martedì, febbraio 28, 2006

Chi mi aiuta? 2

Sto traducendo dall'inglese un articolo su Aristotele e la metafora. Avrei bisogno di conoscere la versione italiana di alcuni passaggi, non molti in realtà ma stando a Dublino non ho sotto mano libri italiani. Chi mi aiuta? Si tratta di una diecina di citazioni, non di più.

I volumi in questione sono:

Erodoto, Evagoras
Aristotele, Topici
Aristotele, Historia Animalium
Tommaso De Vio, De Nominum Analogia

Se qualcuno li ha in casa o può consultarli in biblioteca mi farebbe un gran piacere. Grazie

lunedì, febbraio 27, 2006

Ancora sugli scontri

L'unico sito italiano che si è occupato degli scontri di sabato è Les Enfants Terribles.
Mentre qui trovate una discussione tra gli italiani residenti in Irlanda.

ps.
Tra gli arrestati c'e' un italiano, tale Fabio Adinolfi, accusato di reati contro l'ordine pubblico.

sabato, febbraio 25, 2006

Dublino brucia



Oggi per Dublino è stata una giornata di violenza, violenza politica come non si vedeva da trenta anni. Negozi assaltati, auto in fiamme, vetrine distrutte. Oltre quaranta arresti, una diecina di feriti.
Motivo della contesa la Love Ulster Parade, la marcia organizzata dagli unionisti nordirlandesi per commemorare, a loro dire, le vittime dell'IRA.
Una marcia unionista non si era mai vista a Dublino forse da settanta anni ma, per quanto fosse una chiara provocazione, il governo ha voluto autorizzarla per mostrare come la libertà di espressione è garantita per tutti.
Tutti i partiti politici, compreso lo Sinn Fein, avevano invitato ad ignorare la marcia ma così non è stato. Qualche centinaio di manifestanti repubblicani ha occupato O'Connel Street, la strada principale del centro di Dublino, impedendo di fatto lo svolgimento della marcia. Lì sono cominciati gli scontri con la polizia, scontri che poi si sono allargati ad altre vie del centro.

Così si presentava O'Connel Street dopo qualche ora.



I manifestanti repubblicani hanno tra l'altro assaltato una sezione dei Progressive Democrats, uno dei due partiti di governo, lasciandosi dietro incendi e devastazioni.
Uno dei più noti corrispondenti politici della televisione di stato, Charlie Bird, è stato malmenato ed è finito in ospedale, insieme a diversi poliziotti e giornalisti.

L'impressione, ascoltando i dublinesi e leggendo i blog, è quella di generale condanna per l'accaduto. La città ripudia il settarismo del nord. Ora si teme un rallentamento del processo di pace.

Per approfondimenti:
Irish Blogs
Indymedia
Slugger O'Toole


Decine di foto su
Indymedia
Flickr
ps. Anche Antonella 'Sgrufoletta' ha fatto un po' di foto. C'è da precisare che in O'Connell St. erano in corso dei lavori di pavimentazione, per cui la devastazione sembra ancora maggiore.
I manifestanti hanno utilizzato tutto quello che hanno trovato nei cantieri per attaccare la polizia.

giovedì, febbraio 23, 2006

Quale reciprocità?

Oggi alle ore 17,00 nella Chiesa di Santa Maria Maggiore a Vasto il Card. Jean-Louis Tauran, già responsabile dei rapporti della Santa Sede con gli Stati, terrà una conferenza sul tema: “La Chiesa al servizio della pace”. A introdurlo sarà il mio carissimo Vescovo, di cui volentieri pubblico questa riflessione.


Quale reciprocità?

di

Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto


“Per i credenti come per tutti gli uomini di buona volontà, la sola via che possa condurre alla pace e alla fraternità è quella del rispetto delle convinzioni e delle pratiche religiose altrui, affinché, in maniera reciproca in tutte le società, sia realmente assicurato a ognuno l’esercizio della religione liberamente scelta”. Queste parole rivolte lunedì scorso da Papa Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede, Ali Achour, contengono un triplice principio, il cui richiamo appare quanto mai importante in questi giorni segnati dalle drammatiche e violente reazioni delle società islamiche all’offesa ad esse arrecata dalle vignette satiriche su Maometto pubblicate in Occidente. Il primo principio è quello del diritto alla libertà religiosa: in quanto tocca gli abissi più profondi della coscienza e l’esercizio della libertà nelle sue radici interiori e ultime, questo diritto è in un certo senso la cartina da tornasole di tutti gli altri. Dove esso fosse negato, sarebbe negata la dignità stessa della persona umana e quello spazio della libertà di coscienza a cui non a caso tutti i totalitarismi ideologici hanno cercato di porre limiti e condizioni. Farsi portavoce e difensore di questo diritto significa per il Papa e per la Chiesa tutta sposare fino in fondo la causa dell’uomo e contribuire a realizzare società più libere e umane per tutti.
Il secondo principio indicato da Benedetto XVI è quello che non ci potrà essere pace senza giustizia e non ci sarà giustizia senza il rispetto della dignità di ogni persona umana: è l’idea su cui il Magistero sociale della Chiesa insiste da anni, e che ha trovato un’espressione perfino drammatica nel no di Giovanni Paolo II all’uso della guerra come risposta alla barbarie del terrorismo internazionale. Che la scelta militare dopo l’11 Settembre 2001 quale strumento punitivo e deterrente contro il fanatismo fondamentalista fosse la peggiore, lo aveva dichiarato senza mezzi termini l’allora responsabile dei rapporti con gli Stati della Santa Sede, il Card. Jean-Louis Tauran, che proprio oggi su mio invito sarà a Vasto per parlare della posizione della Chiesa in rapporto alla pace: il braccio desto di Giovanni Paolo II aveva definito l’azione militare in Iraq “illegale, immorale e inutile”, e bisogna dire che gli sviluppi di quanto allora avviato sembrano avergli dato pienamente ragione. Sarà peraltro lui stesso a illustrarlo a chi oggi verrà ad ascoltarlo.
Il terzo principio evocato dal Papa nelle parole riportate all’inizio è quello della reciprocità: quanto viene garantito a ogni immigrato legalmente accolto nelle società europee ed occidentali sul piano dei diritti umani, deve essere garantito allo stesso modo a tutti nelle società islamiche. Non è possibile usare due pesi e due misure: se ogni musulmano che vive in Italia ha diritto a professare e diffondere la sua fede, non si capisce perché la conversione al cristianesimo in molti paesi a maggioranza islamica è di fatto punita con la morte e pene gravissime sono comminate a chi diffonde la buona novella cristiana o amministra i sacramenti a chi liberamente li richiede. Questa legge di reciprocità va naturalmente ben intesa: essa non si pone su un piano strettamente condizionale e pattizio, quasi che bisognerebbe da noi negare i diritti a chi proviene da una società in cui essi sono negati. L’assolutezza del diritto e del codice etico che lo ispira non potrebbe tollerare una simile applicazione della reciprocità: qui è proprio il cristianesimo che fa valere il valore asimmetrico dell’amore e del rispetto dell’altro, quando chiede di amare i propri nemici e di rispondere facendo del bene a chi ci fa del male. Il gesto con cui la madre di don Andrea Santoro, morto martire del fanatismo islamico in Turchia, ha subito perdonato il giovane assassino di Suo Figlio, è di una statura morale che mostra da sola la ricchezza di valore anche civile che consegue alla fiducia accordata alla parola evangelica.
Questo carattere assoluto del rispetto dei diritti fondamentali della persona, a cominciare da quello alla libertà religiosa, se esclude una stretta applicazione giuridica del principio di reciprocità nei rapporti internazionali, non la esclude affatto sul piano morale e su quello della politica ispirata alla ricerca di una convivenza delle nazioni fondata nella giustizia e il dialogo. Se non è compito della Chiesa spiegare agli Stati e alle Nazioni Unite come perseguire questo fine, ad essa è non di meno richiesto di ricordarlo come urgenza prioritaria, se si vorrà arrivare ad un incontro delle civiltà, che superi la barbarie dello scontro da alcuni voluto, provocato spesso anche da atteggiamenti superficiali e irresponsabili. È insomma l’ora in cui la reciprocità auspicata deve sostenere comportamenti alti, fatti di coraggiosa ispirazione etica, di scelte concordi e responsabili in politica estera, di richiamo agli interlocutori non fondamentalisti del mondo islamico a farsi comprotagonisti della costruzione di cammini di pace e di rispetto per tutti. Da questo impegno dipenderà se il nostro domani sarà di scontro o incontro fra le civiltà e i mondi religiosi che le ispirano: e il credente non potrà non chiedere a Dio di aiutare tutti a farsi convinti costruttori di pace lungo la via del dialogo e della giustizia che non escludano nessuno.

mercoledì, febbraio 22, 2006

Trentatré anni


22/2/1973

La vita corre e noi arranchiamo.
Dedico il mio trentatreesimo compleanno a due amiche vicine e lontane.
E' più facile guarire un paralitico che perdonare, farsi perdonare e perdonarsi eppure oggi ho letto l'inizio di un piccolo miracolo. Vedremo ...
Basta solo arrendersi e sentire la meraviglia.

Dio della libertà e della pace,
che nel perdono dei peccati
ci doni il segno della creazione nuova,
fa’ che tutta la nostra vita riconciliata nel tuo amore
diventi lode e annunzio della tua misericordia.

domenica, febbraio 19, 2006

Chi mi aiuta?

Sto traducendo dall'inglese un articolo su Aristotele e la metafora.
Avrei bisogno di conoscere la versione italiana di alcuni passaggi, non molti in realtà ma stando a Dublino non ho sotto mano libri italiani.
Chi mi aiuta? Si tratta di una diecina di citazioni, non di più.

I volumi in questione sono:

Erodoto, Evagoras
Benedetto Croce, La filosofia di Giovanbattista Vico
Aristotele, Topici
Aristotele, Metafisica
Aristotele, Historia Animalium
Aristotele, De Anima
Tommaso De Vio, De Nominum Analogia


Se qualcuno li ha in casa o può consultarli in biblioteca mi farebbe un gran piacere.
Grazie


Aggiornamento


Massimo Adinolfi (Azioneparallela) ha già provveduto per il De Anima e la Metafisica.

venerdì, febbraio 17, 2006

Love Conquers All: An Encyclical and its Intertexts

Il commento più lungo alla Deus Caritas Est che ho letto finora l'ha scritto Joseph O'Leary. Molto interessante. Da prendere, come direbbe il piccolozaccheo, cum grano salis.



Uncontroversial? I have tried to indicate some lurking reefs of contention here and there in the encyclical. Yet the basic controversy is the one just touched on: is the world the work of a loving God or of blind, potentially malevolent forces? To many Benedict’s message will be long familiar, but to some it may indeed come as news. The religion they have received or rejected may have boiled down to the equation “God is Hell” (as a Dutch Calvinist woman once put it to me). So let me end by repeating the essentials that the Pope seeks to clarify: God made the world from love and continues indefectibly to loves what he has made; his love is infinitely compassionate even though we cannot always see or feel this, and infinitely forgiving; our love for one another, both in its erotic roots and in its agapeic enactment, is a reflection of the divine and a path to the divine; it is not to be frittered away; God draws all creatures to share in the ecstasy of heaven, which begins here on earth in the practice of love.

Breakfast on Pluto



Non so se e quando uscirà anche in Italia Breakfast on Pluto, il nuovo film di Neil Jordan. In ogni caso, non andate a vederlo. No. Guardatelo, anzi ascoltatelo in originale. E' una fiaba e le fiabe vanno ascoltate.
Gli accenti nordirlandesi, le canzoni con le quali Patrick 'Kitten' vive il proprio mondo, la recitazione di questo straordinario Cillian Murphy. Un film delizioso.


How much is that doggie in the window?


giovedì, febbraio 16, 2006

I fondamenti teologici del dialogo

KATHOLIEKE UNIVERSITEIT LEUVEN
FACULTEIT GODGELEERDHEID


J.H. WALGRAVE LECTURE
2006-02-15


I FONDAMENTI TEOLOGICI DEL DIALOGO
NELL’AMBITO DELLE CULTURE SEGNATE DALLA NON-CREDENZA
E DALL’INDIFFERENZA RELIGIOSA

S.E. BRUNO FORTE


Ieri il mio carissimo vescovo, Bruno Forte, ha tenuto una conferenza presso la Facoltà di Teologia dell'Università di Lovanio, in occasione della J.H. Walgrave Lecture. (Walgrave era uno studioso di Newman.)

Qui ne trovate la versione italiana e inglese

Un assaggio.

La domanda che abita al centro del nostro cuore, quella che ci fa inquieti e pensosi, è la domanda dell’infinito dolore del mondo, l’interrogativo ineludibile della morte e della fine di tutto. Se non ci fosse la morte non ci sarebbe neanche il pensiero, tutto sarebbe una piatta eternità, almeno per la nostra limitata capacità di pensare: in questo senso, vivere è anche imparare a morire, educarsi a convivere con la sfida silenziosa, resistente e perseverante della morte. È inutile cercare evasioni o facili consolazioni nella presunzione epicurea di dire: “Quando ci sarà la morte io non ci sarò e finché io ci sono essa non c’è”. Queste parole sono inganno e apparenza, perché la morte non è solo l’ultimo destino o l’ultimo atto, ma è soprattutto una presenza che incombe ogni giorno della vita nella fragilità e nella caducità dell’esistere. Diversi per nascita, possibilità ed esperienze, gli abitatori del tempo sono solidali nella povertà, in quanto sono tutti allo stesso modo “gettati” verso la morte, inesorabilmente diretti verso il “vallo estremo”, avvolto dal silenzio. La vita pare risolversi nell’inesorabile viaggio verso le tenebre: perciò la fatica di esistere è impastata di malinconia e la dimora del tempo appare fasciata dall’abisso del nulla. È sulla vertigine del nulla che si affaccia la situa­zione emotiva dell’an­goscia: sospeso sui silenzi della morte, l’essere umano si fa inquieto riguardo al suo destino.
La ripulsa del nulla suscita - come per contraccolpo - la potenza del domandare: l’uomo diventa domanda a se stesso, interrogativo davanti al quale si schiudono ambiguamente i sentieri di ciò che potrà essere o non sarà mai. Fedele compagna della vita si affaccia la domanda - evasa o accettata, nascosta o cercata - che la morte imprime come ferita nel più profondo del cuore umano. È così che il pensiero nasce dalla morte, la coscienza dalla passione di chi non s’arrende al finale trionfo del nulla. La lotta contro la morte si profila nelle domande che nascono nel cuore come ferite lancinanti, spesso improvvise o inattese: che ne sarà di me? che senso ha la mia vita? dove vado con il bagaglio delle mie pene, delle consolazioni e delle gioie? E quando avrò finalmente conquistato ciò che desidero, che cosa ancora potrò desiderare se non l’ultima vittoria, la vittoria sulla morte? Giunti a considerare il fondo verso cui andiamo, proprio da esso ci viene il bisogno di lottare per vincere l’apparente trionfo della morte. Proprio il fatto che la morte ci rende pensosi e che sentiamo il bisogno di dare significato alle opere e ai giorni è il segno che nel profondo del cuore i pellegrini verso la morte sono in realtà chiamati alla vita. Nel profondo del cuore si affaccia un’indistruttibile nostalgia del volto di Qualcuno, che accolga il nostro dolore e le lacrime, che redima l’infinito dolore del tempo. Quando siamo soli o disperati, quando nessuno sembra volerci più e noi stessi abbiamo ragioni per disprezzarci o rammaricarci di noi, ecco profilarsi in noi la nostalgia di un Altro che possa accoglierci e farci sentire amati al di là di tutto, nonostante tutto, vincendo l’ultimo nemico che è la morte. È quanto esprime Agostino, aprendo le Confessioni: “Fecisti cor nostrum ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te” - “Hai fatto il nostro cuore per Te ed è inquieto il nostro cuore finché non riposi in te”.

domenica, febbraio 12, 2006

Paragnosta again

Il Capo dello Stato ha sciolto le camere, le elezioni si avvicinano e io esterno le mie previsioni. (Le ultime tre volte che ho provato a prevedere il futuro non ho sbagliato.)

Allora, intanto l'Unione non vince, questo mi pare chiaro. La legge elettorale è un po' complicata e quindi prevedo un quasi pareggio, nel senso che ci sarà differenza tra Camera e Senato, ma con un leggero vantaggio favore della CDL.

Per consulenze personali, amore, salute, denaro, utilizzare il numero verde in sovraimpressione.

venerdì, febbraio 10, 2006

L'ultima lettera di don Andrea Santoro



Carissimi,

vi scrivo da Roma, dove sono arrivato da circa 3 settimane prima di ripartire per la Turchia tra qualche giorno. Sono stati giorni molto intensi dedicati a testimonianze, incontri, catechesi, conferenze, momenti di preghiera. Il tutto finalizzato a favorire passaggi di informazioni e conoscenze tra Medio Oriente, visto attraverso la mia
esperienza personale, e la realtà del nostro Occidente, come e nelle finalità della "Finestra per il Medio Oriente".

Ho trovato ovunque interesse e partecipazione e un sincero desiderio di capire e di allacciare legami di comunione. Ho sentito quanto sia importante e possibile a realizzarsi uno scambio di doni spirituali tra questi due mondi. Il Medio Oriente, grande "terra santa" dove Dio ha deciso di comunicarsi in modo speciale all 'uomo, ha le sue ricchezze e la sua capacità, grazie alla luce che Dio vi ha immesso da sempre, di illuminare il nostro mondo occidentale.

Ma il Medio Oriente ha la sue oscurità, i suoi problemi spesso tragici e i suoi "vuoti". Ha bisogno quindi a sua volta che quel Vangelo che di lì è partito vi sia di nuovo riseminato e quella presenza che Cristo vi realizzò vi sia di nuovo riproposta. È una reciproca "rievangelizzazione" e arricchimento che i due mondi si possono scambiare.

A Trabzon, nel frattempo, la minuscola comunità cristiana si è riunita ogni domenica mattina per celebrare la liturgia della Parola e la chiesa è stata aperta ai visitatori musulmani due volte la settimana sotto la responsabilità di una persona di fiducia. Vi farò sapere come è andata.

Vi saluto affidandovi queste riflessioni ed esortando me e voi a mettere sempre in contatto la fede con il presente. Non una fede astratta e generica ma una fede quasi come da quei primi "inizi" ci e stata riversata in grembo di generazione in generazione. Il lievito, come dice il Vangelo, ha una sua capacità misteriosa di fermentare la pasta, se viene messo in contatto con essa. La pasta di ogni tempo, di ogni luogo, di ogni generazione.

Inoltre Gesù diceva: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre». Se la sua luce è in noi, non solo illuminerà ogni situazione, fosse pure la più tragica, ma noi pure, come sempre Lui diceva, saremo luce. La luce fioca di una candela illumina una casa, un lampadario fulminato lascia tutto al buio, che Lui brilli in noi con la sua parola, con il suo Spirito, con la linfa dei suoi santi. Che la nostra vita sia la cera che si consuma in totale disponibilità.

Con affetto. Don Andrea

(Da "Finestra per il Medioriente" - Numero 19 - Febbraio 2005)

martedì, febbraio 07, 2006

Il riso di Sara e la storia di Isacco

Più del pianto, è il riso che aiuta l’uomo a sopportare l’imperscrutabilità del mondo e della divinità che su di esso domina. Ma il riso è spesso solo la maschera indossata dal dolore per non turbare la divinità. L’autore della Torah lo sapeva bene.

Nella Genesi (21,5-7) scrive: «Ora Abramo aveva cento anni, quando gli nacque suo figlio Isacco. E Sara disse: Dio mi ha dato di che ridere; chiunque lo udrà riderà con me. E disse pure: Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara allatterebbe figli? Poiché io gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia».

Il figlio di Abramo, Isacco, il secondo patriarca del popolo della Bibbia, nasce sotto il segno del riso. Un riso provocato da Dio che rende possibile l’impossibile, che una donna vecchia e ormai sterile partorisca un figlio? Ismaele (il figlio primogenito avuto da Abramo da un’egiziana) e Isacco sono due casi unici nel Libro, ricevono il nome prima di essere partoriti (Ismaele) e prima di essere concepiti (Isacco). La radice del nome di Ismaele è nel verbo ascolto (di Dio), la sua forza è nella preghiera. La radice del nome Isacco è invece nel verbo ridere. Ma il riso di chi, celebra quel nome? Quello di Abramo e Sara stupefatti davanti alla promessa di Dio? Oppure quel ridere è il ridere del mondo che vede la nascita di Isacco come una cosa ridicola. O ancora non potrebbe quel riso alludere al fatto che la stessa esistenza di Isacco mette in ridicolo il mondo?

Il biblista Gian Franco Ravasi scrive: «Quando Dio aveva annunziato loro la futura generazione, essi erano scoppiati a ridere. Il nome che Abramo imporrà al figlio sarà, allora, Isacco, che l’autore biblico interpreta: “Il Signore ha riso”. Al riso scettico dei genitori si era opposto, dunque, il riso vivo, efficace e gioioso di Dio, incarnato nel piccolo Isacco. Ma ben presto quella felicità sarebbe stata incrinata da un ordine incomprensibile e crudele di Dio: “Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che io ti indicherò” (Genesi 22,2)».

Il riso della vecchia coppia e il riso «vivo, efficace e gioioso di Dio» sono presto incrinati da un ordine crudele che genera angoscia, pianto. Il riso e il pianto, quell’intreccio che anche chi non ha mai letto la Bibbia - ma ha gettato uno sguardo seppur distratto su un film di Billy Wilder o dei Fratelli Marx - riconosce come centrale nella cultura ebraica è, come accade, un legame anche lessicale che nel nome di Isacco trova il suo nodo. Quale? Lo spiega il rabbino Avi Weiss. «E’ interessante notare», scrive Weiss in un saggio apparso nel 1997 sul Jewish News Weekly, «che in ebraico il verbo ridere, litzhok, è simile al verbo piangere, lizok. Nella lingua ebraica le lettere tzaddi e zayyin, così come het e ayin spesso sono interscambiabili, rendendo così litzohk e lizok la stessa cosa, dimostrando così il collegamento di fondo tra il riso e le lacrime».

Una storia talmudica racconta che dopo la seconda distruzione del Tempio, il rabbino Akiba passeggiando tra le rovine con alcuni colleghi si mise a ridere. «Perché ridi?», gli chiesero quelli. «E voi perché piangete?», gli rispose lui. «Il Tempio adesso è in rovina», dissero quelli. E Akiba replicò: «Finché non si è avverata la profezia secondo la quale il Tempio sarebbe stato distrutto, non ero sicuro che si sarebbe avverata poi la profezia della sua ricostruzione. Adesso che il Tempio è stato distrutto, la sua rinascita è certa».

Il riso, dunque, è inestricabilmente legato al pianto. E il riso - quel riso mistico donato da Dio ad Abramo e Sara - è un’anticipazione del riscatto dal dolore del mondo e, insieme, una promessa messianica. Quale? Il Talmud, dell’avvento del Messia, dice: «Allora le nostre bocche saranno ricolme di riso». E il profeta Isaia aggiunge (11,6) che in quel tempo «il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà».

Il riso segna il percorso verso il riscatto anche per un altro ebreo che trascorse la vita appartato e isolato dalla sua stessa comunità. «Il riso come anche il gioco è pura gioia; e perciò, purché non abbia eccesso, è di per sé buono», scrive Spinoza nella proposizione 45 del libro IV della sua Etica. «Le lacrime», aggiunge, «i singhiozzi, il timore e altre cose di questo genere (..) sono segni di un animo impotente».

Ludwig Wittgenstein cercò di nascondere, per tutta la vita, le sue radici ebraiche, ma la sua opera gli fu pessima alleata. Il filosofo austriaco che, nel Tractatus Logico-Philosophicus, rivestì la sua ossessione teologica dell’uniforme accademica della logica, era convinto che «un’opera filosofica buona e seria potrebbe essere composta interamente di barzellette».

Nel simbolismo della tradizione ebraica il pavone rappresenta la bellezza dell’eternità che attende gli uomini nell’altro mondo. Sull’immagine del pavone che «allarga la sua ruota mortale» si chiude una delle più belle canzoni di Leonard Cohen, «La storia di Isacco».

«Quando tutto si ridurrà a polvere», dicono gli ultimi versi, «ti ucciderò se devo, ti aiuterò se posso, ti aiuterò se devo, ti ucciderò se posso». E’ la voce del Dio arbitrario della Genesi che parla nella canzone dell’ebreo della Diaspora? Cohen, poeticamente, non lo spiega. Il suo giudizio lo affida all’immagine conclusiva del pavone che dispiega la ruota mortale. E quel ventaglio assomiglia all’arco rovesciato del sorriso dell’uomo.



Giuliano Di Tanna, Il Centro (20.1.2006).

giovedì, febbraio 02, 2006

Darwinismi e darwinisti

Su Avvenire di oggi, un articolo del celebre genetista Giuseppe Sermonti a proposito di Charles Darwin e dell'origine della vita. Vale la pena leggerlo.

Così come anche andrebbe letto questo scritto, un po' più impegnativo, del microbiologo Michael J. Behe, apparso nei giorni scorsi su Godspy, e l'annessa intervista.

L'origine della vita ed il significato dell'evoluzione sono, secondo me, i due temi sui quali scienza e filosofia dovrebbero maggiormente confrontarsi in questo momento. Le aquisizioni scientifiche attuali sono strabilianti e mi pare che ci sia bisogno di interpretarle, comprenderle, inserirle in un quadro più ampio, in una visione dell'uomo che tenga conto di tutti i suoi aspetti, non solamente quelli materiali.
Questo non può essere fatto senza una buona filosofia e invece, quando leggo certi scienziati, Richard Dawkins ad esempio, trovo una cattiva, pessima filosofia.

Per quel che mi riguarda, nonostante la mia limitata preparazione scientifica, più approfondisco la questione e più le teorie dell'Intelligent Design mi convincono. Ne parlavo proprio oggi con uno studente di chimica, peraltro non cattolico, anch'egli appassionato sostenitore dell'ID.

Tornando ad argomenti che conosco un po' meglio, il mio caro John Henry Newman era un contemporaneo di Charles Darwin e ha espresso su di lui giudizi cautamente lusinghieri. Se vi interessa la questione, vi consiglio l'ottimo articolo 'Newman and Evolution' dello storico della scienza Stanley Jaki, apparso sulla Downside Review, n. 109, gennaio 1991, pp. 16-34.

Qui invece vorrei riportare una lettera del 1870 nella quale Newman, non ancora cardinale, parla del The Origin of Species e di una controversia nata in occasione della proposta, da parte dell'università di Oxford, di conferimento di un titolo accademico onorario a Charles Darwin. Newman dice chiaramente che Darwin meritava un simile titolo.

My dear Pusey
I have not fallen in with Darwin's book. I conceive it to be an advocacy of the theory that that principle of propagation, which we are accostumed to believe began with Adam, and with patriarchs of the brute species, began in some one common ancestor millions of years before.
1. Is this against the distinct teaching of the inspired text? if it is, then he advocates an antichristian theory. For myself, speaking under correction, I don't see that it does - contradict it.
2 Is it again Theism (putting Revelation aside)-I don't see how it can be. Else, the fact of a propagation from Adam is against Theism. If second causes are conceivable at all, an Almighty Agent being supposed, I don't see why the series should not last for millions of years as well as for thousands.
The former question is the more critical. Does Scripture contradict the theory? -was Adam not immediately taken from the dust of the earth? 'All are dust'-Eccles iii,20-yet we never were dust-we are from fathers, Why may not the same be the case with Adam? I don't say that it is so-but, if the sun does not fo round the earth and the earth stand still, as Scripture seems to say, I don't know why Adam needs be immediately out of dust-Formavit Deus hominem de limo terrae-i.e. out of what really was dust and mud in its nature, before He made it what it was, living. But I speak under correction. Darwin does not profess to oppose Religion. I think he deserves a degree as much as many others, who have had one.
Ever Yrs affly John H Newman

mercoledì, febbraio 01, 2006

Self and Identity in Translation

Se durante il finesettimana vi trovate in Inghilterra, fate un salto a Norwich e mi vedrete parlare qui.

Tutto qui.

Il mondo islamico è in subbuglio per queste vignette pubblicate in Danimarca. Non mi paiono dissacranti. Piuttosto, la lingua batte dove il dente duole.