martedì, dicembre 31, 2013

lunedì, dicembre 23, 2013

Nell'augurare buon Natale ai miei lettori ripropongo l'editoriale di Giuliano Ferrara pubblicato domenica scorsa su Il Giornale su un tema, appunto, natalizio.
AB

Mi permetto una divagazione di Natale sull'interruzione volontaria delle nascite o aborto. Non si dovrebbe, perché molti sono in severo disaccordo con quel che penso, perché la culla del Bambino suggerisce idee riposanti di lieta coesione e non uno scontro di assoluti, perché a volte sembra che la faccenda sia in via di risoluzione con qualche statistica più o meno edulcorata sulla «riduzione» del numero degli aborti eppoi pare che in Asia stiano tornando ad autorizzare, bontà loro, la nascita di milioni di piccole e fragili femmine soppresse dalla politica del figlio unico. Vi invito però a contare fino a 118.359, uno due tre quattro cinque sei sette otto, e alla fine della serie numerica, senza saltare nemmeno una unità contabile, a pensare che questo è il numero degli aborti praticati in Spagna nel 2011. Sono pochi, dicono. Pochi?
Il governo conservatore di Mariano Rajoy chiede alle Cortes di approvare una legge che reintroduce il delitto di procurato aborto, salvo lo stupro o un imminente, chiaro, presente, oggettivo pericolo per la salute psicofisica della donna incinta. La sanzione penale riguarda non la donna incinta ma il personale medico che accede alla pratica fuori della casistica stabilita a protezione del concepito o del nascituro, chiamatelo come volete questo embrione in sviluppo che la scienza e la fotografia ci mostrano nella sua individualità irripetibile a scorno dei chiacchieroni molesti che lo negano. La donna, dice la legge, è sempre vittima di tutta la faccenda. Non è soggetto di un diritto di libertà, come vuole l'ideologia del gender e di un antico femminismo radicale travestito da umanitarismo e da eugenetica a scopo di salvezza ecologica del pianeta Terra dalla sovrappopolazione, è oggetto invece di una convenzione sociale moralmente sorda e, per definizione, «maschia», secondo la quale degli incomodi ci si libera costi quel che costi e, al massimo, sarà lei a sopportarne le conseguenze, magari nella solitudine perfetta dell'aborto chimico (e clandestino) via pillola RU486.
La pillola che obbliga la donna incinta a fare da sé, magari con il pretesto di evitare lungaggini o l'obiezione di coscienza intoccabile, reintroduce infatti l'aborto clandestino, che fu la bandiera della campagna abortista degli anni Settanta (una legge permissiva ci libererà dalle mammane). Ora il cerchio si chiude e ciascuna è indotta a essere mammana in causa propria. Il cerchio della menzogna si è infine chiuso. Chiamatela salute riproduttiva o tutela sociale della maternità, e quest'ultimo titolo si è risolto - nonostante le buone intenzioni - in una sconvolgente prova di ipocrisia dell'Italia cattolica e miscredente, la legge abortista autorizza il castigo, del bambino non nato e della donna incinta, cancellando il delitto sociale di cui il concepito e la donna che lo porta sono innocenti, trasferendo quell'innocenza sulla società maschia, potente, dello scarto e del consumo, che si tappa le orecchie e si chiude gli occhi, non vuole sentire né vedere lo sconcio in atto perché è radicalmente colpevole.
Lo Stato può aiutare la «tutela sociale della maternità», ciò che era perfino nelle premesse tradite della legge 194 dei primi anni Settanta, in un solo modo, come in Spagna: esigendo il rispetto rigoroso del principio di realtà secondo cui un atto d'amore genera un essere umano di forma compiuta, che attende di passare all'atto, e un gesto di odio nichilistico di sé e degli altri impedisce che la generazione si compia, nel doppio dolore fisico e morale della madre mancata e del figlio mancato. Lo stato che non mente a se stesso, e in questo è parte di una società capace di autogovernarsi e di darsi i criteri di una vita vivibile e libera, favorisce le adozioni, come nella medievale ruota dei conventi, impone politiche pubbliche di dissuasione, ospita in cimiteri appositi, e non in body bags con la scritta «rifiuti ospedalieri», i feti sradicati nei rari casi in cui un aborto si renda necessario, stanzia soldi per la ricerca sulle malattie genetiche, molti, e molti ne stanzia per persuadere, per spiegare, per convincere comunitariamente, senza nulla togliere alla libera responsabilità degli individui «finché questa non leda la libertà degli altri», cioè la libertà di nascere.
Le poche esperienze di santità laica, come quella di Paola Bonzi alla Mangiagalli di Milano, migliaia di bambini salvati e di madri salvate dalla decisione irriflessa per l'aborto attraverso la cura affettiva e la conversazione fraterna e sororale, dovrebbero diventare leggenda e mito, invece che essere trascurate e umiliate in favore delle sciocchezze sulla libertà riproduttiva. Insomma, la Spagna di Rajoy insegna, e sarà una strada lunga e difficile, che si può continuare a combattere anche nella sgualcita Europa l'orrore di una secolarizzazione come religione del nulla, come esperienza anticristiana, il che non ha niente a che fare con la posizione del Vaticano (come si vede bene da molti segni anche pontificali), perché riguarda laicamente la ragione sorretta dal sentimento della cosa (e per i fedeli dalla fede) che è in tutti noi.
Giuliano Ferrara

giovedì, dicembre 19, 2013

C’è sottomessa e sottomessa

C’è sottomessa e sottomessa:
sposati
di Costanza Miriano  Il Foglio 18 dicembre 2013
Pensa che c’ero caduta anche io. Col fatto che da un mesetto rispondo a giornalisti stranieri che mi chiedono “perché sottomessa?” (in molteplici varianti tra cui “cos’è la sottomissione?” e, la più stupida, “chi lava i piatti a casa sua?”), e lo faccio in varie lingue (itagnolo, inglano) con abnegazione e grande padronanza di me, cercando di evitare alterazioni isteriche del tono di voce, mi ero ingenuamente convinta che fosse la parola sottomessa a disturbare nel titolo del mio libro.
A far scomodare addirittura la ministra della sanità e delle pari opportunità, Ana Mato, che ha chiesto il ritiro in Spagna del mio libro “Cásate y se sumisa” dal commercio. A far parlare l’intero parlamento spagnolo (sono contenta di sapere che tutti i problemi più urgenti del paese siano stati finalmente risolti, tanto da poter mettere all’ordine del giorno il libro di una sconosciuta moglie e mamma italiana che scrive lettere alle sue amiche per convincerle a sposarsi: pare che il prossimo tema di discussione sarà la sfumatura delle casacche di Topolino nei fumetti degli anni ’50). A farmi finire in vari programmi della BBC (strano, in Italia nessuno si è accorto che un governo stava chiedendo la censura di un’italiana, ma in Inghilterra si sono scandalizzati), tra cui le News Night, in cui mi sono buttata a spregio del pericolo col mio inglese da lesson number two (the book is on the table), tanto per la soddisfazione di citare John Paul the second sul programma di punta della terra anglicana.BBC3
Pensavo anche, in un ingenuo attacco di comprensione, che la parola sottomissione potesse avere evocato, in qualche donna più grande e più insicura di me, lo spettro di antichi ricordi di tempi in cui si doveva lottare per affermare la pari dignità tra uomo e donna, dignità che oggi nessuna ragazza europea normale sente realmente messa in discussione.
Poi ho fatto la scoperta. Ci sono diversi libri in vendita in Spagna con la parola sumisa nel titolo. Per esempio Aprendiendo a ser sumisa, o La formaciòn de la mentalidad sumisa, e molti altri ben più espliciti. Occhieggiano tranquillamente dagli scaffali delle librerie – e ci mancherebbe – senza che nessuno abbia trovato nulla da ridire.
Allora il problema, mi dico, non è quello. Gridano tutti che il mio titolo è offensivo. Deve essere dunque per forza la parola Casate, sposati. Strano, perché il ministro che ne chiede la messa al bando per incitazione alla violenza sulle donne è del PPE, partito che una volta fu cattolico, anche se la signora non avverte la contraddizione di essere titolare di un ministero responsabile di centinaia di migliaia di aborti all’anno (uccisioni almeno presumibilmente anche di bambine: ma quella pare non sia violenza sulle donne).
Dunque va bene sottomettersi, ma sia ben chiaro, solo sessualmente, a un amante, sottomettersi in cinquanta sfumature a un passante, a chiunque, anche all’idraulico che viene a controllare la caldaia. Libri così non vengono avvertiti come offensivi della dignità della donna. Proporre invece un atteggiamento interiore (per la seicentesima volta: sì, le donne possono lavorare, e no, non sono una casalinga, ma una giornalista tv), una disposizione spirituale di dolcezza, di accoglienza, di obbedienza a un solo marito, sempre allo stesso, a un uomo che sarà pronto a morire, cioè a dare tutto alla sposa senza risparmiare niente, questo invece viene percepito come offensivo per la dignità femminile, ma talmente offensivo da far ravvisare addirittura la possibilità di un reato: istigazione alla violenza sulle donne (dove? In quale frase, parola, virgola, o retropensiero la violenza viene vagamente incoraggiata, giustificata, scusata, o anche solo nominata, nel mio libro? Dove?). Il punto è che la dolcezza femminile disinnesca la parte peggiore dell’uomo, e lo rende nobile. Non ha nulla a che vedere con la violenza, anzi, al contrario.
Parliamoci chiaro: è il matrimonio il vero obiettivo della polemica, che continua con sorprendente tenacia da settimane, sulle prime pagine dei giornali e sulla rete, in televisione e in radio. E lo scandalo si allarga: i giornalisti ormai chiamano dalla Colombia, dall’Argentina, dal Messico, dalla Francia, dal Belgio, dall’Inghilterra, dalla Russia…
Cosa esattamente sconvolge nell’idea del matrimonio? Del matrimonio cristiano, precisamente?
Fondamentalmente l’uomo contemporaneo può accettare tutto tranne l’idea di ascoltare una voce che non provenga da se stesso. Non può accettare la possibilità che non sia sempre bene seguire le proprie emozioni, inclinazioni – i pensieri quando è già a uno stadio più progredito – la propria idea di bene e di male. È tutto lì il punto del cuore dell’uomo, dalla Genesi in giù: sono io che decido cosa è Bene e Male?
Il vero nodo della questione è che noi cristiani siamo contenti di obbedire perché sappiamo a chi obbediamo: abbiamo conosciuto, davvero, personalmente, un pastore buono, un pastore che pasce gli agnelli e non i lupi. È per questo che ci piace ascoltare la voce del pastore, non perché siamo repressi, ma perché siamo furbi. Abbiamo capito che quello è il meglio, che ci conviene seguirlo, perché lui è l’autore dell’universo, del dna, della fisica, dei movimenti degli astri. Figuriamoci se non sa come funzioniamo noi, suoi figli (che invece non solo non abbiamo idea di come funzioni l’universo, ma abbiamo problemi anche col tostapane. E con l’uomo, mistero a se stesso). Io capisco dunque l’odio che suscitiamo noi cristiani, stoltezza di fronte al mondo: è un mondo che non sa quanto è buono il Padre, e quindi lo vuole uccidere (lo ha idealmente accoppato già da tempo). Se togli l’amore di Dio, obbedire, sottomettersi, la croce, nulla di tutto questo ha senso.sposala
Qualsiasi cosa, anche morire (il mio secondo libro, Sposala e muori per lei, non ha fatto fremere di sdegno mezzo labbro) può essere accettata. Ma obbedire a qualcuno che non sia me stesso, quello no. Non si può tollerare.
Eppure per noi quello è il primo comandamento: ascolta, Israele. Non fidarti di te. Ascolta una voce che non provenga da te stesso. Sappi che il tuo cuore, ferito dal peccato originale, a volte è inaffidabile. Ascolta uno che ti ama e che spinge dalla tua parte più ancora di te stesso, che ti ama come un figlio unico.
Per questo la Chiesa propone agli uomini impegni definitivi che lo custodiscano da se stesso. “Il matrimonio cristiano – scrive per esempio papa Francesco nella Evangelii gaudium – supera il livello dell’emotività. Il matrimonio non nasce dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto”. Per noi cristiani il matrimonio è una via di conversione, un laboratorio in cui l’uomo e la donna affrontano i loro peccati – o, laicamente, i difetti – principali: il desiderio di controllo femminile e l’egoismo maschile, esattamente ciò di cui parla san Paolo.
Ma l’uomo contemporaneo, che ha dimenticato la visione giudaico cristiana della storia come lineare e non ciclica, è un bambino tutto emotività, assolutizza il comfort, il soddisfacimento dei propri bisogni immediati e superficiali, impedendosi di capire quelli più profondi. Impedendo per esempio alle donne di riconoscere che quello che le realizza profondamente è dare la vita per qualcuno, e darla facendo spazio, mettendo da parte la mania di controllo per affidarsi a un uomo solido e sicuro, riconoscendone la bellezza, rivelandola anche a lui stesso. L’uomo viene così restituito a se stesso – Dio affida l’umanità alla donna, scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem – e può così scoprire la bellezza di dare la sua vita per la sposa, morendo per lei, seppur giorno dopo giorno, a fettine, salvando il mondo una pratica alla volta.YOUNG POLISH WOMAN EMBRACES POPE JOHN PAUL II
La cultura dominante tenta in tutti i modi di abbattere il recinto del tempio della trasmissione della vita, e di tagliare tutti i vincoli che appunto legano il sesso all’unione indissolubile tra due anime che cercano per tutta una vita di diventare una sola carne (in unam carnem, moto a luogo). È questo che dicono i loro corpi e questo dicono – con i loro corpi fatti di geni e cellule impastati inscindibilmente – i figli che nascono da quell’unione. Dicono che l’intimità sessuale è sacra, ed è ciò a cui Dio ha affidato la trasmissione della vita: una visione magnifica e sconvolgente. Può essere sublime o terribile, ma non potrà mai essere neutra, né per l’uomo né per la donna. Mai il sesso potrà dunque essere normalizzato, banalizzato, ma avrà sempre a che fare con qualcosa di sconvolgente, con una dedizione che un giorno potrà anche sembrare non corrisponderci più, ma che ha toccato la nostra più profonda essenza.
Un uomo e una donna così sono reciprocamente sottomessi solo al loro cammino di conversione a Dio, e sono liberi dal pensiero dominante, dal totem della laicità, sono liberi e non manipolabili, e questo non è tollerabile dal pensiero unico.
È per questo che noi cristiani veniamo censurati. È per questo che in Francia ogni giorno decine di ragazzi finiscono in carcere nel silenzio generale, perché hanno indossato una maglietta con l’immagine di una famiglia, o perché hanno recitato il rosario fuori da una clinica dove si uccidono i bambini nel posto più sicuro del mondo, sotto al cuore della loro mamma. È per questo che le persecuzioni e le uccisioni dei cristiani nel mondo vengono sistematicamente taciute. È per questo che chi si oppone alle teorie del gender in alcuni paesi rischia il posto di lavoro, (forse leggendo l’incredibile decalogo che lUNAR, l’Ufficio nazionaleantidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità vorrebbe imporre ai giornalisti, anche noi: esempio, dire “utero in affitto” sarà discriminatorio, occorrerà dire “gestazione di sostegno”) anche se le teorie di genere sono appunto teorie, e quindi andrebbero dimostrate, e comunque non imposte con la forza. È per questo che una giornalista norvegese, neanche particolarmente fervente, è stata rimossa dalla conduzione del tg perché indossava una croce di due centimetri al collo.
Noi cristiani invece non censuriamo. Noi viviamo in una casa bella, pulita, divertente, libera, dove si respira una buona aria. Dove tutto, persino il dolore, ha un senso. Noi se vediamo qualcuno che abita in un posto brutto sporco e triste non è che ci arrabbiamo, casomai ci dispiace per lui. Al limite lo invitiamo a casa nostra, per fargli vedere come si sta bene vivendo senza idoli, quando tutto sta al proprio posto. E se proprio siamo parecchio avanti nel cammino, ci offriamo anche di andare a casa dell’amico, a mettere a posto insieme a lui (non guardate me, io ho già i miei, di calzini da raccogliere, con dodici piedi in giro per casa).
fonte: Il Foglio


mercoledì, dicembre 18, 2013

Jamel Akib

Jamel Akib:
Jamel Akib
Jamel Akib is an illustrator, gallery artist and portraitist based in West Sussex, England.
His range of style reaches from straightforwardly realistic to images composed of blazing shards of color, often with rough sketch-like elements of drawing incorporated with the more paint-like finish of key areas.
Akib takes great advantage of the properties of pastel that allow properties of drawing and painting to be employed in the same image.
His website features galleries of images in several genres, along with information about classes and demonstrations.

venerdì, dicembre 13, 2013

Dateci, o Dio, gioie pure, dolori sopportabili, amore paziente, lieta e forte concordia nel bene. Datemi un pane per lei. Se destinato a esser padre, donatemi vita e virtù da educare i miei figli. Se i giorni a me numerati son brevi, nelle vostre mani raccomando, Signore, questa che è ormai tanta parte dell’anima mia. Con l’esempio e con la parola dateci di consolare e nobilitare l’anime de’ fratelli. Insegnatemi a espiare le colpe mie tante, che non ricadano sulla povera famiglia mia. Perdonatemi. Benediteci. In voi temendo esultiamo: in voi, lieti o afflitti, riposeremo.

martedì, dicembre 10, 2013

Esce Distributismo. Una politica economica di equità e giustizia, di John Medaille, traduzione a cura del Movimento Distributista Italiano

Esce Distributismo. Una politica economica di equità e giustizia, di John Medaille, traduzione a cura del Movimento Distributista Italiano:
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente comunicato stampa:


Quale presidente del Movimento Distributista Italiano sono lieto di comunicare l’avvenuta pubblicazione del volume “Distributismo. Una Politica Economica di Equità e Giustizia” di J. Médaille. Il libro, di cui ho curato la traduzione in collaborazione con alcuni soci e con la casa editrice Lindau, non poteva uscire in un momento più opportuno.
Lo situazione appare infatti quanto mai desolante, principalmente per la compresenza di due fattori:
la gravità dei problemi economico-sociali che attanagliano gli individui e le famiglie e l’incapacità dei politici  non solo di risolvere in tempi brevi questa situazione ma anche di indicare almeno una strada concreta, ragionevole, plausibile e percorribile per rimettere le cose a posto.
Si brancola nel buio, abbandonato completamente il timone della ragione, appigliandosi freneticamente ad affermazioni ammantate di valore pseudoscientifico ma in realtà destituite di ogni solido fondamento: “dobbiamo puntare sulla ripresa dei mercati”, “dobbiamo ridurre il debito”, “dobbiamo fare la spending review”, “dobbiamo rimanere dentro i parametri fissati dalla Comunità Europea”.  Si tratta di parole d’ordine impartite da una minoranza di burocrati, finanzieri ed economisti assoldati dalla finanza, che hanno ormai conquistato l’universo semantico di chi si occupa della cosa pubblica e non lasciano più spazio a ragionamenti sensati per comprendere davvero quali siano le cause profonde di questa crisi, i mezzi per risolverla e gli antidoti per non ricaderci.
Il merito del libro del Prof. Médaille è innanzitutto quello di proporre un metodo, il metodo della ragionevolezza, dove per ragionevolezza si intende la capacità innata nell’essere umano di applicare la ragione alla realtà che lo circonda.
Se tutti i cittadini utilizzassero tale loro capacità scoprirebbero da soli ciò che il Prof. Médaille denuncia in questo libro:
-       L’esistenza di un sistema monetario in cui il denaro viene creato dal nulla  - “fiat money” - solo ed esclusivamente come debito di Stati e cittadini verso il sistema bancario, generando in maniera ineluttabile la spirale generalizzata di debito che vediamo sotto i nostri occhi  o, in altri termini, creando il predominio totale della finanza sull’economia reale.
-       L’esistenza di un’ingravescente sperequazione nella distribuzione dei beni e della proprietà, con l’1% della popolazione che diventa sempre più ricca ed il 99% che diventa sempre più povera, a causa della nefasta separazione tra capitale e lavoro, vero e proprio dogma capitalista, per cui il sistema legislativo-fiscale vigente penalizza invece di favorire il ricongiungimento tra questi due fattori, impedendo una distribuzione equa e funzionale delle risorse.
-       La sottrazione, ai danni del cittadino, di ogni spazio realmente partecipativo in cui poter prendere le decisioni importanti legate al lavoro ed alla vita quotidiana (formazione, qualità della produzione, onorari minimi e massimi, tassazione, previdenza). Ciò ha portato alla progressiva disumanizzazione del lavoro stesso e alla sua pressoché totale subordinazione alle forze cieche del “libero mercato”, cioè alla legge del più forte.
Di fronte a tutto ciò, il Prof. Médaille non propone certamente facili ricette ma propone, appunto, il Distributismo, i cui presupposti di fondo sono stati enunciati dai suoi fondatori, G.K.Chesterton e H.Belloc, due uomini di cultura e politici inglesi, nei primi decenni del XX secolo.
In sintesi, i principi del Distributismo sono i seguenti:
       -   Il denaro è uno strumento al servizio dell’uomo e dell’economia. In un sistema monetario, quale quello attuale, in cui il denaro ha valore intrinseco pari a zero, la sua proprietà al momento dell’emissione spetta alla comunità ed alle istituzione pubbliche che la rappresentano e non ad enti bancari estranei allo Stato, come avviene oggi.
-       Equità ed efficienza economica coincidono, cioè la proprietà, per essere gestita al meglio, e quindi fruttare di più, deve essere il più possibile distribuita: un solo uomo che è padrone di 100 ettari sarà in grado di curare quella terra molto meno di 100 uomini proprietari ciascuno di 1 ettaro. La distribuzione della proprietà è un processo naturale in una società che tende all’unione tra capitale e lavoro nella singola persona, mentre la separazione tra capitale e lavoro è foriera di sperequazione sociale e quindi alla lunga di insostenibilità e scarsa prosperità del sistema-paese, come possiamo constatare.
Considerando il capitalismo per definizione l’ideologia che propugna la divisione tra capitale e lavoro, il Distributismo si definisce decisamente anticapitalista.
Considerando invece il social-comunismo l’ideologia che propugna l’eliminazione della proprietà privata e la concentrazione di ogni potere nelle mani dello Stato, ilDistributismo si definisce decisamente anti-comunista.
In generale il Distributismo prende le distanze da ogni ideologia che voglia imporre il suo modello sulla realtà invece che creare le condizioni ideali per il suo sviluppo naturale.
-       Chi prende parte alla vita lavorativa deve poter partecipare alle decisioni che riguardano tutti gli aspetti più importanti del proprio settore di attività. In questo modo la competenza e l’esperienza dei singoli potrà essere valorizzata ed essere messa al servizio della comunità . L’autorità centrale dovrà solo vigilare circa il rispetto dei principi del bene comune.
-       La famiglia è la cellula vivente che consente al corpo sociale di prendere forma ed articolarsi nelle sue mille varietà. Essa va pertanto particolarmente tutelata, se si vuole mirare alla prosperità economico-sociale.
Su queste basi risulta evidente che il Distributismo propone certamente un programma rivoluzionario, non perché insegua un utopico paradiso terrestre o sia animato da un mero impulso destabilizzatore, ma perché umilmente richiama i contemporanei, come detto all’inizio, a quei principi universali di ragionevolezza che sembrano essersi smarriti e su cui solo si possono fondare le basi di una società che si definisca umana: il Distributismo è pertanto rivoluzionario così come si può definire rivoluzionario oggi l’utilizzo della retta ragione in riferimento al bene comune.
L’augurio quindi è che questo libro possa contribuire ad iniettare semi di speranza nel dibattito politico-culturale attuale, superando gli sterili steccati ideologici vecchi e nuovi e favorendo una rinnovata coesione dei popoli.

                                                                                  Dr Matteo Mazzariol
                                                       Presidente Movimento Distributista Italiano (MODIT)


Bergamo, 22 Novembre 2013

lunedì, dicembre 09, 2013

The mission

When the runners came from Bethlehem
All breathless with good news
They were passing a baton forward through time
The commission, from God's lips to our ears
Carried by His saints two thousand years
Connects us all to the same lifeline
As I fix my eyes ahead
I can feel the Spirit's breath...

(And) I can hear the mission bell ringing out loud and clear
It's the revolution Jesus started, and it's here
Echoing across the world from the shores of Galilee
I can hear the mission bell call for you and me
I wanna run with fire
It's my heart's desire
Lifting your love higher

In the history of our faith's arrivals
Great awakenings, Welsh revivals
Saints and martyrs, summoned by a new birth
Patrick's save of the Irish nation
Willian Carey's expectation
Lambs and Lions
Called to the ends of the earth
Gotta put my hand to the plow
Not looking back, not now...


venerdì, dicembre 06, 2013

Un gigantesco Quinbus Flestrin tutto da scoprire. Nella monumentale biografia di G. K. Chesterton scritta da Ian Ker

Un gigantesco Quinbus Flestrin tutto da scoprire. Nella monumentale biografia di G. K. Chesterton scritta da Ian Ker:
Enrico Reggiani (Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano)
L’Osservatore Romano, a. 153, n. 187, sabato-domenica 17-18 agosto 2013, p. 4chesterton
   Ian Ker, sacerdote cattolico e docente di teologia dell’università di Oxford, è senza dubbio un maestro della scrittura biografica: ne ha già dato prova in un recente passato con quella che è considerata la fonte più autorevole e pressoché definitiva sulla vicenda umana di John Henry Newman, apparsa nel 1990 per i tipi di Oxford University Press. A lui si devono anche significativi contributi sull’esperienza letteraria e culturale dei cattolici inglesi tra diciannovesimo e ventesimo secolo, tra i quali si segnala soprattutto The Catholic Revival in English Literature 1845-1961 pubblicato da University of Notre Dame nel 2003. In virtù di tali competenze e dei meriti conquistati in tali ambiti, non sembrerebbe esistere studioso più legittimato e autorevole di Ker a compiere altri passi sulla strada della valorizzazione dell’esperienza culturale e letteraria dei cattolici inglesi nel passaggio tra chestertonl’ottocentesco Catholic Literary Revival il “transizionale” (tra Ottocento e Novecento) Catholic Literary Modernism, proposta terminologica, quest’ultima, non comoda e non soltanto accademica, che Christopher Wachal della Loyola University suggerisce di intendere come «risposta specificamente cattolica alle esigenze politiche ed intellettuali della modernità».
   In effetti di recente Ker ha compiuto almeno un passo importante su tale strada virtuosa e sempre più attesa. Ne è scaturita una nuova biografia (Chesterton. A Biography, Oxford University Press, 2011) un poderoso volume di settecentoquarantasette pagine — tre in più della sua precedente fatica newmaniana — dedicato a Gilbert Keith Chesterton, un’opera monumentale come il soggetto biografato, che fu descritto da George Bernard Shaw nel 1906 con i tratti di Quinbus Flestrin, con cui i lillipuziani di Swift… 
[il resto dell'articolo è reperibile in questo pdf scaricabile a p. 4. © Riproduzione riservata].
bistròLo straordinario e monumentale GKC sarà anche al centro di un incontro  dell’IRISH CLUB presso il Bistrò del Tempo Ritrovato, via Foppa 4 (Milano), lunedì 9 dicembre 2013, ore 19
“Non debole, irrealistica, arretrata”. GILBERT KEITH CHESTERTON e l’Irlanda nelle sue IMPRESSIONI IRLANDESI (Edizioni Medusa, 2013)
Intervengono Alessandro Zaccuri ed Enrico Reggiani.
Ingresso libero

mercoledì, dicembre 04, 2013

Il BOTTONE, dicono di lui

Il BOTTONE, dicono di lui:
E' il confine immaginario e fisico tra il mondo esteriore e il mondo interiore. Gianni Veneziani
E' uno degli oggetti che esprimono meglio il rapporto interno-esterno. L’ho usato spesso per rappresentare questo binomio in architettura e nel design. Ugo la Pietra
bottone in piombo 1970
E' il confine fra la realtà e la fantasia. Giuseppe di Somma
bottone inglese 1800 in vetro pitturato a mano con oro
E' un piccolo oggetto che apre e chiude anche i ricordi. Greco e Politi
bottone 1920 in metallo
E' chiave d’accesso a segrete intimità corporee. Pino Micella
E' entrare, uscire, chiudere, aprire, attraversare ed essere attraversato. P. Rosulo
Accedere all’intimità altrui attraverso il pertugio lasciato aperto dal bottone slacciato. Quanti lo vogliono? E’ più facile creare una cortina fumogena,una diga, una barricata, un filo spinato. Occhiomagico
Ad ogni apertura una nuova esperienza. Nenad Javanovich
bottoni Swarovski
E' il è il padre della zip. E. Spicciolato
E' più silenzioso di una zip, più armonioso di uno strap, accende e spegne la fantasia, apre e chiude spiragli e possibilità. Vannicola e Palma
bottoni 1980 in metallo e strass azzurri
E' un gioco di società che invita gli altri a farsi manipolare per farti scoprire. Lillo Milici
bottone gioiello 190
E' il limite oltre l’immaginario. Silvio De Ponte Conte
E' sempre magico. Claudia Batzing
E' un elemento di soglia, il limite ultimo che schiude su la nudità. Aprire un bottone è un gesto non necessariamente autonomo, può coinvolgere una seconda persona, qui entrano in gioco rapporti spesso non codificati, che comportano una complessità di rapporto con l’ oggetto, che diventa il nucleo su cui si giocano i drammi del rapporto interpersonale. Allacciare un bottone e quasi sempre un gesto drammaticamente individuale. Mario Cananzi
E' una lunga e noiosa chiacchierata. Andre Natrell
bottoni poliestere 2013
Tomber dans la magie d’una surprise. Pietro Del Vaglio
E' positivo e negativo. Hakan Gengol
bottone argento con cuore in smalto 1920
E’ il contatto con il bottone che si accende la fantasia e il desiderio …Giorgio Gallavotti

lunedì, dicembre 02, 2013

Luci e ombre nella ripresa della Tigre Celtica, l’Irlanda

Ospitiamo questo articolo di Giacomo Giglio della Rivista di Affari Europei Europae:
Ireland MODIS 218x300 Luci e ombre nella ripresa della Tigre Celtica, l’Irlanda
Il 29 novembre 2010 l’Irlanda, glorificata nei libri di economia di mezzo mondo come mirabile esempio di economia dinamica in espansione e assediata dalle richieste delle multinazionali di poter aprire la sede legale sul suo territorio, vista la tassazione degli utili d’impresa all’aliquota bassissima del 12,5%, entrò nel girone dannato dei Piigs, affiancando la Grecia nella sua richiesta di aiuto alla Troika composta da BCE, Commissione Europea e FMI. Proprio pochi giorni fa, l’incubo è finito: Dublino è uscita dalla procedura di salvataggio, rimborsando gli ultimi prestiti internazionali.
Molti osservatori hanno colto la palla al balzo per esaltare le virtù delle politiche di austerità. Per una volta, l’austerità sembra non aver creato un Frankenstein, ma un bel principe pronto a nuove avventure, tanto che l’Irlanda si dice già pronta a tornare sul mercato dei capitali. Tuttavia, sbandierare il successo della rinata Tigre Celtica potrebbe rivelarsi pericoloso: non solo perché è stato dimostrato che l’austerità nei piccoli Stati tende a fare danni minori, ma anche perché la ripresa irlandese è dovuta, in massima parte, all’indebitamento statale, come reso chiaro dal seguente grafico.
Schermata 2013 11 27 alle 20.23.36 300x163 Luci e ombre nella ripresa della Tigre Celtica, l’Irlanda
Fonte: www.cso.ie
Ebbene, rispetto al periodo ante-crisi, identificabile grosso modo con il secondo trimestre 2007, il debito pubblico è aumentato, in rapporto al PIL, di quasi sei volte, un aumento davvero esponenziale. Questo fatto, a dir la verità non così pubblicizzato dai media che hanno parlato repentinamente di “miracolosa” uscita dalla crisi, permette di dedurre due lezioni:
• Senza un salvataggio pubblico, l’Irlanda non ce l’avrebbe mai fatta. Certo, gli investimenti esteri sono importanti, ma bisogna ricordare di non fare troppo affidamento su di loro, come insegna bene la crisi asiatica del 1997-98. I capitali esteri tendono a scappare ai primi scricchiolii, anche se, come ha fatto e continua a fare il Paese del Trifoglio, si mantiene un regime fiscale di favore per le grandi imprese.
• Il “propellente” del debito non è necessario nella fase del crollo, ma è strategico anche per ottenere una ripartenza dell’economia reale. La soglia del rapporto debito pubblico/PIL del 60% prevista dal Trattato di Maastricht non è la Bibbia.
L’Irlanda nel 2010 era come un corpo che perdeva copiosamente sangue: il debito ha permesso di ristrutturare il sistema finanziario, ridotto in ginocchio dalle sregolatezze del boom immobiliare, e di dare ossigeno ad un’economia reale che, in ogni caso, negli ultimi anni ha continuato ad essere molto flebile, visto che Dublino è cresciuta di appena lo 0,3% nel 2012. In altre parole: il debito non ha risolto tutti i problemi, ma ha certamente evitato un tracollo. Se l’Irlanda si fosse attenuta strettamente al parametro del 60% (che peraltro non è rispettato da quasi nessun Paese dell’Unione Europea, il che fa molto riflettere circa la credibilità di queste soglie), la sua crescita sarebbe stata ancor più anemica.
La risalita di Dublino è stata inoltre corroborata da un forte calo del costo del lavoro unitario, similmente a quanto sta accadendo in Grecia e Spagna. Dal 2008 al 2015 il costo del lavoro unitario calerà quasi del 15%, aumentando l’appeal della manodopera locale. La svalutazione interna resta l’unica via percorribile in un’area valutaria unica in assenza di aggiustamenti dei cambi. Tuttavia, considerato che la disoccupazione nel Paese rimane al di sopra della preoccupante soglia del 13% e che molti giovani stanno emigrando, sussistono molti dubbi circa gli effetti che un calo del costo del lavoro, unito ad una simmetrica stagnazione delle retribuzioni, possano arrecare ad un’economia in convalescenza. Il grafico sottostante pare eloquente.
Schermata 2013 11 27 alle 20.25.56 Luci e ombre nella ripresa della Tigre Celtica, l’Irlanda
www.economy.com
L’Irlanda si sta avvicinando in maniera inquietante alle soglie della deflazione, causata da uno stallo della domanda interna: uno spettro che ormai aleggia sull’intera Europa, ma di cui i tetragoni difensori del rigore – che il premier italiano Enrico Letta ha creativamente definito “ayatollah” – sembrano non curarsi. La stazza della ripresa irlandese dipenderà molto dalle scelte, o dalle non-scelte, che si faranno a Francoforte nei prossimi mesi.


By GPG Imperatrice
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 da Scenari Economici

giovedì, novembre 28, 2013

Oggi è San Giacomo della Marca, uomo vivo, uomo splendido, antesignano dei distributisti

Oggi è San Giacomo della Marca, uomo vivo, uomo splendido, antesignano dei distributisti:
Roba solida, cari amici.
Di San Giacomo della Marca abbiamo parlato diverse volte (leggi qui), è un francescano spirituale (il corrispondente degli odierni frati minori) amico di San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capestrano, del beato Marco da Monte Gallo, tutta gente dedita a diffondere l'amore a Nostro Signore Gesù Cristo con predicazioni infiam
mate dinanzi alle quali il popolo piangeva per le piaghe di Nostro Signore e si convertiva; dedita a diffondere il culto del Nome Santo di Gesù e il Trigramma di Gesù Cristo, bello anche solo da vedere.

Ma San Giacomo è il fondatore dei primi Monti di Pietà e Monti Frumentari, di cui abbiamo pure parlato e che erano la risposta cattolica all'usura, alla sete di soldi, all'idea di vivere di soldi.

Per questo diciamo che è l'antesignano dei distributisti, in quanto difensore del popolo, della piccola proprietà, del lavoro onesto di chi vuole solo vivere serenamente.

Allora buona festa a tutti noi distributisti.

Viva San Giacomo della Marca, viva il distributismo e dimentichiamo il Big Business (banche comprese).


lunedì, novembre 25, 2013

giovedì, novembre 21, 2013

Children as Commodities

Children as Commodities:
The Council of the District of Columbia is considering a bill, sponsored by its most aggressively activist gay member, to legalize surrogate child-bearing in your nations capital. Infertility is a heart-rending problem. But solving that problem is not whats at issue here, for the D.C. surrogacy bill is being pushed by the same people who brought gay marriage" to the shores of the Potomac River: people who affirm what are, by definition, infertile marriages."

Moreover, in their determination to deny reality-or perhaps reinvent it-the proponents of the D.C. surrogacy bill have adopted a species of Newspeak that would make George Orwell cringe. You can get a flavor of it in a letter written by a friend of mine to his D.C. councilman:

. . . in reading the bill I was struck that nothing was said about the child to be born out of the surrogate agreement. Much is said about the rights and responsibilities of the 'gestational carrier (a very strange expression) and the 'intended parent, but nothing is said about the child. The child is treated as a thing to be used as the gestational carrier and intended parent wish. This is the most troubling feature of the proposed law. It gives no indication that one is dealing here with a human person who will have feelings, thoughts, and memories. These are all swept aside as though the child to be born will have no interest in how he or she came into the world, who his or her parents are, and all the other things that are so fundamental to our identity as human beings."

Gestational carrier"? The D.C. bill not only treats the child as a thing, a commodity that can be bought and sold; it treats the woman bearing the child in the same way. But this is what happens when reality is turned inside-out. For as my friend pointed out to his councilman, its illegal to sell human organs in America; so how . . . is it possible to sell a baby?"

The day I read my friends plea to the D.C. Council for moral sanity, I happened upon Anthony Esolens report of another horror involving children, this time in Toronto:

A public school teacher in Toronto has written a set of lessons requiring young children to imagine wearing clothes appropriate for the opposite sex. Hes been congratulated, not by wary parents, but by a school board that insists that teachers are 'co-parents. What hes doing, of course, is subjecting naïve children to an exercise that promotes his own sexual aims."

There is deep and disturbing cultural irony here. An America that prides itself on organizations like the Childrens Defense Fund and that supports charities like the Save the Children Fund and UNICEF has also committed itself, not indefinitely we pray, to a regime of abortion on demand that has led to the deaths of tens of millions of children. The highest local legislative body in the federal capital is considering a bill that would commodify children as fit objects for sale and purchase-which is precisely what happened in Washingtons antebellum slave markets. And up north, in the Land of Nice, children are being compelled to imagine themselves as cross-dressers; dont be surprised when it happens south of the 49th parallel.

Democracy cannot long co-exist with decadence or unreality. Thats the lesson of history and sound political philosophy. And its the message of the Church, which, with John Paul II, teaches us that it takes a certain kind of people, living certain virtues, to make free politics (and the free economy) work. However we may describe those people and the virtues they live out, they arent people who buy and sell children, speak blithely of gestational carriers," reduce parenthood to a lifestyle choice, and ask youngsters to imagine themselves cross-dressing. These behaviors arent just weird; theyre wicked, and the attempt to force them on society through the law is a perfect example of what Benedict XVI meant by the dictatorship of relativism."

George Weigel is Distinguished Senior Fellow of Washingtons Ethics and Public Policy Center. His previous On the Square" articles can be found here.

mercoledì, novembre 20, 2013

martedì, novembre 19, 2013

Quei due maledetti benedetti cattivi bravi ragazzi: Andy Warhol e Lou Reed

Quei due maledetti benedetti cattivi bravi ragazzi: Andy Warhol e Lou Reed:
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di Luca Dombré     Papaplepapale.it
Sono stati non pochi quelli che, a seguito dell’ articolo  del sito Papalepapale  (e rilanciato domenica scorsa su questo blog) sulla conversione al cattolicesimo di Lou Reed, morto lo scorso 27 Ottobre, hanno espresso grande sorpresa per questa notizia. <<Ma come? Lui, la leggenda dei Velvet Underground cantore della sadomaso “Venere in pelliccia” e dei paradisi artificiali spalancati dall’eroina?>>. Eh sì, proprio lui, il monumento del rock newyorchese lanciato da Andy Warhol, totem poliedrico quanto ambiguo della pop art novecentesca.
Uno stupore che, in realtà, un po’ stupisce esso stesso, specie pensando al Vangelo della domenica trascorsa tra il decesso di Reed e il momento in cui scrivo; vi si narra infatti l’episodio del pubblicano Zaccheo, disprezzato da tutti, ma salvato da Cristo con parole stupefacenti, speranza sconvolgente per gli uomini d’ogni tempo: <<Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto>>.
Già, a volte sembriamo duri a comprendere l’accessibilità della salvezza per chiunque, pentito, sia assetato della Verità che rende liberi. Nessuna accusa personale, sia chiaro: solo l’osservazione di come la protestantizzazione del buon senso ci abbia un po’ tutti instupiditi di puritanesimo, spesso persuasi che solo per gli irreprensibili sia il Regno dei cieli. Eppure fu un’altra, travisatissima icona del ribellismo moderno, Oscar Wilde, a sua volta convertito al cattolicesimo al finale della vita, a chiarire: <<La Chiesa Cattolica è per i santi e i peccatori. Per le persone perbene è sufficiente la Chiesa Anglicana>
Andy Warhol. Anche lui cattolico?
Ma oltre a queste considerazioni di basilare percezione della cattolica ragionevolezza che sempre discerne tra peccato e peccatore, va osservato che la religiosità dei due vecchi amici Reed e Warhol non era, in realtà, radicalmente sconosciuta. Infatti, sebbene la conversione al cattolicesimo del primo sia rimasta notizia confinata ad una cerchia privata di amici, la fede cattolica del secondo (per quanto poco nota ai più, specie in vita) è argomento affrontato in passato con una certa dovizia. Basti ad esempio pensare ad una mostra organizzata a Roma nello scorso decennio ed intitolata “Andy Warhol ci ha ingannati” (qui un ragguaglio) dove il tema ignorato della spiritualità dell’artista americano fu trattato in profondità. Il preconizzatore dei “quindici minuti di celebrità”, sintesi perfetta della vanità contemporanea, era infatti figlio di immigrati slovacchi di confessione cattolica uniate, e fu dunque cresciuto in una religiosità a cavallo tra il cattolicesimo e l’ortodossia orientale, influenze riscontrabili da un’analisi non superficiale della sua opera (si pensi solo alle modalità rappresentative delle icone orientali riprese nei famosi ritratti seriali delle icone mondane tipo Elvis o Marilyn Monroe). Tuttavia non serve qui entrare nei dettagli di questo tema – eviscerato dagli esperti e che si offre tuttora ad approfondimenti interessanti non solo per gli appassionati d’arte-, quanto coglierlo come opportunità di riflessione sul perenne scandalo cristiano, ostinato nel sottrarsi alle comode categorizzazioni della sapienza secondo il mondo.
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Vi è qualcosa di immensamente più grande su cui ragionare, andando ben al di là di una mera rivendicazione di “schieramento”: attestare come l’anima di un grande artista o di qualunque semplice uomo alla ricerca della verità non possa girare lo sguardo altrove qualora si soffermi stupito, laceratone dallo splendore, su quello di Cristo. E’ necessario, oggi più che mai, testimoniare ciò per dare un piccolo contributo affinché si crepi la corazza di nichilismo e sentimentalismo che asfissia i nostri giorni; aiutare ad instillare anche in un solo uomo il dubbio che instradi alla ricerca dell’unica risposta credibile (che è un Volto, non una filosofia aleatoria) all’afflizione e al tormento.
Meditare, dunque, sugli infiniti modi in cui la Grazia scende a toccare gli uomini “sporcandosi”, incontrandoli misteriosamente nella loro sete di assoluto, sebbene lerci della melma del peccato. Come detto: la Salvezza non è già decisa per una setta di prescelti moralisti, ma è offerta ad ogni essere umano. Non so perché, ma ci ho pensato spesso fin dalle prime volte che iniziai a inginocchiarmi nella chiesa di St.Vincent Ferrer. Scoprii infatti presto che, in quel tempio fatto costruire dai domenicani sulla Lexington Avenue, il cattolico bizantino Andy Warhol frequentava quotidianamente la Messa. Così, durante le mie consuete visite al confessionale o per qualche minuto di preghiera, un pensiero mi rimanda spesso ad immaginarlo seduto tra i banchi alla ricerca di raccoglimento, un nascondimento quasi contraddittorio per un talento superato persino dalla sua stessa fama.
E fino a pochi giorni fa, prima del trapasso di Lou Reed, assieme a questo pensiero ne pulsava un altro subliminale, che si è manifestato fulmineamente alla notizia della morte: quante volte i due vecchi amici avranno parlato fra loro di Dio? Si saranno mai preoccupati di confrontarsi sulle cose ultime l’ambiguo (e malinteso) profeta della civiltà dell’effimero e il cantore ex eroinomane degli “outcasts”, i rifiuti imbarazzanti ed inevitabili di quella stessa società? Era, il loro, solo un attestare l’imperio della vanitas erta a sistema di vita planetario e l’abiezione e gli effluvi di morte che ne conseguono, oppure si saranno chiesti a vicenda dove tutto ciò avrebbe portato l’uomo?
Ecco, queste ed altre domande avevo sempre avute con me senza rendermene conto, ogni volta che mi balenava l’istanteanea di Warhol sotto la statua del santo valenciano. Le avevo perché non si può, come l’immaginario comune vorrebbe, ridurre quei due amici a degli ambigui bohémiennes, come tanti altri loro contemporanei icone iconoclaste di anni conturbanti e, oggi lo sappiamo, iniettati di vane speranze e ideologie putriscenti. No, non si può ridurne il genio e il tormento ad ubbie di pervertiti convinti che sia solo il “qui ed ora” a contare e che un “dopo” non c’è, e se anche ci fosse nulla conta.
lou-reed-tEppure tante banalità simili si sono sentite e lette negli obituari su Lou. Perfino le puttanate da barricaderi (il collettivo di scrittura che si firma Wu Ming) che, cercando di appropriarsene in esclusiva, lo hanno etichettato erede dell’anarchico pistolero Gaetano Bresci, delirio di ciechi incapaci di contemplare nell’opera di Reed una dimensione estremamente spirituale nell’abbassarsi e addentrarsi nella disperazione dei reietti che ha a che fare più con le domande di un cristiano che non con le categorizzazioni perentorie del loro materialismo fuori tempo massimo.
Ecco, quelle domande pare che siano arrivate ad un punto della vita di Reed ed abbiano trovato la risposta nel battesimo che porta a Cristo, la sola e vera fonte di vita eterna. Una risposta protetta discretamente, in un silenzio orante, proprio come dal suo vecchio amico Andy. E chissà che anche di questa possibilità non avessero già conversato insieme, lontani per un istante dal frastuono della Factory e la vacuità di un mondo ridotto a contenitore senza contenuto. Chissà che, avendo scoperto solo pochi giorni fa di questa silenziosa conversione, io stesso non abbia avuto un’inspiegabile intuizione augurandomi che fosse infine giunto a godere, per sempre, del Volto Divino. Chissà che, varcando la soglia inesorabile, il lontano fruscio di Lou non mi avesse avvertito della risposta finalmente chiara, in eterno: che i defunti sono in realtà tutti vivi.


domenica, novembre 17, 2013

Stop, Look and Love: 8 Redesigns of Classic Traffic Lights »




We all gaze upon the humble traffic light nearly every time we climb into a car and take a journey, whether it’s down the street for a jug of milk or across the country for a great adventure. Around the world, the design is remarkably standardized, deviating only a little from one continent to the next. But is the familiar design really the best design? Or is the traffic light due for an overhaul? According to the designers behind these concepts, there is a way to improve on that most recognizable of urban landmarks.

The Colorblind-Friendly UNISignal


(image via: Dornob)
For people who have trouble discerning the difference between red and green, stoplights can be daily challenges. Particularly in places where the stoplights are situated horizontally, telling the difference between “stop” and “go” can be far from intuitive. This concept from four innovative designers would use shapes along with colors to give traffic directions, thereby eliminating any confusion about whose turn it is to go.

Control Safety Traffic Light


(image via: Yanko Design)
When traffic lights were invented, there were serious limitations on their functions based on the materials that were available. Today, LEDs can do so much more than the light bulbs of previous generations, giving traffic lights almost unlimited potential. This traffic light concept would give speed limit and road condition information to waiting motorists while displaying a special “emergency” signal for approaching emergency vehicles, telling all other traffic to halt and let the emergency vehicles go by.

The Eko Stoplight


(image via: Yanko Design)
Designer Damjan Stankovic believes that we can go a little way toward saving the world if we stop idling our cars for so long at stop lights. And how would we accomplish this feat? By knowing exactly how long we have to wait at red lights, of course. His timed stop light concept would tell drivers exactly how long remains until the light turns green, giving them time to shut off their engines and wait patiently or prepare to race ahead.

IBM’s Controlling Concept


(image via: Wikipedia)
IBM wants to employ the same concept as the Eko Stoplight, but without relying on drivers to make any decisions. Their recently patented idea would actually control the engines of participating cars, shutting them off at long lights and allowing them to start again once the light changed. In addition to saving on gas at long lights, the system could potentially prevent accidents in people who choose to run red lights or simply get impatient and creep too far out into the intersection while waiting. Of course, not everyone would be excited about the prospect of handing over control of their car engines to stoplights, but for now this patent refers only to a theoretical application.

The Luxofor Traffic Light


(image via: Wired)
Russian design studio Art Lebedev has come up with an elegantly simple redesign of the traffic light, one that doesn’t rely on gimmicks or technology. Their Luxofor Traffic Light would feature square lenses rather than round ones since the round lenses are no longer necessary (they were designed to be used with bulbs, not the LEDs we use today). The shape would allow more visible area for the signal, thereby making the traffic lights easier for motorists to read.

Hourglass Traffic Lights



(images via: Yanko Design)
In the belief that knowledge is power, this traffic light concept tells motorists exactly how long is left before the light changes to its next phase. Cycling through the regular green, amber and red phases, the lights are arranged in an hourglass shape that “empties” from top to bottom to display just how much time remains until the next color in the cycle. This concept would be an absolute disaster for colorblind drivers, but it’s a fun rethinking of this classic design.

Solar-Powered Four-Way Traffic Lights


(image via: The Design Blog)
Pedestrians are often faced with danger when trying to cross the street in busy urban areas, so designer Hojoon Lim devised a new type of solar-powered traffic symbol that would keep pedestrians and cars out of each other’s way. The system consists of four signals at each intersection in the shape of a square. Whichever side has to wait for the moment is greeted with a thin laser signal blocking the way, giving a harmless visual cue that is perhaps a little harder to ignore than the standard red light.

The Marshalite


(image via: Wikipedia)
Of course, many of these fancy electronic designs have a classic design to thank for their inspiration. The Marshalite was invented by Charles Marshall in 1936 and employed a mechanical pointer to indicate what the cars should be doing at any given time. Thanks to the sweeping hand that moved at a predictable speed across the colored segments, motorists knew exactly how long remained until the signal changed. The Marshalite was used in Australia until the 1970s, but its design influence can still be felt today.

giovedì, novembre 14, 2013

Da dove viene la ribellione “posturale” dei veglianti in piedi francesi [La giornata] »

Da dove viene la ribellione “posturale” dei veglianti in piedi francesi [La giornata] »:
Più poetici degli strimpellatori turchi, più cazzuti dei grillini, più impersonali di Anonymous, con le idee più chiare dei manifestanti brasiliani. Sono sul crinale dell’inattualità, per metà figli dello spirito del tempo e per metà contro di esso, i Veilleurs debout, le sentinelle di quel che resta della douce France. Letteralmente i “veglianti in piedi”, coloro che vigilano, che non dormono e che di conseguenza non hanno motivo di sedersi. E allora stanno lì, in piedi. Davanti ai tribunali, di fronte ai palazzi del potere, vicino alle carceri in cui sono rinchiusi i prigionieri politici che non avranno mai nessun soccorso rosso.
di Adriano Scianca
Continua sul sito del Foglio.it

martedì, novembre 12, 2013

Notre Dame Analemma

Notre Dame Analemma:
ND Analemma (Craig Lent)
Notre Dame Analemma
This picture shows an analemma, which illustrates the path traced by the Sun in the sky over the course of a year, behind the Golden Dome of Notre Dame’s (my alma mater) Main Building. The image was taken by ND engineering professor Craig Lent. An analemma can be created by photographing, from a fixed location, the Sun in the sky, or by marking its projected image, at the same time over regular daily intervals over the course of a year. As the Earth orbits, the Sun’s daily path rises and falls in the sky due to the fact that Earth revolves at an angle relative to its orbit. Moreover, because the Earth’s orbit is elliptical, the Sun’s position at a given time (say, noon) advances and retreats relative to the time because the Earth’s orbital speed changes over the course of the year, being faster when the Earth is closer to the Sun and slower when it is farther. As a result, the relationship between the speed of the Earth’s orbit to its constant rotation changes, causing the Sun’s apparent motion through the sky to vary.  Read a detailed description of the causes here.

venerdì, novembre 08, 2013

Are you a Bellocian?

Are you a Bellocian?: If you are, or if you suspect you may be one, or even if you are thinking of becoming one, think about heading on down to the Central Catholic Library in 74, Merrion Square, Dublin at 1:30 this Saturday. (The same place where my Chesterton Society has had most of its meetings.)

On that day, it is hoped that an Irish Hilaire Belloc Society will be formed. They say: "It is hoped that a president and officers can be elected, and a winter reading programme, based on the writings of Belloc, can be developed."

I am only a Bellocian in a very small way, certainly as compared with my chronic Chestertonianism. But there is a Belloc quotation at the bottom of this blog, so I suppose I am a bit of one, after all. And I will be hauling myself down there, although rather late because I am working on Saturday morning. (I was at the previous get-together, which I suppose was a kind of pre-foundational meeting. It was a lot of fun.)

Go on. Think about it!

lunedì, novembre 04, 2013

No all’aborto e alla sperimentazione embrionale (dei gorilla però) »

No all’aborto e alla sperimentazione embrionale (dei gorilla però) »:
di Isacco Tacconi

L’ultima trovata legislativa proviene dall’infelice penisola iberica, la quale sprofonda ancor più insieme alla mezzaluna dei Paesi Bassi nell’irrazionalità inumana di una società che non ha futuro.

Lo scorso febbraio il parlamento spagnolo ha varato una legge che vieta l’aborto dei cuccioli di gorilla e, contemporaneamente, impedisce la sperimentazione sugli embrioni dei suddetti primati. Un atto di grande sensibilità per i nostri amici animali i quali certamente hanno tirato un sospiro di sollievo per lo scampato gorillicidio. Tanto che un nutrito branco di primati aveva invaso Madrid e il loro portavoce aveva dichiarato alla stampa :«Siamo felici che il governo abbia riconosciuto il diritto di noi scimmie e tutti nella giungla stanno esultando, ma ora vorremmo che il governo, come promesso in campagna elettorale, proteggesse anche i nostri amici umani correggendo la legge sull'aborto ed eliminando la sperimentazione con cellule embrionali».

D’altra parte è bene ricordare che nel 2010 il governo Zapatero aveva approvato una legge che permette alle ragazzine fin dai sedici anni di abortire liberamente senza il permesso dei genitori e senza neanche che questi siano messi al corrente; inoltre dà la possibilità alle donne di far ricorso all’aborto entro le 14 settimane dal concepimento per qualsivoglia motivazione, entro la 22esima per gli interventi cosiddetti “terapeutici”. Una bella terapia di morte non si nega a nessuno.

Ignacio Arsuaga, capo branco dei gorilla manifestanti membri dell’Associazione per il Diritto alla Vita, dichiarò «Vogliamo che il governo protegga gli uomini e la loro vita fin dal concepimento così come protegge le scimmie». Sembra una scena del film “Il Pianeta delle scimmie” di J. Schaffner con il mitico Charlton Heston (unico uomo che si comporta da uomo), in cui sono gli uomini ad essere trattati come animali stupidi e senza intelletto. Con la differenza che nel film erano le scimmie a rivoltarsi contro di essi e a soggiogarli con la forza, mentre qui, nel mondo reale, sono gli stessi uomini che si sottomettono volontariamente alle scimmie alle quali, di per sé, non fregherebbe una mazza se i cuccioli degli uomini vengono ammazzati dai loro stessi genitori.

Ѐ il mondo alla rovescia in cui circolano ambulanze 118 per animali feriti, cuccioli di cane e di gatto vestiti come bambini in fasce e portati a spasso (l’ho visto con i miei occhi) dentro una carrozzina con tanto di cappottina parasole e in cui, parallelamente, nelle cliniche vengono soppressi i membri della specie umana per i motivi più disparati (non lo voglio, non è il momento, non ho tempo, non ho soldi, sono troppo giovane, sono troppo vecchia ecc…).

Stato ed enti locali si prodigano in campagne ed agevolazioni per il mantenimento di cani e gatti, sconti sulle pensioni estive per animali (pure le vacanze!) pur di non abbandonarli, cibi biologici a km 0 dal produttore al consumatore (cane) il quale apprezzerà particolarmente la carne bovina di prima scelta e le verdurine fatte lessare apposta per lui. E c’è da dire che questi prodotti non sono per nulla economici, però chissà perché per gli amici a quattro zampe i soldi si spendono, non così per i bambini in arrivo. Ugualmente i prodotti per i neonati, dai pannolini agli omogeneizzati, costano un occhio della testa. Lo sanno le giovani mamme che molto spesso per il nutrimento dei propri figli devono andare a risparmio o ricorrere ad associazioni di volontariato e sostegno come i CAV, non certo allo Stato che non dà sussidi in merito. Però un cane non è un «trauma psicologico», non lo si può uccidere né tantomeno abbandonare, per lui i sacrifici si fanno anzi, si devono fare.

Campagne contro la vivisezione e la sperimentazione animale per la lotta alle malattie degenerative umane e si, invece, alla sperimentazione embrionale umana, con la perdita del 90% degli embrioni prodotti. “In Italia dei circa 71mila embrioni di uomo prodotti nel 2005, ben 65.000 sono morti, o in vitro o dopo il trasferimento, per mancato attecchimento nel corpo della madre”[1]. In questo modo la vita umana appare né più né meno un bene di consumo da comprare o rigettare a piacimento: esseri umani in provetta si, gorilla no.

Si vuole creare un artificiale giardino di Eden in cui l’uomo non è né più né meno un animale uguale agli altri anzi, se possibile meno degli altri. La nota fattoria di Orwell insegna: ci sono sempre animali «più uguali degli altri», i gorilla ad esempio! Quella umana in definitiva sembra essere la meno tutelata nonostante sia la più alta e perfetta forma di vita presente sulla faccia della terra e nell’intero universo. Sulla differenza uomo-animale rimandiamo ad un precedente articolo.

Comunque in Spagna, per la commozione degli animalisti, gli attivisti gorilla hanno dimostrato più premura per i figli degli uomini degli uomini stessi. La manifestazione si chiuse, infatti, con un coro delle scimmie: «Bisogna essere un gorilla per non essere abortiti»Ma dato che di scimmie urlatrici e scimmioni travestiti ne abbiamo abbastanza pieno il parlamento, alla fine della giostra c’è da chiedersi: quando cominceranno gli uomini a difendere i propri di «cuccioli»?



[1]http://www.comitatoveritaevita.it/pub/nav_La_legge_40._0.php

domenica, novembre 03, 2013

Da El Mundo - Il miracolo di Chesterton (grazie, Maria Grazia Gotti, che traduci lo spagnolo!) »

Da El Mundo - Il miracolo di Chesterton (grazie, Maria Grazia Gotti, che traduci lo spagnolo!) »:
In Spagna è stato tradotto "El hombre corrente" (trad. Abelardo Linares, Ed. Espuela de Plata) ovvero L'uomo comune.
Sul blog "Biblioteca en llamas" (biblioteca in fiamme), di El mundo, Juan Bonilla ne ha scritto questa interessante recensione

Lo ha detto Borges, ed è una di quelle frasi dell'arte della critica letteraria che, al di là che dicano o no la verità, fissano e danno splendore all'autore che le suscita: "Non c'è pagina di Chesterton che non contenga un abbagliamento". […]. Naturalmente in Chesterton ci sono pagine nelle quali non c'è nessun abbagliamento, ma sono rare le scene che non vengono toccate da un abbagliamento prodotto nelle pagine precedenti. Mi spiego: Chesterton è solito partire  da una deduzione, un'idea, una tesi, come lui stesso la chiama a volte, che diresti impossibile da sostenere. Ad esempio: l'emancipazione moderna non ha significato nient'altro che la persecuzione dell'uomo comune. Ma: come? Non è  l'uomo comune precisamente  il grande vincitore dell'emancipazione moderna, l'obiettivo di questa emancipazione, il trampolino almeno per raggiungerla? Non è l'intronizzazione dell'uomo comune una delle grandi vittorie della modernità? Il processo di abbagliamento nasce in quel momento, di fronte al miracolo, per usare una parola che piaceva molto a Chesterton, di vedere una mente affinare la propria lucidità, e cavalcare con audacia e grazia, ragionamenti che vanno minuziosamente dimostrando la ragionevolezza, in molti casi, la irrefutabilità della deduzione o tesi da cui si partiva. Sì, in effetti, l'emancipazione moderna ci permette di riempire un padiglione della Biennale di rifiuti che chiameremo lavori artistici, ma l'uomo comune non potrà accendersi una sigaretta in nessun vagone di nessun treno. Non è un esempio di Chesterton, ma la traduzione al presente di un esempio che ha Chesterton ha inserito ne L'uomo comune, il saggio iniziale di questa abbagliante raccolta che è stata tradotta da Abelardo Linares e pubblicata dalla casa editrice Espuela de Plata (tra le virtù da segnalare di questa edizione, l'ottima idea di riprodurre la copertina originale).

Naturalmente ci sono pagine di Chesterton in cui non troveremo nessun abbagliamento, ma ci sono tanti lampi in quasi tutti i suoi testi che si raccomanda di leggerli con gli occhiali da sole. Perché tanta intelligenza, davvero, a volte stanca, e in un maestro dell'arte del paradosso come era Chesterton non è meno paradossale che sia la sua instancabile intelligenza quello che ci causa la maggiore fatica. Intendo dire che Chesterton dice tante cose memorabili che, per dirlo a modo suo, il rischio principale che si corre leggendolo è di finire per non ricordarsene nessuna. Ciò che rimane è piuttosto la struttura, l'artificio geniale del suo modo di ragionare, più che la sensazione che ti sia convinto di qualcosa. È il pericolo dei grandi stilisti, e Chesterton era un grande stilista. Per questo è così raro che crescano tanti imitatori: succede agli autori inimitabili.

Dice Abelardo Linares che erroneamente si è considerato il Chesterton giovanile e polemista - prima della sua conversione al cattolicesimo- come il più divertente: questo libro, l'ultimo dei suoi, lo nega sonoramente, perché in realtà se qualcosa si può dire di Chesterton senza timore di sbagliarsi, per quanto sembri banale, è che Chesterton fu Chesterton dall'inizio alla fine. L'uomo comune è una raccolta battagliera - "il più (don)chisciottesco dei suoi libri", dice Linares, dato che con più forza, sufficienza e brillantezza attacca, nei suoi saggi, i mulini a vento della modernità, se si intende la modernità come un mulino a vento. In questo Chesterton si allea all'Unamuno di Vita di Don Chisciotte, un libro nel quale si legge la più delicata e bella interpretazione del celebre episodio del romanzo di Cervantes: non è che Don Chisciotte ebbe un'allucinazione e vide giganti dove c'erano solo mulini a vento, quello che voleva fermare con la sua lancia erano proprio i mulini a vento, intuendo in essi il gigantismo di una modernità che ci avrebbe annichilito.

Un'altra delle capacità miracolose di Chesterton è di renderci interessante qualsiasi cosa di cui parli, quella che ci sembra di conoscere come quella della quale non sappiamo nulla. Abbiamo letto i racconti di Tolstoj, e leggiamo il saggio di Chesterton su quei racconti e c'è lì più Chesterton che Tolstoj, ovvero ci sarebbe piaciuto ugualmente se non avessimo letto i racconti di Tolstoj. Non abbiamo letto i poemi di Walter de la Mare, ma ciò non significa che il saggio che Chesterton gli dedica sia meno intelligente. Tutto Chesterton è pieno di scoperte/rivelazioni, al punto che nei suoi libri di saggi ci sono sempre almeno due libri: uno è quello dei saggi, che bisogna leggere lentamente per non restare accecati, e l'altro è quello degli aforismi, che si potrebbero selezionare per ottenere un volume a parte, che potremmo leggere vertiginosamente.

Esempi: ci sono due tipi di vandali, dice Chesterton: quelli antichi, che distruggevano gli edifici, e quelli moderni, che li costruiscono. È evidente dice Chesteston che dipingere di bianco un uomo non è la stessa cosa che lavarlo fino a renderlo bianco: la cosa curiosa è che, spesso, la gente cerca dipingere di bianco un uomo per nascondere i suoi difetti, e non riesce, mentre forse sarebbe possibile lavarlo e fino a un certo punto, riuscirci. (Come si vede, un'altra delle capacità di Chesterton è la sua costante attualità: "Più di un uomo pubblico ha cercato di nascondere un delitto ed è solo riuscito a nascondere le scuse").

L'uomo comune, per concludere con un altro paradosso, non avrebbe potuto essere scritto se non da una persona eccezionale come Chesterton. Tra i tanti paradossi sorridenti lanciati alla vuota modernità che ci confonde, troveranno qui una sensata definizione di patriottismo e una felice confessione di come il fatto di non riuscire ad ottenere risposta alle domande eccessive che un giovane può farsi non significa che non ci siano risposte a tutto. Non dico che questa confessione sia convincente  o trasferibile -è nel testo nel quale Chesterton spiega il suo cattolicesimo- dico solo che è molto bella.

 Chi la voglia leggere in originale, la trova quihttp://www.elmundo.es/blogs/elmundo/bibliotecaenllamas/2013/07/04/el-milagro-de-chesterton.html