martedì, settembre 28, 2010

J.H. Newman e l’abito mentale filosofico

J.H. Newman e l’abito mentale filosofico: "

Angelo BOTTONE, John Henry Newman e l’abito mentale filosofico. Retorica e persona negli Scritti Dublinesi, Studium, Roma, pp. 210, euro 15.



Capita a proposito, in questi giorni, il bellissimo libro che l’amico Angelo Bottone ha appena pubblicato, sul periodo dublinese del Cardinale John Henry Newman. Bottone aveva già curato, per le edizioni Studium, una traduzione dei discorsi newmaniani sull’idea di Università: questa monografia cerca ora di offrire una migliore comprensione dello sfondo in cui germinarono le riflessioni “universitarie” del grande pensatore inglese.


Al principio del volume, troviamo  una ricostruzione del periodo che vide Newman occupato nella progettazione, fondazione e direzione dell’Università Cattolica d’Irlanda (sono gli anni fra il 1851 e il 1859). Rispetto ai contributi precedenti sul tema, le novità sono due: in primo luogo un allargamento delle fonti, col proposito di rintracciare e includere nell’analisi i vari testi prodotti dal Cardinale in quest’arco di tempo; in secondo luogo, uno spostamento dell’attenzione dagli aspetti meramente pedagogici a quelli più decisamente filosofici, considerando soprattutto i problemi dell’unità della conoscenza, della relazione fra conoscenza e moralità e del modello di “persona umana”.


Un capitolo centrale, particolarmente ricco d’intuizioni e di spunti, è dedicato al confronto fra Newman e tre grandi figure filosofiche di riferimento: Aristotele, Cicerone e John Locke. Di quest’ultimo se ne sottolinea la prospettiva utilitarista, agli antipodi dell’ideale propugnato dal Cardinale. Cicerone è invece valutato, sempre sulla scia di Newman, come esempio supremo di “uomo colto”, ma anche come simbolo di un’ambivalenza significativa: quella di chi assomma in sé «l’eccellenza dell’attività intellettuale ma anche i limiti dell’uomo educato al di fuori della fede cristiana».


Questa ambivalenza ritorna in maniera prepotente nella trattazione riservata ad Aristotele, che anche per Newman si può definire dantescamente come «maestro di color che sanno». Il quinto Discorso de L’idea di Università, come rileva giustamente Bottone, contiene ad esempio il «più grande tributo che Newman abbia mai reso a un autore non cristiano»:


«Finché durerà il mondo durerà la dottrina di Aristotele su questi argomenti, perché egli è l’oracolo della natura e della verità. In quanto uomini non possiamo fare a meno, in gran misura, di essere aristotelici, perché il gran maestro non fa che analizzare i pensieri, i sentimenti e i modi di vedere e le opinioni del genere umano. Egli ci ha mostrato il significato delle nostre stesse parole e idee, prima che fossimo nati. In molte materie pensare correttamente è pensare come Aristotele e noi siamo suoi discepoli che lo vogliamo o no, anche senza saperlo».


A questa esaltazione di Aristotele, tuttavia, non corrisponde una pedissequa professione di aristotelismo. Se è vero che Newman, seguendo Aristotele, anticipa in maniera del tutto originale lo sviluppo di alcune posizioni che saranno proprie del neo-aristotelismo del Novecento (e in particolare del comunitarisimo di Alasdair MacIntyre), è anche vero che del grande filosofo egli sottolinea, per l’appunto, il valore esclusivamente filosofico e “laico”. Giunti alle soglie della fede, anche la sua prospettiva è dichiarata insufficiente, seppure se ne debba riconoscere il carattere necessario.


Questa stessa dialettica, in fondo, sembra governare anche il pensiero di Newman sull’istituzione universitaria. Le pagine conclusive del libro, dedicate al “paradosso” e al “fallimento” del progetto newmaniano, appaiono da questo punto di vista di una chiarezza esemplare. L’attualità del pensiero di Newman, spiega infatti Bottone, non dev’essere valutata pensando alle sue possibilità di realizzazione concreta: più delle caratteristiche programmatiche dell’istituzione che Newman aveva in mente, contano gli ideali di conoscenza e di persona che egli intendeva promuovere attraverso di essa.


L’idea di Università diventa in questo modo una sorta di “piano regolatore”, valido per qualunque tipo di attività intellettuale. In questa prospettiva, anche una città (o per meglio dire una “metropoli”) potrebbe supplire alle eventuali carenze di un’istituzione universitaria, ponendosi come luogo di comunicazione fra i saperi, le esperienze educative e le persone.


Ciò che interessa a Newman, in definitiva, è la creazione o la salvaguardia di spazi comuni che permettano lo sviluppo integrale dell’uomo, in tutte le sue facoltà (intellettuale, morale e artistica). E contro un ideale così alto, sembra suggerirci Bottone, non c’è crisi economica che possa intervenire.



Filed under: Scaffale aperto "

venerdì, settembre 17, 2010

Segnalazioni

Segnalazioni del mio libro su Newman sono apparse qui, qui, e qui.

Sono stato intervistato da Radio Marconi ma non so quando andrà in onda l'intervista.

L'agenzia SIR ha preparato uno speciale su Newman, con un mio contributo, sia in italiano che in inglese.

martedì, settembre 14, 2010

Articolo ed intervista

Qui trovate un mio breve articolo su Newman e Ratzinger.

Domani alle 12,30 Radio inBlu trasmetterà una mia intervista su Newman.

PS.
Sul blog dell'Uomovivo una recensione del mio libro.

venerdì, settembre 10, 2010

John Henry Newman's Idea of a University: from the 1850's to Joyce.



Martedì 21 settembre parlerò al James Joyce Centre di Dublino.
Il titolo è 'John Henry Newman's Idea of a University: from the 1850's to Joyce'.
Maggiori informazioni qui.

martedì, settembre 07, 2010

Futuro nero

Futuro nero: "Titolone del Guardian di ieri, su due pagine: “Avere fede: quant’è nero il futuro del Cattolicesimo?”. Sottotitolone: “Dieci giorni prima della visita del Papa in Gran Bretagna, le posizioni del Vaticano su argomenti quali l’aborto, l’omosessualità e il sacerdozio femminile sembrano sempre più distanti dalla realtà del mondo contemporaneo”. Non so voi, ma mi sembra che il titolone e il sottotitolone si contraddicano ingenuamente: finché permangono le attuali visioni su questi temi, il futuro del Cattolicesimo è roseo. La vedo piuttosto nera, invece, per il mondo contemporaneo.
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lunedì, settembre 06, 2010

A proposito di "creazione spontanea"

A proposito di "creazione spontanea": "
Molti dei nostri lettori avranno sentito le ultime affermazioni di Stephen Hawking sulla creazione.
Abbiamo allora chiesto al nostro caro amico e socio Antonio Colombo di commentare 'chestertonianamente' queste affermazioni.
Antonio Colombo è traduttore delle opere di un altro chestertoniano di ferro, Stanley Jaki, morto lo scorso anno e che di sicuro non avrebbe lasciato cadere nel vuoto le affermazioni di Hawking. Lo abbiamo così interpellato, certi di avere un contributo solido sull'argomento.

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Alcune affermazioni di Stephen Hawking, tratte dal suo libro, 'The Grand Design', di imminente pubblicazione, sono state riprese dalla stampa internazionale. La frase che viene citata suona: 'Poiché esiste una legge come quella di gravità, l'universo può crearsi e si crea da solo a partire dal nulla. La creazione spontanea è la ragione per cui c'è qualcosa invece che il nulla, la ragione per la quale esiste l'universo, la ragione per cui esistiamo noi'.

L'idea non è nuova, è stata proposta in passato (su scala più modesta) da Fred Hoyle per rendere possibile la sua teoria dello stato stazionario (teoria ormai abbandonata a favore di quella nota come 'Big Bang', un termine coniato con intenzioni spregiative dallo stesso Hoyle).

Affermazioni di questo genere, va detto chiaramente, sono di tipo filosofico e non scientifico, anche se provengono da scienziati famosi. La differenza fra i due tipi di affermazione consiste nel fatto che le affermazioni di tipo scientifico devono essere passibili di verifica sperimentale, qualcosa che in questo caso è assolutamente impossibile. Infatti, per definizione, il nulla non è misurabile, e quindi la transizione dal nulla all'essere è parimenti non misurabile, ossia non è oggetto della ricerca scientifica, intesa come scienza esatta. Possiamo ricordare a questo riguardo come Einstein ammettesse che la sua teoria della relatività generale avrebbe dovuto essere abbandonata qualora le predizioni basate su di essa si fossero dimostrate errate. Viceversa, le misurazioni confermarono la sua teoria.

Nel caso di Hawking, le sue affermazioni confermano che, al di là delle parole, la sua visione del mondo è quella panteistica (era questo anche il caso per Einstein, nonostante alcune sue affermazioni possano essere interpretate in maniera teistica). Il fatto che l'universo obbedisca alla legge di gravità non prova in nessun modo che l'universo si sia creato da solo. Non c'è alcuna relazione tra le due cose. Resta da spiegarsi perché tutto l'universo obbedisca alla legge di gravità, e da dove provenga la legge di gravità stessa, la quale, in sé, è solo la formulazione matematica di qualcosa che avviene, ma non crea la realtà che descrive. La gravità ha agito per miliardi di anni, prima che Newton trovasse la formulazione matematica che la descrive. Che cosa sia la 'gravità' in quanto tale, resta un mistero. La 'creazione spontanea' è un concetto che serve per evitare di pronunciare la parola Dio. Tutto quello che noi possiamo fare (che nell'universo si può fare) è manipolare la materia esistente. Crearla dal nulla è un altro paio di maniche. Filosoficamente si possono attribuire all'universo le caratteristiche proprie di Dio (è quello che fa Hawking), ma il fatto che l'universo sia finito nel tempo e limitato nello spazio (concetto abbastanza assodato dalla ricerca scientifica contemporanea) ne fa un 'oggetto' contingente, ossia dipendente da qualcosa d'altro. Si è liberissimi di negare l'esistenza di Dio, ma resta il fatto che è difficile spiegare l'universo 'da solo', senza appoggiarsi su assunzioni filosofiche assolutamente arbitrarie.

Non dimentichiamo poi (anche Hawking se n'è accorto, sia pure in ritardo), che se anche la scienza trovasse la TOE (Theory Of Everything), ossia la teoria ultima che spiegasse tutte le forze in azione nell'universo, questa teoria resterebbe soggetta ai teoremi di incompletezza di Gödel, ossia non sarebbe in grado di dimostrare la propria verità.

La scienza può avvicinarsi indefinitamente al momento del Big Bang, nel ricostruire la storia dell'universo, ma semplicemente non è in grado di dire cosa c'era prima del Big Bang, in quanto non è possibile con alcuna misurazione risalire a 'prima' del Big Bang. Una teoria come quella del Multiverso (multipli universi) è per definizione qualcosa di non scientifico, in quanto non è possibile per noi uscire dal nostro universo, l'unico con il quale abbiamo a che fare, e quindi, coerentemente, non è possibile dire nulla (di verificabile) a proposito di altri universi.

In definitiva, la grancassa mediatica di questi giorni sembra avere per motivazione reale il 'lancio' sul mercato del libro di Hawking, oltre al 'solito' obiettivo di educare l'opinione pubblica all'idea che Dio sia inutile nella nostra società e nella nostra epoca. Viceversa, è solo volgendo lo sguardo verso Dio che l'Europa ha qualche speranza di sopravvivere alla pacifica invasione islamica che sta subendo, dopo essere riuscita per oltre mille anni a tenere lontani i musulmani dai suoi confini. Non sarà certo la burocrazia di Bruxelles a salvare l'Europa, semmai riuscirà a renderla sempre più indifesa di fronte alla minaccia islamica, che non è costituita solo dal terrorismo, ma molto più realisticamente dalla demografia.

Bianche fontane gettano acqua nei cortili assolati,
Ed il Sultano di Bisanzio sorride mentre zampillano;
C'è riso - come quello delle fontane - in quel volto temuto da tutti,
Egli smuove l'oscurità della foresta, l'oscurità della sua barba;
Incurva la mezzaluna rosso sangue, la mezzaluna delle sue labbra;
Poiché il mare più interno di tutta la terra è terrorizzato dalle sue navi.
Hanno osato sconvolgere le bianche repubbliche d'Italia,
Hanno circondato l'adriatico Leone del Mare,
Ed il Papa ha rivolto le sue braccia lontano temendo agonia e sconfitta,
Ed ha chiamato i Re della Cristianità per combattere in nome della Fede.
La fredda Regina d'Inghilterra osserva da un cannocchiale;
L'ombra dei Valois si annoia alla messa;
Dalle isole occidentali immaginifici richiami indeboliscono le armi spagnole,
Ed il Signore del Corno d'Oro ride di fronte al sole.

Fiochi tamburi si odono rullare, al di là delle colline,
Dove si agita soltanto un principe senza corona, su un trono senza nome,
Dove, alzandosi da un seggio malfermo, da uno stallo senza maggiordomi,
L'ultimo cavaliere d'Europa toglie le armi dalla parete.

(...)

Don Giovanni d'Austria sta andando alla guerra.

(G.K. Chesterton, Lepanto)

(Antonio Colombo)

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domenica, settembre 05, 2010

Chesterton contro Gheddafi

Appunti inediti per spiegare che la religione d’Europa non può essere l’islam


E’ sera in Egitto, e un turista inglese corpulento e ansimante, vestito di bianco impeccabile, accompagnato da una signora dai capelli rossi e l’aria gentile e paziente, sua moglie, osserva le strade e le persone. Tornato in albergo prende il proprio taccuino di appunti e riflessioni, e scrive: “Lungo la strada per il Cairo uno può notare almeno una ventina di gruppi esattamente uguali alla Sacra Famiglia nei dipinti della fuga in Egitto, con una sola differenza: che è l’uomo a cavalcare l’asino”.

Siamo nel 1919, e l’uomo era G. K. Chesterton, diretto a Gerusalemme; avrebbe poi raccolto i reportage delle varie tappe del suo viaggio-pellegrinaggio in un volume del 1920, “The New Jerusalem” (non più pubblicato in Italia da oltre settant’anni e di cui riproponiamo qui alcuni stralci in una traduzione inedita, ndr). Alle spalle oltre vent’anni come giornalista, già decine di libri e innumerevoli conferenze, al cuore delle riflessioni del celebre polemista c’è sempre e innanzitutto lo sguardo di un poeta, capace di farsi colpire da un’immagine, una scena, sorprendendo e inseguendo gli imprevedibili nessi che questa è in grado di rivelare, sbaragliando le più facili e scontate presunzioni.
Così il viaggio nel tempo che Chesterton compie e annota via via che si muove nello spazio, da Londra, a Parigi, Roma, il Cairo e infine Gerusalemme, riflettendo sulle peculiarità delle diverse fasi della storia e delle civiltà, sono sempre suscitate innanzitutto da un particolare visivo. Così è anche nel caso dell’islam, che ha conquistato l’oriente e l’Africa un tempo romane, eppoi cristiane e bizantine. Il giornalista inglese è al Cairo, e guarda: “Dalla sua superba altitudine il viaggiatore ammira per la prima volta il deserto, da cui giunse la grande conquista”. Per prima cosa un’immagine: “La prima vista del deserto è simile a quella di un gigante nudo a distanza”. Chesterton continua a guardare, ed ecco, pian piano, emergere una scoperta, che porta in sé una considerazione assai più vasta: “Solo coloro che hanno visto il deserto nei dipinti generalmente lo pensano del tutto piatto. Ma quando la mente si è abituata alla sua monotonia, ecco un curioso cambiamento prenderne il posto: parrebbe strano dire che la monotonia della sua natura diventa novità; ma chiunque provasse il comune esperimento di dire qualche parola ordinaria come ‘luna’ o ‘uomo’ una cinquantina di volte, questi troverebbe che l’espressione è diventata straordinaria per semplice ripetizione”.

Continua qui.

mercoledì, settembre 01, 2010

The Philosophical Habit of Mind





Anche la versione inglese è quasi pronta .....