differenza della vittoria del "no" (o del "sì") giuridicamente equivale ad un annullamento del referendum. In altre parole, non recandosi alle urne la maggioranza dei cittadini e delle cittadine rifiuta che su questa specifica materia la questione venga chiusa nei termini semplificanti di un referendum. Si eviterebbe così non solo il ritorno al far west del "tutto è possibile con l’embrione" ma si eviterebbe anche una sorta di sacralizzazione di questa legge non priva di limiti. Non possiamo dimenticare, infatti, che per effetto di un referendum, in cui certo non vinse l’astensione, la legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza risultò di fatto "intoccabile", nonostante a difenderla così com’è oggi resti solo una minoranza mentre una larghissima parte della opinione pubblica (laici e cattolici) sarebbe favorevole a qualche correzione.
In secondo luogo, attraverso la proposta del non-voto si introduce chiarezza e distinzione tra dinamiche ecclesiali e dinamiche politiche. La testimonianza cristiana, che non mancherebbe comunque di accendersi, si troverebbe chiamata al realismo, secondo un orientamento che bene esprime il recente richiamo alla ricerca del "male minore" da parte della Congregazione per la Dottrina delle Fede. La testimonianza cristiana (in politica come altrove) non è spettacolo ma ricerca coraggiosa e saggia dell’affermazione di valori positivi e di maggiori possibilità.
Infine, un importante valore aggiunto del non-voto rispetto al "no", non dimentichiamolo, è che l’astensione pare avere più possibilità di vittoria. Il realismo cristiano, a differenza del mero cinismo, non può ridursi a questo tipo di valutazioni, ma senz’altro non ne può prescindere. I sostenitori del "no comunque", tra l’altro, sembrano mostrare una ingenuità che desta persino qualche sospetto.
Almeno per le suddette ragioni, dunque, il non-voto offre un valore aggiunto notevole, soprattutto per chi vorrebbe evitare che una legge non perfetta venga peggiorata. Nel contempo si presenta come una soluzione che, senza drammatizzare il confronto, lo mantiene aperto, anche in presenza di una evoluzione della ricerca scientifica che continuamente indebolisce alcune delle apparenti ragioni del "sì". Insomma, lungi dall’assomigliare ad una neutralità, l’astensione così intesa è foriera di significati nuovi e di prospettive più dinamiche.

Avvenire, 4 febbraio 2005.

venerdì, febbraio 04, 2005

mercoledì, febbraio 02, 2005

I cattolici per il sì?

Sandro Magister, il vaticanista dell'Espresso, riporta sul suo blog quello che chiama 'il documento dei cattolici per il sì'.
Si tratta di un appello, anticipato dal Corriere di ieri, che invita alla partecipazione ai referendum e a votare sì in almeno 3 casi.

Magister, da buon giornalista, cerca il lato sensazionale della notizia e giustamente sottolinea che alcuni dei firmatari sono ex dirigenti nazionali di organizzazioni cattoliche: FUCI, MEIC, Azione Cattolica.
Non molti, a dire la verità, ma abbastanza per giustificare lo scoop.

Alcuni di questi sono amici o persone che conosco bene e che stimo.
Poichè anch'io mi sento coinvolto, vorrei sottolineare un paio di cose.
Sono stato vicepresidente nazionale della FUCI nel biennio 1999-2001. Ho ricevuto dai promotori dell'iniziativa l'invito a firmare ma, coerentemente con le mie posizioni espresse più volte anche su questo blog, ho rifiutato e, a chi mi ha chiesto consigli, ho invitato a fare come me. Sono stato ascoltato.
Nello stesso messaggio di posta elettronica che mi è stato spedito, infatti, comparivano altri 19 destinatari, tutti ex membri della Presidenza Nazionale della mia generazione o di quella successiva.
Di questi 19 nomi solo uno appare tra le firme. Hanno declinato l'invito tutti gli altri, compresi 4 ex presidenti nazionali.
Credo che i numeri rendano l'idea di quanto quel documento possa dirsi rappresentativo di una realtà associativa ricca e variegata.

La FUCI non si è ancora espressa ufficialmente mentre il MEIC, che della FUCI è il naturale proseguimento, l'aveva fatto tramite il suo presidente, quando ancora si discuteva di una possibile modifica parlamentare.
Qui il testo del comunicato stampa.
Ne riporto solo la conclusione:
Sul tema della procreazione medicalmente assistita il congresso nazionale del Meic, svoltosi a Roma dal 21 al 23 ottobre scorso, ha approvato un documento che ribadisce l’importanza della tutela della vita umana fin dal concepimento e auspica che tale principio “possa essere di efficace orientamento sia nel caso si giunga alla celebrazione dei referendum, sia che si proceda a modificare la legge stessa”.


Mi è dispiaciuto leggere nel titolo del post di Magister il nome della FUCI.
Non perchè un ex membro non possa esprimersi a favore dei referendum ma perchè so che quel documento non rappresenta l'orientamento dominante in FUCI, MEIC e Azione Cattolica.
In fondo ognuno firmando si impegna di persona, senza per questo voler coinvolgere la realtà ecclesiale che ha rappresentato nel passato, magari 30 o 40 anni fa. Benissimo.
E' pur vero però che la propria storia non si cancella e inevitabilmente il proprio nome viene associato, specialmente quando poi non si è fatto nient'altro di più significativo, ad un'esperienza ecclesiale che non merita di essere tirata in ballo da una parte o l'altra dell'agone politico.



ps.
Se ne parla anche su Il Foglio di oggi.

martedì, febbraio 01, 2005

The Idea of a University

Esce nei prossimi giorni l'edizione italiana di The Idea of a University di John Henry Newman, curata da me per le Edizioni Studium.

E' mia la traduzione e la nota storica mentre il prof. Vincenzo Cappelletti ha scritto un'introduzione.

Il volume sarà presentato a Roma, insieme agli Scritti fucini di Giovan Battista Montini (curato da Massimo Marcocchi), venerdì 25 febbraio prossimo presso l'Aula Magna della LUMSA, Borgo S.Angelo 13, alle ore 17.

Introdurrà il dott. Giuseppe Camadini, Presidente dell'Istituto Paolo VI. Interverranno:
la dott.ssa Paola Bignardi, Presidente dell'Azione Cattolica Italiana,
il prof. Vincenzo Cappelletti, Presidente delle Edizioni Studium,
il prof. Paolo Scarafoni, Rettore dell'ateneo pontificio Regina Apostolorum,
il prof. Xenio Toscani, Segretario generale dell'Istituto Paolo VI.
Concluderà Davide Paris, Presidente della FUCI.

Siete tutti invitati.