domenica, ottobre 31, 2004

Freeway blogger

Freeway blogger, uno che ha qualcosa da dire e continua a ribadirlo, sia in autostrada che sul suo blog.

Affinità elettive

Sempre a proposito del voto presidenziale americano, sfogliando Commonweal, ho scoperto quest'articolo di Paul J. Griffiths nel quale ha dichiarato pubblicamente che si asterrà.

Un altro intellettuale cattolico che si astiene nel momento in cui il voto di cattolici americani viene considerato il più decisivo.
Evidentemente questa limitata alternativa non piace.

(Di Paul J. Griffiths avevo parlato qualche mese fa.)

Coming out

Se fossi cittadino americano, a chi darei il mio voto il 2 novembre?
Ci ho pensato a lungo in questi giorni e, con un certo dispiacere, oggi dico che mi asterrei.
Le ragioni sono esattamente quelle che presenta Alasdair MacIntyre, non a caso uno dei miei filosofi preferiti, in quest'articolo.

Intanto le elezioni sono già iniziate, gli americani all'estero hanno espresso il loro voto. Dagli ex-poll effettuati sui miei amici i due candidati sono alla pari: Collen ha votato Kerry mentre Mike ha scelto Bush. :)

sabato, ottobre 30, 2004

Newman e il Rosario

Guarda un po' cos'ho trovato: dei pensieri del mio amato cardinale Newman a commento dei misteri del Santo Rosario.
(Mancano i luminosi)

Ara Pacis

Cari amici,
vi invito a sottoscrivere l'appello al Sindaco Veltroni di accelerare le procedure per
l'appalto in itinere del secondo lotto riguardante la sistemazione definitiva del complesso Ara Pacis.
E' possibile farlo on line, nel Giornale di Critica dell'Architettura AntiThesi, ecco il link:

http://www.antithesi.info/public/appelli/ara_pacis/leggi.asp

venerdì, ottobre 29, 2004

Il boom cinese è figlio degli orrori

Il boom cinese è figlio degli orrori

La Cina è sempre più vicina anche per i nostri imprenditori che – dopo il boom degli investimenti nell’Europa dell’Est, si stanno sempre più riversando su questo continente. Evidentemente per tanti imprenditori italiani è più facile in questo paese del comunismo reale trovare agevolazioni fiscali e manodopera a basso costo (senza troppi vincoli sindacali). La Cina, come è ormai noto, è in grande crescita economica e fa ogni sforzo per accreditarsi nel mondo come un “paese normale”. Da qui il grande interesse per la moda occidentale, per la conquista delle Olimpiadi (che ospiterà nel 2008) e per le altre grandi gare sportive internazionali.

Si tratta di un Paese alle prese con una delle più imponenti crescite economiche che la storia abbia mai registrato (dal 1996 al 2004, 7-9 punti all’anno di incremento; 20% l’anno di aumento della produzione industriale), soprattutto da quando è entrata nel Wto, nel 2001. Tutto questo ha comportato una gigantesca razionalizzazione della produzione che è stata pagata duramente dalla popolazione in termini di milioni di licenziamenti, di perdita di tutela scolastica, sanitaria e previdenziale. Oggi molti milioni di contadini, diventati ancora più poveri, si spostano nei centri urbani per offrire manodopera dequalificata a costi bassissimi. Il grande sviluppo ha anche altri risvolti amari, dolorosi: si chiamano Aids e Sars . E poi ricordiamo le esecuzioni capitali (oltre 1500 l’anno,cioè il 70% di quelle registrate nel resto del mondo: questa cifra, fa notare Amnesty e le altre ong umanitarie, andrebbe almeno decuplicata), l’uso diffuso della tortura nelle carceri,il traffico degli organi dei condannati a morte, denunciato anche da medici dissidenti cinesi. Per non parlare della rigida politica demografica (un figlio per famiglia) che costringe spesso le madri a uccidere le proprie figlie, appena nate, perché si preferisce il maschio.

L’ultima denuncia risale a qualche giorno fa, quando a Shanghai una donna è stata licenziata dalla sua fabbrica, condannata a 18 mesi e torturata in carcere per non avere rispettato le regola del figlio unico. La denuncia è dell’associazione Human Rights in China. Ma un nutrito dossier è appena stato pubblicato, “Il libro nero della Cina” (edizioni Guerini), dove si ha la conferma documentata come questo Eldorado, per gli imprenditori stranieri, sia in realtà un inferno per la grandissima maggioranza della popolazione. Perché della Cina, ora sempre più vicina, ma così lontana dai diritti umani, si parla pochissimo nei nostri media e, in particolare, nella nostra tv.

Aldo Forbice, Il Giorno.

(s)fondazione

Quello che scrivevo la scorsa settimana ha dato vita ad una discussione con Massimo Adinolfi, di azioneparallela, che riporto qui.


At 12:58 AM, Anonymous said...

Caro Angelo, mi leggo con calma la pagina, ma intanto, per stare al tema di questi giorni: tu condividi davvero l'idea che gli atti omosessuali siano funesta (funesta) conseguenza del rifiuto (rifiuto) di Dio? A me fa rabrividere un po'. E credi anche che gli specifici diritti degli omosessuali non debbano essere legittimati? (col che immagino pure che non legittimare i diritti degli omosessuali non sia per te discriminazione: e siamo di nuovo a buttiglione; e non pensi, anche a volerti dare ragione, che uno il quale invece li voglia legittimare abbia fatto bene a bocciarlo, senza che per questo lo si accusi di oscurantismo laicista?). In secondo luogo, credo che tu dia a queste proposizioni un fondamento, oltre che secondo le Scritture (e ci può stare, ma è pure questo controvertibile), secondo l'ordine morale oggettivo. Non ti chiedo di dimostrarmi qui un tale ordine (sarebbe richiesta pretestuosa, sebbene il problema ci sia), ma mi dice cosa devo leggermi per trovare 'sti benedetti fondamenti OGGETTIVI? Grazie. Azioneparallela

At 1:30 AM, a said...

Caro Massimo, da tempo ho smesso di credere che esistano gli omosessuali o gli etero.
Ci sono le persone, maschi o femmine, con le più diverse inclinazioni, gusti, abitudini, tendenze, scelte. La tassonomia è sterminata, anche io avrei qualche difficoltà a collocarmi ed allora ho rinunciato a ragionare classificando e appiccicando etichette; se proprio devo, giudico le azioni, che possono essere giuste o sbagliate.

Non esistono i diritti degli omosessuali per il semplice motivo che le persone che provano attrazione per il proprio sesso hanno gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri, non uno di più nè uno di meno. Hanno diritti perchè sono persone, non perché sono omosessuali. Anche perché davanti alla legge esistono gli individui di sesso maschile o femminile, non esistono gli omosessuali; infatti come li si dovrebbe riconoscere? Per autocertificazione, per certificato medico, sulla testimonianza di qualcuno?


Per quanto riguarda i fondamenti morali oggetti, non c'è da leggere nulla, possiamo discutere a partire da un dato più semplice, empirico: prova a pendertelo nel di dietro, perché è di questo che stiamo parlando, e poi cerca di spiegarmi cosa c'è di naturale. Absit iniura verbis.
Angelo

At 9:07 AM, Anonymous said...

Caro Angelo, la tua risposta è divertente, ma sbrigativa (ehm). Hai mai sentito parlare un cattolico dei diritti dei bambini? Hai mai sentito parlare dei diritti degli anziani, o degli handicappati? Se sì, allora puoi accettare che si parli anche di diritti degli omosessuali? Esistono persino i diritti dei mancini (e non vengono rispettati: sono mancino, io)! Se io pongo la seguente legge: sugli autobus solo eterosessuali, tu immagino che difenderesti il diritto di tutti a salire sugli autobus: e quindi degli omosessuali. E' così che si finisce a parlare di diritti degli omosessuali: se io pongo una legge che discrimina il tale gruppo umano, oppure se c'è una situazione ad esso sfavorevole che va rimossa per trattare tutti su un piede di eguaglianza, non vedo cosa ci sia di strano a parlare in tal caso di diritti degli omosessuali.
Prenderlo di dietro. Temo che rinuncerò a far la prova, e poiché sono sessualmente assai inesperto ti chiedo: dipende dal dolore che proverei? O dal piacere? Fare il solletico a qualcuno è naturale o innaturale (di etologia ne so poco, ma mi pare sia scarsamente attestato tra le bestie)? Perché non dici che è innaturale perché non si procrea un bel nulla? E perché non scavi da filosofo un po' dentr questa natura che per un verso è biologica, e per l'altro è (dev'essere) razionale. Per il primo membro, figurati: siamo d'accordo. Ma a meno di non voler includere nei diritti naturali solo quelli che condividiamo con il restante regno animale, è sul secondo che vorrei leggere qualcosa.
Ciao (vado a dare un bacio a mia moglie), Massimo

At 10:56 AM, a said...

Caro Massimo, il fatto stesso che rinunci anche solo a provare è significativo. E' esattamente quello che volevo dimostrare, non è proprio come farsi il solletico.

Veniamo alle tue obiezioni.
Bambini, anziani e handicappati si trovano in una situazione di minorità rispetto alla capacità di intendere, di volere, decidere autonomamente o di movimento, e pertanto meritano un'attenzione particolare da parte della società, quindi hanno diritti che noialtri non abbiamo, almeno finché siamo giovani e sani.

Vuoi sostenere che gli omossessuali (ammesso che questa categoria esista davanti alla legge) si trovino anch'essi in una situazione di minorità?
Mi pare un po' troppo.
La condizione omosessuale non è di per sé fonte di diritto positivo.
Il viaggiatore omosessuale ha diritto a viaggiare sull'autobus perchè tutti hanno diritto a viaggiare, nessuno escluso, non perché è omosessuale.
D'altra parte, l'anziano o l'handicappato hanno diritto ad un posto particolare sull'autobus perché, non solo hanno gli stessi diritti degli altri, ma trovandosi in una situazione particolare eistenziale hanno qualche diritto in più. Colta la differenza?
Lo ripeto, l'omo ha esattamente gli stessi diritti di chiunque altro, nè uno di più nè uno di meno, perciò parlare di diritti omosessuali è fuorviante.
Una breve precisazione.
'Naturale', in etica, non è quello che fanno anche gli animali, quella sarebbe 'etica animale'; per 'naturale' si intende ciò che è conforme alla natura UMANA.

Per quanto riguarda la giustificazione razionale dell'etica naturale, se i classici ti sembrano un po' attempati, puoi provare a leggere John Finnis
Angelo

At 11:45 AM, Anonymous said...

Caro Angelo, è significativo che rinunci a provare a prenderlo di dietro? E che razza di argomento è questo? Non mi chiedi un po' troppo? Prova tu, allora, e vedrai che non è così innaturale come ti sembra! (E se non provi dirò che è significativo). Ma il punto è che tocca a te provare che l'uomo ha una sua natura RAZIONALE e QUINDI non solo una normalità di comportamenti, ma una normatività fondata in natura (è inutile che riprenda i termini classici che conosci, potevi risparmiarmi la precisazione, perché è proprio quello che ti ho chiesto), non a me provare il contrario, mi pare. Sicché non capisco cosa tu abbia dimostrato con il to esempio: che io sono eterosessuale?
Sulla questione dei diritti degli omosessuali mi pare tu faccia confusione. Col mio esempio costruivo una situazione in cui un gruppo viene svantaggiato: vale lo stesso per autobus vietati ad albini. Non è in quanto albino che ho diritto a viaggiare, ma in quanto uomo. E infatti. Non è in quanto cattolico che ho diritto a professare liberamente la mia fede, ma in quanto uomo. E non è in quanto omosessuale che ho diritto a insegnare nelle scuole, o a fare carriera nell'esercito, ma in quanto uomo. Cioè per non essere discriminato. E invece il famoso DL accenna a situazioni (che poi non precisa, e stiamo ancora ad attendere il giuslavorista, o te che mi faccia un esempietto, uno qualunque) qual è quell'autobus in cui non è discriminatorio che l'omosessuale non salga. Io non difendo i diritti dell'omosessuale in quanto tali, io difendo il diritto dell'omosessuale a non essere discriminato.
(Se poi gli esempi bambini/anziani non ti sono piaciuti, mettiamoci dentro le donne: si parla o no di diritti delle donne? Le donne non si vedono riconosciuti certi diritti (o non si son visti riconosciuti: en passant, per ragioni presuntamente naturali), e perciò li rivendicano, o li hanno rivendicati. Lo stesso gli omosessuali: la rivendicazione è fondata sul loro essere uomini come tutti gli altri, non sul loro essere omosessuali. Sul loro essere omosessuali è invece fondata la loro discriminazione. O no?)
Infine: che fai, mi regali un libro di finnis o mi riassumi le argomentazioni? I classici quali: quelli greci o quelli cristiani (non è precisamente la stessa cosa)?
Massimo


At 2:41 AM, a said...

Carissimo Massimo, io rinuncio come hai fatto tu e per il semplice motivo che non è una cosa buona, per nessuno.

Dovrei dimostrarti che l'uomo ha una normatività fondata in natura? Bella impresa! Visto che ho un po' di problemi con i fondamenti, pongo la questione in forma interrogativa.

E' del tutto indifferente quello che siamo, la nostra natura, la nostra costituzione, quando ragioniamo su quel che è bene e quel che è male?
C'è un dato antropologico incontrovertibile: l'uomo e la donna sono fatti per incontrarsi e completarsi.
E' del tutto irrilevante che i loro corpi combacino e si integrino, che la loro fisiologia sessuale sia complementare?
C'è una logica sorprendente in tutte le fasi del rapporto amoroso; la fecondità, che oggi pare una malattia da curare a suon di pillole, è strettamente legata all'espressione dell'amore ed al piacere che ne segue.
Io trovo affascinante e misterioso che il culmine dell'intimità coincida con il momento della trasmissione della vita.
Non ti fa riflettere che tutto questo non può dirsi di un rapporto tra persone dello stesso genere, il quale altro non è che la simulazione posticcia di un rapporto (etero)sessuale?

Come vedi non fondo nulla, è piuttosto il mio senso morale che non può fare a meno di prendere in considerazione la mia natura.

(Per gli addetti ai lavori, una fondazione 'naturalizzata' del realismo normativo si trova qui. Io naturalmente non credo nel naturalismo ma questa è un'altra storia.)


Quanto ai diritti, la confusione continui a farla tu, caro.
L'esempio delle donne, come quello dei bambini ed handicappati, è inesatto perché le donne oltre ai diritti che condividono con gli uomini, ne hanno alcuni legati alla specificità della condizione femminile (maternità, allattamento) ed è quindi corretto parlare di specifici diritti femminili.
Nel tuo primo commento avevi scritto: 'E credi anche che gli specifici diritti degli omosessuali non debbano essere legittimati?'
Se sai farmi un solo esempio di un diritto specifico degli omosessuali che tutti gli altri non dovrebbero godere, allora sarebbe corretto parlare di diritti gay. Finora però non me ne hai nominato nessuno, mi spiace.

Quanto a John Finnis, spero veramente che l'abbiate in biblioteca.

Le Pecore

Le Pecore, il primo pub cristiano (evangelico) d'Italia.

giovedì, ottobre 28, 2004

Benson, senso d'autorità e fantapolitica

Benson, senso d'autorità e fantapolitica

Robert Hugh Benson, il formidabile autore del romanzo fantareligioso «Il padrone del mondo», nel quale prevede il trionfo (puramente umano) dell'umanitarismo anti cristiano, moriva novant'anni fa, da cappellano militare, sui campi di battaglia della prima guerra mondiale. Non voglio qui ricordarlo per il suo celebre romanzo (che, pure, può essere riletto con estremo interesse), ma piuttosto per la storia della sua conversione, che ha portato lui, figlio dell'arcivescovo di Canterbury primate anglicano d'Inghilterra, a diventare cattolico. Storia che lo stesso Benson ha narrato in una autobiografia disponibile anche in italiano. La religiosità respirata in ambiente familiare e scolastico era vissuta da Benson più come un inappuntabile modo di ben comportarsi in società che con reale passione interiore; rendere omaggio a Dio era un po' come acclamare la regina Vittoria. Ciò nonostante, per una tradizione consapevolmente accettata, Benson (nella foto sotto) diventa sacerdote. Proprio il suo ministero pastorale lo costringe ad andare a fondo dei contenuti dogmatici del credo professato. E si fa largo in lui la convinzione che la Chiesa anglicana non è in grado di offrirgli la certezza di una autorità indiscutibile. Come è possibile, si chiede, che non ci sia un punto di sicurezza ultimo che sia in grado di dirmi se, ad esempio, la confessione sacramentale è necessaria, indifferente o addirittura dannosa? Non può essere che la fede sia del tutto alla mercé della interpretazione dell'individuo, che può da essa trascegliere quello che aggrada alle sue convinzioni e al suo temperamento. Quanto più il giovane sacerdote cerca di trovare delle solide certezze, tanto più, dai maggiorenti anglicani da lui interpellati, si sente ributtato nel relativismo. Anche l'analisi strettamente storica sull'origine della sua confessione (confluita nel romanzo dal significativo titolo «Con quale autorità?») lo allontana dalla sua Chiesa per avvicinarlo a Roma. La lettura, poi, degli scritti del cardinale Newman lo convince definitivamente al grande passo. Nel 1903, a trentadue anni, viene accolto nella Chiesa cattolica e l'anno successivo diventa sacerdote, dedicandosi ad una intensa attività di scrittore e conferenziere. Una vicenda significativa anche per il presente. Non è infatti infrequente trovare oggi una svalutazione del principio di autorità, sintomo del rifiuto del metodo dell'Incarnazione, secondo il quale la comunicazione del divino non passa dai pareri del singolo, ma dall'oggettività di un corpo vivo e guidato autorevolmente. Scriveva Benson per spiegare la sua conversione: «Iniziai a capire che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi"; che se ha scelto la sostanza creata di una Vergine per costituirsi come corpo naturale, allora può anche utilizzare la sostanza creata degli uomini per formare per sé quel corpo mistico attraverso cui Egli si rende presente a noi sempre. Ma allora il cattolicesimo è materialistico?
Certo, e lo è come
la Creazione e l'Incarnazione,
né più né meno».


Pigi Colognesi
Avvenire, 26 Ottobre 2004

mercoledì, ottobre 27, 2004

Politics

Contentissimo per il 7-0 ma se questa compagine è l'unica alternativa al centro-destra c'è poco da stare allegri, io me ne resto in Irlanda.

Azzardo una previsione: Bush rieletto e questa volta senza imbrogli (il che è tutto dire). Qualcuno vuole scommettere?


Non violent resistance

Un coinvolgente filmato flash sulla resistenza non violenta.

The Colour

Ogni tanto mi fisso, scopro una band e la metto in heavy rotation per giorni interi.
Va a finire che si mi succede sempre con gruppi sconosciuti, e non è per snobismo, figuriamoci, a me piace pure la Pausini e Avril Lavigne.
No, è che ho i gusti strani, non raffinati, semplicemente strani.
Comunque, in questo momento, oltre i soliti Shins e Juliet Turner, ci sono due gruppi che m'ingrippano tremendamente.

Uno sono i sottomenzionati The Format, sconosciuti all'universo-mondo, e l'altro sono gli altrettanto sconosciuti The Colour, dei quali almeno sono riuscito a trovare il sito ufficiale.

A questo punto uno si chiede dove li vada a pescare. Semplice, ascoltando i radioblog altrui.

Comunque mi rivolgo a te, Doter, mia critica preferita e a tutti i presunti musicofili.
Ascoltatevi questi The Colour e ditemi voi se Mirror Ball non una canzone piena di personalità.



Shake it
shake it up
shake it now
shake it
shake it up
shake it now
shake it
shake it up
shake it now
shake it
shake it down

and what can I say
when you fade fade away
and its hard to get down
when you say
down’t you try to get back
when you say
can we move on now
and it's hard to get down
when you say
don’t you try to get back on now
don’t you think we could be better together

shake it

martedì, ottobre 26, 2004

Fecondazione Artificiale

Per chi cerca informazioni sulla legge 40, un sito dedicato interamente alla nuova legge sulla fecondazione artificiale.

lunedì, ottobre 25, 2004

The Format

Nonostate abbia cercato in tutti i modi sulla rete, non riesco nulla che li riguardi ma sto ascoltando un po' di pezzi dei The Format e devo dire che sono molto gradevoli.
In particolare tune out e thefirstsingle.

Se qualcuno li conosce aggiunga dettagli.

Broke

Ancora sul tradurre.
Trovo su wxre:

(...)
Sono sempre stato convinto che a comprare Adelphi si portasse a casa la traduzione migliore. Perché la nomea è quella. Sarà per il lavoro di Colli e Montinari su Nietzsche, sarà che ormai vive di rendita, non lo so. Comunque l’articolo di Sampietro descrive tanti di quegli svarioni presenti nella traduzione di Omeros fatta da Andrea Molesini che ho iniziato a guardare con sospetto la mia pigna di libri adelphici. “Morning glories” è stato tradotto con “la bellezza del mattino”, invece è il nome di un fiore, delle campanule. “Broke” è diventato rotto invece significa “in bolletta”. Cartagena non è Cartagine, ma Cartagena città ancora in piedi della Colombia. “Plantain” effettivamente potrebbe signficare platano se la scena richiamasse Parigi, ma nei Caraibi in quel modo vengono chiamati i banani.

Gli esempi che cita sono ancora numerosi e con un articolo del genere sono curioso di vedere se Adelphi attiverà qualche contromisura.

(...)

botteghecolorcannella prendendo spunto dall'articolo che trovate un po' più sotto ha lanciato le 'refiusiadi', ossia la classifica dei libri che contengono più errori.
Devo dire che è un'iniziativa che non mi appassiona.
Fare le pulci ai traduttori non è diffile, ed è giusto esigere correttezza ma vi chiedo un po' di pietà: anche io sono, tra le altre cose, un traduttore.
Un paio di svarioni, in un libro di centinaia di pagine, sono normali. Una casa editrice seria si riconosce anche dalla qualità delle traduzioni ma c'è da dire che lungo processo che porta alla pubblicazione di un libro, il traduttore è spesso il personaggio meno pagato e meno valorizzato, inutile stupirsi quindi.
La mia traduzione ad esempio, nonostante verrà pubblicata da una piccola casa editrice come la Studium, è stata rivista da almeno altre due persone.
Ciò non toglie che a volte quelli che sembrano errori possono essere scelte deliberate.
Gli esempi menzionati da wxre mi sembrano strafalcioni ma bisognerebbe conoscere il contesto originale per giudicare.
A volte ragioni stilistiche, di rima, di assonanza o di metrica, possono giustificare una scelta che ad alcuni può apparire un errore.
Non conosco il libro in questione e quindi faccio un esempio del tutto teorico ma prendiamo quel 'broke' menzionato e poniamo che si trovi all'interno di una filastrocca senza senso cantata da bambini.
Bene, 'rotto' invece di 'senza soldi' potrebbe essere un'ottima traduzione di 'broke' se al traduttore interessa riprodurre la struttura metrica originale e non il significato dei singoli termini.

domenica, ottobre 24, 2004

“Se per sostenere un’idea si cambia la realtà, significa che quell’idea non è formidabile”

Legge 40, parla il presidente dei talassemici italiani

E alla fine il malato senza futuro s’è imbufalito ed è andato in tivù a dire:
“Scusate, Brunetta c’è”

Genova. “Tanti buchi fatti sul tavolo di cucina, ecco quel che mi ricordo”. Il padre ritornava la sera dall’Italsider, operaio tutta la vita, e quel bambino con gli occhi a mandorla che a tre anni era sempre stanco svogliato pallido pallido lo preoccupava. E allora prelievi, buchi, un sacco di buchi, analisi a pagamento ogni tre giorni, analisi per escludere, analisi per trovare. Fino alla diagnosi di un pediatra specializzato: “Lui d’ora in poi lo curo io, ha la talassemia”. Millenovecentosessantaquattro, i bambini talassemici non superavano la pubertà. Loris Brunetta aveva tre anni e si ricorda solo i buchi, scappava sotto il tavolo per non farseli fare. Suo fratello no, suo fratello era nato sano, fortunato. Non è difficile imparare la regoletta, la insegnano alle scuole medie, piselli rossi e piselli bianchi: è la legge di Mendel, quello dell’ereditarietà. Per due genitori microcitemici, cioè portatori sani di talassemia, tre possibilità: venticinque per cento figlio completamente sano, cinquanta per cento figlio portatore sano, venticinque per cento figlio malato. Talassemico. Condannato a morte. Anche deforme, con le ossa del cranio un po’ schiacciate, nei favolosi anni Sessanta: globuli rossi piccoli, pallidi, in numero ridotto e con vita breve, trasfusioni sbagliate o approssimative, genitori rassegnati alla malasorte di un figlio a termine, con gli occhi troppo allungati. Loris Brunetta non aveva più la madre, morta prima di sapere che a uno dei due bambini era andata male, morta senza sapere nulla nemmeno della microcitemia e delle leggi di Mendel. Pochi anni dopo, nelle zone più colpite, Bassa padana, delta del Po, Sardegna, Meridione, ci si cominciava a fare le analisi prematrimoniali, e nel 1974 la talassemia ebbe un bel peso nel referendum sull’aborto. Meglio un figlio non nato di un figlio condannato a una mezza vita.
Brunetta tira il fiato, oggi che ha 41 anni e la faccia da ragazzo, la fede al dito e un impiego in comune, a Genova (per un periodo ha fatto le consegne, carico e scarico, lavoro pesante che gli ha procurato un paio di ernie al disco, poi ha vinto il concorso, è contento, in centro ci va con la moto). Nessuno l’ha buttato nel cestino quando lui non poteva farci nulla, e mai nessuno, anche dopo tutti quei buchi e la diagnosi, ha pensato che il cestino sarebbe stato meglio. “Mi portava mio padre a fare le trasfusioni, quando non lavorava, sennò mio nonno, e qualche volta ci andavamo direttamente col donatore: un collega di lavoro, un cugino, chiunque. Prelievo e via, un’ora dopo nel mio braccio il suo sangue ancora caldo”. Funzionava così, negli anni Sessanta: controlli zero, adesso non si può donare il sangue nemmeno se si è sovrappeso. Dice Brunetta, mentre beve un prosecco – “certo, mangio noccioline, bevo, cosa credevi?” – che le complicazioni più pesanti le ha avute dopo le trasfusioni, febbri da cavallo e vomito per il corpo estraneo, magari non sano, magari non compatibile. Anche l’epatite C si è beccato con le trasfusioni, il 70 per cento dei talassemici ce l’ha, e amen. Quando era bambino, condannato dalla legge di Mendel a vita breve e smunta, non c’era nessuno a fissargli l’appuntamento per la provvista di sangue, funzionava così: il padre osservava il piccolo, che poco a poco andava spegnendosi, sempre più pallido, sempre più stanco, e allora capiva che era l’ora delle provviste. “Era un tirare a campare, non c’era altra possibilità che questa”. Ospedale, trasfusione, ricovero anche lungo, lunghissime assenze da scuola, non come adesso con il day hospital, e la ferocia degli altri bambini: non ti picchio perché sei malato, hai preso un bel voto solo perché sei malato, mia madre dice che devo essere buono con te perché sei malato. Gli dava fastidio, allora a pallone voleva essere il più bravo di tutti. Col fiatone, ma il più bravo di tutti.

“Sono un mostro, io?”
“Con poco ferro si muore, con molto ferro si muore”. Lo dice il primario del centro di talassemia a Genova, che prima era uno scantinato dell’ospedale e adesso è qualcosa di più e cura duecento persone. Vanno lì alle undici, seduti in poltrona con l’ago nel braccio, trasfusione e alle tre tornano a lavorare, o vanno a fare i compiti, i più piccoli piangono un po’. Con molto ferro si muore, e infatti di quello muore un talassemico: di accumulo. Le trasfusioni fanno accumulare il ferro, a poco a poco, dove non si deve: cuore, fegato, pancreas. Tra gli ottomila talassemici italiani sta una maggioranza silenziosa e cardiopatica, il settanta per cento muore con un cuore sovraccarico, che non riesce più a funzionare. Brunetta non è cardiopatico, per adesso, ma ha alle spalle dieci anni di non cure, fino al 1974, quando finalmente hanno cominciato a eliminargli il ferro dal sangue con l’infusione, un ago sottocutaneo attaccato a una macchinetta portatile. Quell’anno ha cambiato la vita ai malati, cioè gliel’ha allungata per sempre: “Nel 1974 c’erano ragazzini di cui i medici aspettavano la morte da un momento all’altro, e adesso sono ancora qui”. Adesso sui grafici la curva è ascendente, e l’estate scorsa a Genova è morto il paziente più anziano: quarantasette anni. Brunetta ne ha quarantuno, sa che i miracoli sono rari, dice che con la paura si impara a convivere, e che la morte non è il suo primo pensiero la mattina né l’ultimo la sera: “La paura ce l’hanno tutti, la paura ce l’hai anche tu, basta non farsi prendere dal panico. E un malato ha troppe cose da fare per farsi prendere dal panico”. Troppe cose sono le trasfusioni, i controlli, la terapia per eliminare il ferro. Fino al 1997 solo aghi sotto la pelle per dodici ore al giorno, cinque giorni alla settimana, adesso finalmente c’è una pastiglia. Tutti i giorni, come per la pressione. Nessuna vergogna, “mentre la macchinina con la pompetta faceva vergognare”. Perché si può anche dormire con un ago piantato nel braccio, o nell’addome; ma uscire con una ragazza, a sedici anni, come si fa? E allora c’era chi si rifiutava, e poi ne moriva. “Io se uscivo con una ragazza cercavo di fare presto e poi correvo a mettermi l’ago, qualcuno faceva finta di niente e andava a toglierselo, però era meglio quando glielo spiegavo”. Vallo a spiegare a quelli che guardano le cellule da un microscopio e ne trovano una sbagliata, una da gettare, che fare l’amore con una ragazza, anche con l’ago nel braccio che magari fa prurito, non è così male, come vita.
A un certo punto Brunetta si è incazzato. Parecchio. Quando è stata approvata la legge sulla fecondazione assistita e i radicali, i genetisti, le madri in provetta, hanno scatenato il dramma. Vietata la selezione eugenetica degli embrioni, ma come, mica partorirete un figlio talassemico? Oscurantisti, cattivi, autoritari. Un figlio così è una condanna alla sofferenza, e via col ripescaggio dall’oblio della talassemia. “Come se esistessimo soltanto come prova di non diritto alla vita, come esempio di spazzatura di cui liberarsi, qualcosa che disturba la perfezione della non sofferenza, e allora giù per lo scarico del water”. Brunetta si è incazzato, dice che anche gli altri pazienti sono furiosi, ma non con le madri per le quali talassemico è troppo, alle quali non bastano le forze. “Non potrei mai criticare la scelta di una coppia dilaniata dal dubbio, che alla fine rinuncia”, dice, lui che avrebbe fatto volentieri un altro figlio, “e sarebbe stato quasi sicuramente malato, perché mia moglie è portatrice sana, ma sono successe troppe cose, e abbiamo perso il treno: adesso è tardi”. Ma l’arrabbiatura resta. “Io mi arrabbio con chi non vuole più ricordarsi di essere stato un embrione, con chi studia le cellule e non vede oltre, con chi ci considera mostri da non far nascere: sono un mostro, io?”. Sui giornali è stato scritto anche questo, Miriam Mafai si è chiesta sulla prima pagina della Repubblica che cosa farà una madre quando al bambino di due anni comincerà a gonfiarsi la testa e gli si allungheranno le ossa del femore. Il fatto è che quarant’anni fa succedeva davvero, da trenta non succede, non succederà mai più, almeno in Italia. Brunetta si è infuriato e ha mandato una lettera alla Mafai, le ha chiesto perché raccontasse frottole, lei che è così brava e autorevole, lei che la gente l’ascolta; lei gli ha risposto, privatamente, che quel che ha scritto l’ha detto una senatrice della Lega in Parlamento, e che comunque loro due hanno idee diverse: lei è contraria alla legge e lui no, lei è per la ricerca sulle staminali e lui no, lei è per la selezione eugenetica e lui no.

sabato, ottobre 23, 2004

Che il mondo sappia

Vertigo degli U2 non mi piace per niente.

(A questo punto meglio Avril Lavigne)

I do not like thee, Doctor Fell,
The reason why I cannot tell;
But this I know, and know full well,
I do not like thee, Doctor Fell.

giovedì, ottobre 21, 2004

Gmail

Se qualcuno li vuole, ho ancora 4 inviti per Gmail.



mercoledì, ottobre 20, 2004

Dalla soddisfazione di sè del "buon cattolico"

che compie i suoi doveri, che legge

un buon giornale, che vota bene, eccetera,

ma che per il resto fa ciò che gli aggrada,

vi è un lungo cammino per arrivare ad una vita

che sia nelle mani e venga dalle mani di Dio,

con la semplicità del bambino

e l'umiltà del pubblicano.

Ma chi ha percorso una volta quel cammino,

non tornerà più indietro.


Edith Stein

Il codice dei refusi

Il codice dei refusi

di Maurizio Assalto

Domandina: quanti refusi siete disposti a sopportare in un bestseller che non da oggi, ma da un anno, torreggia in cima alle classifiche, in Italia come nel resto del mondo, prima di considerare indecoroso il prodotto che avete per le mani? Non è quel che si dice una domanda da un milione di dollari, bensì da molto meno, 18 euro e 60 centesimi per la precisione: quanto costa, al lordo di eventuali sconti, il bestseller in questione, Il codice da Vinci di Dan Brown.

Risposta: cinque? dieci? quindici? (via, siete generosi...). Non basta: nella prima edizione italiana del bestseller di cui sopra, ottobre 2003, tra errori di stampa, trascuratezze di traduzione, disattenzioni di editing, annotando alla buona, dopo sedute di lettura di una-due ore, e quindi inevitabilmente scordando qualcosa, ne abbiamo contati una trentina abbondanti. Che su 523 pagine di testo fa più o meno una croce ogni 17 pagine. È vero che nelle edizioni successive il campo di battaglia è stato in parte sgomberato dai cadaverini, però la carneficina, ancora nell’ultima ristampa, settembre 2004, faceva impressione: venti e più i caduti.

Per esempio il parigino «Pompidou Center» (paro paro come nel testo inglese) è opportunamente ridiventato «Centre Pompidou» (come dicono in Francia, e come diciamo anche noi). L’ostico «Santo dei Santi» («Holy of Holies») si è chiarificato nella più consueta locuzione latina «sancta sanctorum», usata in italiano, stricto sensu, per designare la parte più sacra e inaccessibile di un tempio. Il preoccupante (di questi tempi) «Big Bang», in riferimento alla torre campanaria che svetta sulla fabbrica del Parlamento londinese, si è disinnescato nel più tranquillizzante (corretto) metonimico «Big Ben».

In compenso è rimasto un anglicizzante «Giovanni il Battista» («John the Baptist»; ma da noi l'articolo cade). È rimasto un improbabile «possiamo offrirle un caffè o un altro rinfresco?» («other refreshments»: «qualcos'altro da bere»). Qualche cosa addirittura si è aggiunta: nella versione italiana, separati da tre righe, due periodi cominciano con l'identica proposizione «l'uomo con le grucce aggrottò la fronte», mentre il testo inglese, almeno, aveva avuto cura di descrivere situazioni simili con diverse espressioni verbali. In un altro caso, invece, uno svarione dell'originale è stato scrupolosamente conservato: laddove del Priorato di Sion, la cui storia «copriva più di un millennio», appena tre righe sotto si informa che fu fondato nel 1099 (giova ricordare che la vicenda del romanzo è ambientata ai giorni nostri).

Spesso i deragliamenti logico-sintattici sono chiaro indizio dell'intrusione di qualche dispettoso sassolino traduttivo. Che cosa significa una frase come «non lo trovo granché in carattere»? E cosa significa che «il bruciore del proiettile nel suo petto gli sembrava qualcosa di assolutamente estraneo»? Guardare il testo inglese (The Da Vinci Code, New York, Doubleday) per capire. Non è invece necessario nessuno sforzo, se non di santa pazienza, per correggere un «aggottò» che neppure nell'ultima ristampa ritrova la sua «r» (tutto il romanzo è un compulsivo aggrottare di fronti, e stringersi nelle spalle; ma questo è un altro discorso), un «arire» (la cassaforte) che resta orfano della «p», una «regione» che non sa farsene una «ragione». Ce n'è per tutti i gusti: pronomi che non concordano con i sostantivi, parole che in fine di riga si dividono senza il trattino, frasi che dopo il punto cominciano senza maiuscola, e via martoriando. Più che sorridere, la Monna Lisa della copertina potrebbe piangere. Oppure piegarsi in due dal ridere, fate voi.

Ora, non si tratta di gettare la croce addosso al singolo editore (Mondadori), perché questa è soltanto la punta di un iceberg in crescita spettacolare nell'industria libraria (nonché nella stampa quotidiana: ma almeno i giornali, oltre all'attenuante della fretta, a differenza delle opere letterarie danno alla forma minore importanza rispetto al contenuto, e poi com'è noto il giorno dopo finiscono a incartare la verdura). Quello del Codice da Vinci è un caso (si spera) limite, tanto più esemplare in quanto coinvolge il bestseller dell'anno e la maggiore casa editrice nazionale, dai meriti culturali fuori di dubbio, con un catalogo in grado di accontentare il grande pubblico come gli studiosi più esigenti.

Ma ecco il punto: possibile che l'imperativo di tagliare i costi - dai compensi dei traduttori (per il Codice Riccardo Valla, in vari punti della sua versione capace di apprezzabile scioltezza) a quelli dei correttori di bozze (una specie in via di estinzione) - debba risolversi in una mancanza di rispetto nei confronti del pubblico, almeno di quello della narrativa di consumo? Urge fissare una soglia di refusi oltre la quale scatta il diritto automatico al rimborso integrale. Perché non ci pensa una associazione a tutela di quel particolare tipo di consumatori che sono i lettori? Nell'attesa, anche i recensori potrebbero fare la loro parte: ricordandosi di dedicare sempre almeno qualche riga all'eventuale traduzione, e dando i voti al lavoro dell'editore.

La stampa, 19 Ottobre 2004

lunedì, ottobre 18, 2004

Dubliners

Fio e ghiaccioinside, altre due italiane a Dublino.

Aiuti radicali

Da tempo volevo scrivere un pezzo che riassumesse cosa penso riguardo l'aborto, il divorzio, l'etica sessuale, la clonazione, le droghe leggere.
Bene, per mia fortuna ci hanno pensato i Radicali.
Condivido tutto quello che è scritto nella pagina in questione, tranne naturalmente la frase iniziale di Marco Giacinto Pannella.

(Grazie a wxre, un nome che è tutto un programma.)

venerdì, ottobre 15, 2004

C'è vita in campus

L'anno accademico è iniziato ormai da un mese e la vita studentesca in campus è nel pieno delle attività.

Martedì, come annunciato, dopo l'incontro della Legion of Mary sono stato ad ascoltare i Redneck Manifesto.
Li supportavano i Large Mound, una mezza chiavica.
I Redneck invece sono interessanti. Fanno musica strumentale, e già questo mi poneva qualche problema, difficile da etichettare. Influenze progressive e fusion; semplici riff ripetuti ossessionatamente, frequenti cambiamenti ritmici.
Grande partecipazione del pubblico, 3 euro spesi bene.

Mercoledì invece sono andato con Blathnaid, ad una serata organizzata dalla Comedy Society.
Tre intrattenitori, Eddie Bunnon il più conosciuto. Tante risate ma seguire il cabaret è proprio difficile. Immaginate un inglese che guarda Zelig e si sforza di capire Sconsolata, ecco, è quello che ho provato io davanti ai comici locali.

Comunque la stessa sera, a pochi metri dallo student bar, nella facoltà di Arts, c'è stata un mega rissa che è stata riportata da tutti i giornali.
Era in corso un dibattito sull'immigrazione, organizzato dalla Literary & Historical Society e tra gli invitati a parlare c'erano due conosciuti esponenti dell'estrema destra. La cosa già da diversi giorni aveva allertato la sinistra agonista e acceso discussioni tra gli studenti. Fatto sta che diversi estremisti di sinistra hanno impedito fisicamente che uno dei due prendesse la parola. Ci sono stati tafferugli e alla fine hanno sospeso il dibattito.
La solita intolleranza dei tolleranti, il fascismo degli antifascisti.
Sul forum online della Student Union si possono trovare racconti dettagliati e discussioni accessissime.

Giovedì sera invece sono stato ad ascoltare Olaf Tyaransen, un giovane brillante giornalista di Hotpress. Hotpress, per chi non lo sapesse, è la più importante rivista musicale irlandese. In realtà è molto di più che una rivista musicale, è LA rivista.
Questo Olaf Tyaransen, 33 anni, ha appena pubblicato il suo quarto libro, una raccolta di interviste con personaggi famosi, cantanti, politici, scrittori e così ieri ci ha raccontato un po' di aneddoti. L'incontro era organizzato dalla Philosophy Society, anche se di filosofico aveva ben poco.

A chi si trova in Irlanda o nel Regno Unito di questi tempi consiglio Man about Dog, una divertentissima commedia ambientata nel mondo irlandese delle corse dei cani. Nonostante l'accento settentrionale sia particolarmente ostico, è un capolavoro di gag e situazioni inverosimili.

E per concludere, anche se non c'entra nulla con quello che ho scritto finora, volevo augurare buon Ramadan a tutti i fratelli musulmani.

mercoledì, ottobre 13, 2004

Publish or perish!

Proprio oggi, casualmente, ho scoperto che l'intervento su Newman che ho presentato all'Università di Salerno nel marzo 2003 è stato pubblicato. E' sul fascicolo 3 del 2003 della rivista SinTesi della Franco Angeli Editore.

La mia traduzione de L'Idea di Università dovrebbe uscire a fine mese.
L'articolo su New Blackfriars, invece, uscirà sul numero di gennaio perché il direttore ha commesso un errore con l'impaginazione e così è stato costretto a tagliare sugli ultimi due numeri dell'annata.

Il 26 parlerò di Newman al Cleraun, lo studentato maschile dell'Opus Dei.

A metà novembre parlerò di Traduzione e multiculturalismo alla conferenza Politics, Plurilingualism, Linguistic identity organizzata dalla International Association for Languages and Intercultural Communication. La conferenza è ospitata dalla Dublin City University.

Una triste Europa politically correct

Una volta tanto cerchiamo di non svicolare davanti al punto decisivo. Che mi sembra questo: quanti cattolici - cattolici veri, cioè obbedienti a Roma e disposti a testimoniare la propria fede - avrebbero risposto in modo diverso da Rocco Buttiglione davanti ai parlamentari europei incaricati di valutare la sua nomina a membro della Commissione dell’Unione? Nessuno. Nessun cattolico, credo, avrebbe mai potuto dire di considerare moralmente accettabile o indifferente l’omosessualità, ovvero che a base della famiglia può non esserci il matrimonio e che può ritenersi tale anche quello tra due individui del medesimo sesso. D’accordo, probabilmente qualcuno avrebbe usato parole diverse da quelle usate dall’ex ministro, qualcuno, magari, per senso di opportunità, avrebbe omesso di adoperare la parola «peccato» (che peraltro, va ricordato, non è un’ingiuria; è il termine tecnico che il cristianesimo come tutte le religioni monoteiste adopera per definire le condotte giudicate riprovevoli), ma nella sostanza, sempre che si fosse trattato di cattolici fedeli all’insegnamento della propria Chiesa, cos’altro avrebbero potuto mai dire di diverso dalle cose che ha detto Rocco Buttiglione? Se è così, allora la conclusione è obbligata. La decisione della Commissione del Parlamento europeo contraria alla nomina di Buttiglione significa in pratica che, mentre prima poteva essere tollerata qualche eccezione, d’ora in poi chiunque aderisce al cattolicesimo e lo manifesta senza reticenza non è idoneo a ricoprire incarichi al vertice dell’Unione; che tra il cristianesimo cattolico e i principi in cui si riconosce l’Europa come istituzione esiste una incompatibilità sostanziale. Ma non è solo questione del cattolicesimo, si badi: fino a prova contraria, infatti, disapprovazione dell’omosessualità e concezione bisessuale del matrimonio sono comuni anche all’ebraismo e all’islamismo. I Saint-Just in sedicesimo di Bruxelles hanno dunque messo al bando d’un sol colpo né più né meno i tratti fondamentali dell’antropologia dell’intero monoteismo.
È questa la conclusione - non so se più ridicola o agghiacciante - dell’incontrastata egemonia, culturale prima che politica, che nel nostro Continente è sul punto di arridere ormai all’ideologia del politicamente corretto. Ciò vale particolarmente per la socialdemocrazia e per la sinistra in genere. Svaniti nell’ultimo trentennio tutti i suoi tradizionali punti di riferimento (la centralità operaia e sindacale, il maestoso welfare di un tempo, lo statalismo, perfino il comunismo), essa si ritrova sospinta dallo spirito dei tempi tra i due fuochi dell’individualismo libertario da un lato e del radicalismo movimentista dall’altro. A collegare i due, l’ideologia per l’appunto del politicamente corretto. L’ideologia cioè dell’obbligatorio e generale relativismo dei valori e della conseguente accusa di intolleranza per chi obietta, della radicale delegittimazione per ciò che riguarda i comportamenti personali di ogni vincolo rappresentato dalla storia e dal passato culturale, la tendenziale riduzione a «diritto» di ogni inclinazione o scelta individuali.
È così che la vecchia socialdemocrazia operaista sta finendo per trasformarsi dovunque in progressismo middle class a uso interno e a uso mondiale in un nuovo universalismo che al posto dei valori politici proclama quelli supposti eticamente superiori del «diritto» e dei «diritti» e che ha nella grigia Bruxelles la sua fulgida nuova Gerusalemme.
P. S. Più semplice discorso le indegne parole adoperate dal ministro Tremaglia. A proposito del quale Fini e Berlusconi capiscono bene che non può esservi che una sorte: le dimissioni. Immediate e irrevocabili.

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

(Concordo pienamente, dalla prima all'ultima parola)

martedì, ottobre 12, 2004

Il Parlamento di Pedro e di Zap

Almodovariani e zapateristi bocciano la libertà di coscienza di un cattolico

Secondo le mezze calzette della commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo, che non si sa perché non è presieduta da un libico come la sua omologa dell’Onu, se un commissario a domanda risponde: “Sono cattolico, questa è la mia idea della vita e della morale, ma le politiche del mio mandato saranno ovviamente ispirate alla distinzione laica tra morale e legge”, allora bisogna bocciarlo. Sarebbero almodovariani, non fossero piccoli pesci piuttosto, smarriti in un acquario occidentale dove gli artisti come Pedro cantano il lamento finale del nostro modo di vita e i politicanti ragliano senza salire al cielo. Sarebbero zapateristi, se avessero il tocco da grande demagogo del premier spagnolo, la sua sovrana impudenza democratica invece che la loro impunita saccenza burocratica. Sono solo sudditi della smarrita ideologia di un ceto politico che, nell’inverno di ogni pensiero logico e razionale, celebra la sua onnipotente correttezza, il suo dispotico adeguamento ai tempi.
Inutile perdere tempo con l’argomentazione, è evidente per tabulas, in base alle carte, che in questa bocciatura per un voto, che speriamo sia cassata da una volontà politica residua di essere seri, prevale soltanto il banale modernismo del mainstream euro-occidentale. Buttiglione, lo ripetiamo, non è andato lì a dire in quattro-cinque lingue, ci mancherebbe altro, che il suo sarà un mandato ispirato alla discriminazione verso gli omosessuali e al rientro delle donne in cucina, ha soltanto ribadito il suo status autonomo e libero di professore cattolico e amico di Giovanni Paolo II e del suo pontificato, distinguendolo accuratamente dal suo compito laico di commissario designato del governo italiano, a disposizione del laico lavoro della Commissione esecutiva per la realizzazione di politiche ispirate alla carta dei diritti da lui stesso seguita e approvata nel suo ruolo politico di ministro per gli Affari europei. Ma la sua bocciatura a tradimento, dopo che giustamente è caduto il papocchio parlamentarista sulle deleghe scambiate, è un test decisivo per tutti: per gli intellettuali e i politici davvero laici, che dovrebbero levare ferma la loro protesta per questo comportamento giustamente definito oscurantista dal presidente del Consiglio; e per la Chiesa cattolica, che deve decidere una buona volta se voglia diventare o no una specie di Onu dello spirito, cioè un’istituzione irrilevante nelle grandi e cruciali guerre culturali del nostro tempo. E nelle altre guerre.

Il Foglio 12/10/2004

Blog digest

Cosa succede sugli altri schermi.

Su Farfintadiesseresani un lungo ma intelligente commento al Codice Da Vinci di Dan Brown.

Dopo Simona e Annamaria, un altro ex presidenziale, Eugenio, ha aperto il suo blog. Ora, appena finita la moda, toccherà a Giuseppe. Vero?

Aletheia purtroppo invece ha chiuso.

Andrea Rossetti scrive cose interessanti, anche se da me poco condivise. Le verve polemica non gli manca e nemmeno gli interlocutori.

E per concludere, non posso non segnalare la lunga serie di commenti apparsi su Azioneparallela riguardo la vicenda di Buttiglione.



lunedì, ottobre 11, 2004

Consigli musicali

Questi Keane sono proprio carini.
Domani sera allo student bar ci sono The Redneck Manifesto e giovedì i Complete Stone Roses. Prometto commenti, almeno sulla prima serata.
Da queste parti O di Damien Rice è ancora tra i primi dieci album più venduti nonostante sia uscito 3 anni fa!!
Nel novembre 2003 vi avevo segnalato i Maroon 5 e quest'estate sono esplosi, ora, improvvisandomi nuovamente profeta, vi consiglio Postal Service (che sono già apparsi su questi schermi se non sbaglio), Yellowcard e Taking Back Sunday.

Per i consigli degli esperti c'è Sonorika, naturalmente.

Derrida forse non è morto

Per non sentirsi stupidi, all’università, era obbligatorio leggere Derrida. Mi ricordo intere mandrie di studenti (e io con loro) compulsare nevroticamente i suoi scritti senza riuscire a capirci nulla (ma facendo finta di aver sempre compreso tutto). E poi correre, quella volta all’anno in cui Derrida veniva a tenere le sue lezioni magistrali, a sentirlo, armati di registratore, e uscire dalla sua conferenza, un’ora più tardi, molto più confusi (pochi) e più esaltati (la maggioranza) di quanto lo si era prima. Un delirio. Più tardi, quando lessi Robert Hughes (e ripresi Schopenhauer), capii qual era il meccanismo psicologico che stava alla base delle nostre sofferenze: il narcisismo dell’intellettuale.

Edoardo Camurri
(Il resto dell'articolo lo trovate su Il Riformista)

sabato, ottobre 09, 2004

Stasera si torna in Irlanda.

venerdì, ottobre 08, 2004

A volte ritornano

A volte ritornano. I radicali di Marco Pannella sono oggi in primo piano per il referendum sulla fecondazione assistita che minaccia di devastare i due poli. Ma anche per le proposte di “fecondazione artificiale” – cioè di alleanza - che arrivano da entrambi quei due poli, in cerca di energie alternative come promettono di essere i “Pannella solari”. Questo o quello per me pari sono, dice lui. Nei due schieramenti però non c’è unanimità: alcuni ritengono la presenza di Pannella nella politica italiana una fortuna, altri un’autentica sciagura nazionale. C’è chi gli rimprovera Cicciolina, chi Toni Negri, chi lo considera una presenza goliardica con attorno un’armata Brancaleone senza voti e senza credibilità.

Ma quello radicale è un fenomeno culturale e politico serio e bisogna fare lo sforzo di capire cosa sia e cosa implichi. Il più caustico ritratto di Pannella fu fatto vari anni fa dall’Unità con l’esilarante battuta di Bette Midler: “Adesso basta parlare di me. Parliamo di te: che cosa pensi di me?”. In effetti a Radio Radicale, a qualsiasi ora del giorno e della notte, è possibile che Giacinto detto Marco irrompa con interminabili concioni. Il palinsesto già prevede i suoi torrenziali interventi, perfino suoi comizi d’epoca riproposti come pezzi d’anquariato. Quando non c’è Pannella si viene chiamati a dire che cosa si pensa di questa o quella trovata pannelliana. Quindi è la volta di congressi e riunioni radicali dove di solito si discutono le idee di Pannella. Infine ci sono programmi come la rassegna stampa del mattino in cui si dimostra come da sempre abbia visto lungo Pannella e come siano miopi Bush, l’Onu, il Papa a non ascoltare i lungimiranti consigli di Pannella con i quali in quattro e quattr’otto si potrebbero sistemare l’Iraq, il conflitto israelo-palestinese, la Chiesa , stabilire la pace universale, debellare la fame, le malattie e l’infelicità dalla Terra.

Anni fa Ruggero Guarini osservava che i radicali - come la loro radio - sono la cosa meno laica che esista. Non solo per quell’orizzonte totalmente politico della vita (quindi totalizzante e ideologico) che perfino a sinistra hanno superato da anni. Non solo per quell’onnipresenza del Leader. Per quanto possa sembrare paradossale, in effetti, i radicali non sembrano toccati dal laico beneficio del dubbio. Mai. Hanno sempre e solo certezze: dispongono per ogni problema di una soluzione preconfezionata e indiscutibile, buona in ogni tempo. Ma è possibile avere certezze assolute e verità indiscutibili per i complicatissimi problemi sociali, politici ed economici che sono spesso incerti, esigono compromessi, provvisori tentativi di soluzione, disponibilità a tentare altre strade?

Le idee dei radicali sono dogmi di fede intangibili. Tutte le più complesse questioni (dall’economia all’assetto delle istituzioni, ai delicati equilibri planetari, alle leggi che implicano la vita umana e le incertezze della scienza), tutti i problemi che normalmente chiedono la fatica dello studio e restano incerti anche per la scienza, ed esigono l’elaborazione di diversi e perfettibili tentativi di soluzione, per loro sono semplicissimi: la realtà dei radicali è sempre in bianco e nero.

Da qui viene la loro concezione dualistica del mondo: il bianco e il nero, il sì e il no. Infatti il referendum è lo strumento prediletto, essendo quel meccanismo di consultazione che riduce semplicisticamente problemi complessi a un’alternativa secca fra il sì e il no (perfino quando c’è di mezzo la vita umana – come nella legge sulla fecondazione – ed è necessario armonizzare interessi contrapposti e conoscenze scientifiche incerte). Ma non basta l’ideologia del referendum, tutto il sistema politico – predica Pannella da anni - ha da essere bipartitico. Nemmeno l’approssimazione bipolare gli va bene: pretende due soli partiti. Puoi obiettare che una simile riduzione sarebbe ben poco democratica, tagliando fuori una quantità di culture politiche diverse che nei nostri paesi europei, per la loro lunga storia, sono presenti. Ma Pannella e i radicali non ci sentono: per loro il bipartitismo è un dogma di fede che ovviamente sono i primi a trasgredire presentandosi come ennesimo partito. Loro non avvertono questa contraddizione perché pretenderebbero addirittura che al bipartitismo arrivassimo non per aggregazione consensuale, ma per costrizione: col meccanismo “uninominale secco”. E’ la fissazione giacobina di cambiare la società attraverso lo Stato.

L’immagine di un Paese come foglio bianco – col mito dell’ “uomo nuovo” - fu di Mao Zedong, ma prima di lui di tutte le gnosi rivoluzionarie. A cominciare da quelle francesi. Invece il mondo esiste da prima e vi sono identità e culture diverse, è fatto di mille sfumature da valorizzare, di mille interessi da armonizzare, di tante sensibilità da rispettare e di mille incertezze perché l’uomo non ha una conoscenza assoluta della verità e può sbagliare. Per i radicali invece è possibile una gnosi totale del Vero (a costo di forzare i dati della scienza, come sulle cellule staminali) e dunque esiste solo bianco e nero, sì e no, destra e sinistra. E’ un’idea manichea del mondo. Nel senso filosofico: l’antica dottrina manichea era una delle forme dello gnosticismo e autorevoli studiosi – come Erich Voegelin – hanno mostrato che proprio questa antica eresia è il substrato di tutte le ideologie della modernità. Specie quelle illiberali.

Ciò che si presenta come intransigenza morale, spesso, in politica è solo dogmatismo e il dogmatismo dei radicali mal si concilia con il realismo e con la necessità del compromesso che la politica deve necessariamente (e nobilmente) praticare. I radicali amano presentarsi come liberali, ma il maggior teorico della “società aperta”, Karl Raimund Popper, ci ha insegnato a considerare come vero nemico della libertà il “perfettismo politico”, qualunque sia il suo contenuto. Ciò spiega perché i radicali hanno talora buone idee e condivisibili – per esempio sulla giustizia, l’economia o su certe battaglie internazionali – ma restano nell’insieme dottrinari e indigeribili: perché anche le idee buone devono tener conto delle situazioni storiche ed essere compatibili con altre idee e forze sociali e non si possono trasferire in modo dogmatico in leggi o politiche di governo.

Il dogmatismo non è compatibile né con i riformatori socialdemocratici, né con quelli liberaldemocratici, né con i conservatori. Non è compatibile con l’attuale stagione politica italiana – che fa emergere i realisti e accantona i fondamentalisti – né con la situazione internazionale dove si cercano soluzioni realiste e si rifugge dagli astratti proclami di principio.

Ai radicali (che continuo a elogiare per tante battaglie sui diritti umani) consiglierei la lettura di un libro di un amico comune, Adriano Sofri: “Il nodo e il chiodo”. Aiuta a capire una generazione che cominciò a pensare il mondo con una filosofia dualistica (bianco-nero, destra-sinistra, amico-nemico, borghesia-proletariato, capitalismo-comunismo), una generazione che trasformò le proprie idee politiche in verità assolute, chiodi da piantare con gesto risoluto sulla testa del Nemico, e poi – dolorosamente – si accorse che il mondo è piuttosto un complicato groviglio da sciogliere con pazienza, per tentativi, con rispetto dei diritti altrui e accettazione dell’errore. I radicali potrebbero essere utili al Paese, ma dovrebbero diventare laici.

Antonio Socci
Il Giornale 6.10.2004

Socci, Chiarinelli e le Settimane Sociali

Antonio Socci non mi ha mai appassionato. Lo trovo eccessivamente polemico, il che va benissimo per un giornalista che deve far vendere copie alla propria testata, ma non per chi ascolta un interlocutore per capire e farsi un’idea di come va il mondo.
Il rischio di chi come lui vorrebbe combattere l’ideologia è di diventare a sua volta ideologico. (Lo stesso rischio lo corrono i suoi piccoli epigoni di stranocrisitano.)
L’ideologia è uno schema mentale che ti permette di esprimere giudizi sul mondo, il cristianesimo invece è una persona: Gesù Cristo. Naturalmente l’esperienza religiosa è sempre mediata dalla nostra condizione storica e da questa esperienza nascono inevitabilmente delle visioni del mondo, visioni necessarie ma parziali di fronte alla complessità della vita. L’unico modo per non cadere nell’ideologia è la conversione, ossia lasciare che i nostri schemi si rinnovino continuamente alla luce dell’azione liberatrice di Dio.

Comunque ieri Socci era ospite di Ferrara ad Ottoemezzo, nella puntata dedicata alla Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, appena iniziata a Bologna. Partecipavano anche Giorgio Rumi, storico e Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo e presidente del Comitato Scientifico organizzatore delle Settimane Sociali.
Socci ha iniziato facendo polemicamente notare che nel documento preparatorio mancavano le parole ‘Dio’, ‘Gesù Cristo’, ‘Dottrina sociale’, insomma concetti chiave per un cristiano. Al documento preparatorio e ai relatori invitati Socci ha contrapposto i messaggi del Papa, di Ruini e di Caffarra, vescovo di Bologna. Costoro erano naturalmente aveva dalla sua parte, contro la tradizione ‘cattolico democratica’ italiana, che secondo lui emergeva nell’impostazione generale data alla Settimana Sociale. A Socci doveva aver dato fastidio in particolare con uno dei relatori, Casavola, espressione ormai logora di quel cattolicesimo democratico che ha rappresentato il sostrato ideologico (certo ideologico, inutile negarlo) della migliore Democrazia Cristiana e che certi ambienti culturali nei quali l’editorialista del Giornale si è formato hanno tacciato nei decenni scorsi di protestantesimo, neopelagianesimo e via dicendo.
Casavola ieri aveva attaccato tra gli altri il primato del potere economico e la devolution e quindi in qualche modo l’attuale governo.

La contrapposizione tra organizzatori del convegno e gerarchia appariva subito pretestuosa, anche perché non si capiva dove Socci avrebbe collocato Chiarinelli, ma comunque ha acceso un interessante dibattito.
All’interno di questo schema il giornalista toscano ha tenuto a ricordarci che ieri ricorreva l’anniversario della battaglia di Lepanto, come se questa avesse qualche rilevanza per il tema della puntata. Qui si vede una delle caratteristiche del pensiero ideologico che ha sempre bisogno di un nemico per definire la propria identità, si pone per negazione, dividendo la realtà complessa in due metà di buoni e cattivi.
Io per curiosità sono andato a controllare il messaggio papale e, sopresa, neppure in questo compaiono le parole ‘Dio’ e ‘Gesù Cristo’. Mentre compaiono in quello di Chiarinelli. E allora? Ecco che il colpo ad effetto di Socci si ritorce contro la sua stessa argomentazione; la realtà si ribella agli schemi.

Ora non mi interessa riportare e commentare qui tutta la discussione, che mi è parsa molto stimolante, tant’è che Ferrara, anch’egli suggestionato, ha ‘sforato di 7 minuti’.
Una cosa però mi molto ha colpito, anzi un uomo: Chiarinelli.
Vescovo colto e prudente, ha risposto alle approssimazioni ideologiche di Socci con ragionamenti fini, distinzioni fondate, riferimenti dottrinali solidi. Peccato continuasse a citare Karl Rahner, Italo Mancini, Giorgio La Pira, intellettuali che, vista matrice culturale del giornalista toscano, non facevano che confermare il suo schema ideologico.
(Un’altra caratteristica dell’ideologia è che trova conferme ovunque mentre non riesce a vedere contraddizioni e confutazioni).
Alla fine, quando Chiarinelli ha parlato della ‘mediazione’, parola chiave nel dibattito CL-FUCI degli anni ’80, il povero Socci non ne ha potuto più e mentre i titoli di coda erano già andati ha tentato in tutti i modi di insegnare un po’ di dottrina al povero vescovo.

Chiarinelli, proprio per il suo stile argomentativo che richiedeva almeno 3 minuti di premesse prima di giungere ad una conclusione, non è un personaggio televisivo. A volte mi pareva una di quelle simpatiche caricature di preti fatte da Carlo Verdone.
Il suo muoversi da una parte all’altra dello schermo, la mano sempre sull’orecchio a mantenere il fastidioso auricolare, le sincere parole di cortesia all’inizio di ogni replica, sono tutti elementi sconsigliati dagli esperti di comunicazione televisiva. La televisione è ideologica, ama gli schemi, le semplificazioni, non provoca il pensiero ma la passione, il sentimento.
Ma i cuori si convertono non per potere dialettico, che al massimo attira verso una nuova ideologia, ma quando si incontrano persone; perciò Chiarinelli ieri è stato grandioso, è stato veramente uomo. Nonostante le provocazioni di Ferrara, che fa sempre il suo lavoro eccellentemente, e con un certo imbarazzo della giornalista che lo accompagna e che, anch’ella vittima del pensiero ideologico, non riusciva a capire da che parte collocare il nostro caro vescovo, costui ha scardinato schemi, accontentato un po’ tutti, tranne Socci naturalmente, e ci lasciato con molti pensieri.
Buon segno perché ci ha provocato non ad aderire ad una dottrina ma a confrontarci con un’esperienza, quella del cattolicesimo sociale italiano e alle sue ricchezze.

giovedì, ottobre 07, 2004

Auguri

Dot è ora dott.ssa.

martedì, ottobre 05, 2004

Lettera 100

Quando dico che è ormai di fatale necessità che ciascuno di noi prenda posizione contro gli orrori che devastano la Terra e preparano altri spaventosi conflitti e terrorismi, so bene di suscitare le frustrazioni di chi è convinto di non contare nulla nelle decisioni dei governanti, di chi sente di trovarsi di fronte allo strapotere del grande Capitale e, ancor più amaramente, di chi ricorda il fallimento di una propria esperienza nei partiti, nei sindacati, nelle espressioni di "base". Tutto ciò è dolorosamente vero, e però, io credo, non ci esime dal dovere di custodire in noi la dignità del coraggio e dell'indignazione. Questi due sentimenti,
diceva un grande pensatore, Agostino di Ippona, sono figli della verità: chi contempla la ferocia dei Potenti sui poveri non può, se crede nella dignità dell'uomo, non sentire dentro se stesso bruciare una ribellione che lo spinge a intervenire; e poiché questo sentimento risponde alla logica dell'amore esso è inevitabilmente sostenuto dalla volontà di non tradirne le conseguenze. Dunque un passato deludente, o peggio, non può giustificare una diserzione: o accettiamo di farci minimi ma reali protagonisti del nostro tempo o siamo poveri rottami portati via da una corrente fangosa. Dobbiamo provare e riprovare, ancora, creare aggregazioni o dare il nostro contributo a quelle già esistenti.
Sembra a me di capire che (altro magnifico segno di speranza) molta e molta gente, in questi giorni più che in altre occasioni, stia comprendendo questa realtà.
La moltiplicazione quasi irruente, di manifestazioni di solidarietà con le due volontarie italiane pare indicare questa preziosa novità. Se la partecipazione popolare ai funerali dei soldati morti a Nassiriya travalicò la retorica dei generali e di cardinali come Ruini fu perché gli italiani sono sempre stati abituati a considerare i nostri militari come "poveri figli di mamma". Grandi furono anche le manifestazioni per il rilascio dei vigilantes italiani: molti, anche fra quelli che non condividevano le loro scelte "professionali" -ed anzi le disapprovavano - colsero lo strazio delle famiglie e vollero esprimere pietà e vicinanza. Ma nel caso di Simona Pari e di Simona Torretta non è solo la pietà a radunarci in loro favore: è
che chiunque sa che l'amore è più potente dell'odio e comunque ben più vicino alle ragioni della vita, nonostante ogni diffidenza per la politica e ogni paura di compromettersi si sente toccato nei suoi sentimenti migliori e coglie tutta l'assurdità delle guerre, la loto forza disgregatrice di ogni sentimento; e del conflitto da Bush contro l'Iraq coglie la mostruosa ipocrisia e la devastazione di un popolo che si pretende di salvare.
Forse il movimento per la pace non è mai stato così forte nel nostro Paese; e se è bene che gli esponenti dei partiti di opposizione salgano le scale di palazzo Chigi per mostrare all'opinione pubblica internazionale l'unità del popolo italiano nel richiedere l'incolumità e la liberazione delle due Simona, è necessario che i leaders di quei partiti non consentano equivoci sul ripudio della guerra irachena e delle strategie "preventive", quasi che queste scelte passassero in secondo piano in un momento di crisi così dolorosa e di consapevolezza così lucida.
Momento, anche, di orgoglio. Il movimento per la pace è stato spesso accusato di preferire le retrovie all'eroismo militare: Ma le due Simona erano assai più esposte ai rischi dei soldati superarmati: e servivano la pace molto più dei soldati inviati dal governo italiano agli ordini degli occupanti britannici. La vicenda di "Un ponte per " dovrebbe ridurre al silenzio chi in ogni occasione ha cercato di offendere i valori del movimento per la pace. Berlusconi - ricordate? - dileggiava Gino Strada che sotto i bombardamenti dell'Afganistan denunziava la crudeltà e l'inutilità
della guerra. "E' un uomo dalle idee confuse" assicurava con un sorriso sardonico. Lui, invece, ha idee chiarissime. Speriamo che piacciano sempre meno agli
italiani.

Ettore Masina