domenica, febbraio 28, 2010

Italians in Ireland

A proposito di italiani all'estero, nel numero di gennaio di Londra Sera, periodico della comunità italiana a Londra, è apparso un articolo sul volume Italians in Ireland: storie, successi e personaggi di un popolo in movimento. Nell'articolo ci sono anche due righe dedicate al sottoscritto.

lunedì, febbraio 22, 2010

Sacred day when a spear of longing pierced my world

Oggi è il mio compleanno e per festeggiarlo con i miei lettori ho pensato di condividere questa lettera, molto commovente, dello scrittore irlandese Joseph O'Connor al figlio.



Sacred day when a spear of longing pierced my world

Dear Son,

Valentine's Day can be a pain when you're young: a purgatory of false expectations. It probably doesn't matter as much as it used to in the past, but back when I was a kid, in the late 13th Century, the postman was waited for anxiously. You might think it strange that it's a day when I always think of you -- and yet it is, for it was on the feast-day of old Val, the patron saint of petrol-station flowers, that I first got to see your face.

We were living in London then, your mother and I. We'd been married a couple of years.

But for most of my adult life, I'd been sure I would never be a father. I don't know why. Fear, I suppose. It wasn't until my early thirties that I met someone who gave me cause to question my certainty. Your mother was so brave herself. It rubbed off on me.

When we realised you were on the way, we were drunk with excitement. For days I walked around in a haze of numbing cheerfulness. But for all the joy, there was an old foreboding too. Nobody ever tells you the full truth about parenthood: that it drops a stone into the stillness of the love that made it, and some of the ripples can be fierce for a while.

Now it was Valentine's Day, the morning of the second scan. In the waiting room of the clinic sat couples looking nervous.

The clinic offered fertility treatments, laparoscopy, IVF. I was painfully conscious, as we waited to be called, that many of these people would give anything to be us.

The nurse, a middle-aged Nigerian woman, moved slowly, deliberately, humming softly to herself as she worked. There was gentleness in her silence, a healing aura. Her matter-of-factness itself was healing, for it seemed to say what was happening was part of the everyday, and that similar things would be happening millions of times this morning, that there are no miracles at all, only hopes.

Your mother lay on the couch, the nurse moved slowly, and I watched as the monitor screen came on. Some of your features were clearly discernible on the screen. An arm, a spine, a ghostly white face. "You have a son," she said quietly. "He is healthy, thank God." The little creature in the glass was more like a being from some faraway planet, some spacemen unimagined by science-fiction. You turned. You rolled. You moved the twig of an arm. But even as the nurse finished making her notes and confirmed that the baby was doing well, I didn't feel what everyone had told me I should feel. It was what happened next that I found astounding.

Casually, like someone doing something long-practised in a kitchen, the nurse reached out and flicked a speaker-switch on the side of the monitor unit. There was a short crackling sound, a few watery echoes. A long moment passed. A truck went by in the London street below. And the sound of your heartbeat filled the small room.

My own heart actually seemed to stop. It was like having a spear of longing driven through me. That small pulsing rhythm that called for nothing except to be loved. It was about nothing but itself, its own aching vulnerability. It was so very ordinary, yet it felt unspeakably sacred, more than any music I had ever heard, or ever will. Unable to speak, I simply stood and listened, and the lightning out in the street seemed to flash through my nerve endings. I left that room, your father.

Every birth is a new life, but also an intimation of mortality. It says all things pass; there are seasons in our living. But lying in the darkness that night, I saw it didn't matter. This was the secret. It didn't matter. Our fears, our inadequacies, our failings, our hurts, the promises we broke, the disappointments done to us, none of it need weigh any more than we wish, and only our love weighs exactly what it will, and that weight should be carried with joy.

And I saw the only promise a father can ever hope to totally keep. I won't leave you. I will stay to the end.

Your mother stirred beside me. We listened to the night sounds. From the flats in the next street arose the alleluia of someone's car alarm, and the repeated bark of a dog. To say I began to experience a deep sense of calm and acceptance would be technically correct, but it wouldn't come close. I'm not a religious person but the language of sacrament kept suggesting itself. If there is a peace that passes understanding, I know what it is. The recollection of nothing more than a child's heartbeat: the small, persistent, puttering rhythm which proclaims that life has triumphed over death: that you can stand up and walk out of the tomb of the past. And even if that peace ever fades from my memory -- even if it were to completely disappear -- to have glimpsed it just once is miracle enough for one life.

And I owe you that Valentine gift, my dear child.

Joseph O'Connor

sabato, febbraio 20, 2010

mercoledì, febbraio 17, 2010

Storia: così John Henry Newman incontrò la verità della Chiesa

Storia: così John Henry Newman incontrò la verità della Chiesa

di Maurizio Schoepflin
Tratto da Avvenire del 13 febbraio 2010

«Di una cosa possiamo essere certi, che il ricordo di questa pura e nobile vita, non toccata dalle cose di questo mondo, durerà e, che Roma lo canonizzi o no, egli sarà canonizzato nei pensieri della gente pia delle varie confessioni in Inghilterra… Il santo in lui sopravviverà»: con queste accorate parole il prestigioso Times rendeva omaggio al cardinale John Henry Newman, all’indomani della morte che lo aveva colto l’ 11 agosto del 1890 all’età di ottantanove anni. Che Newman fosse considerato, già ai suoi tempi, una personalità di eccezionale rilievo lo attestano numerose testimonianze: basti pensare che due tra i maggiori politici inglesi dell’Ottocento, i primi ministri Gladstone e Disraeli, giudicarono la conversione di Newman dall’anglicanesimo al cattolicesimo un evento di portata epocale. Col passare degli anni, la figura di questo straordinario interprete della fede cristiana si è ulteriormente ingrandita, tanto che il dubbio espresso da Times circa la sua canonizzazione sembra ormai essersi sciolto in senso positivo e la beatificazione del celebre apologeta appare imminente.

Giovanni Velocci è uno dei più qualificati studiosi italiani di Newman, e in questo recente libro, nel quale sono raccolti vari interventi da lui pubblicati in massima parte sull’ Osservatore Romano, consegna al lettore un ritratto lucido e appassionato del pensatore britannico, che non si è esitato a paragonare ad apologisti del calibro di Tertulliano e di san Giustino e che Jean Guitton ebbe a definire ' Pater futuri saeculi '. Nel volume vengono chiarite tutte le componenti principali della vita e dell’opera newmaniane: il cammino verso la conversione, il rapporto tra fede e ragione, l’apologia del cattolicesimo, il valore e la missione della Chiesa e altre ancora. Due suggestive espressioni latine sintetizzano bene la luminosa vicenda di Newman: ' Ex umbris set imaginibus in veritatem ' (' Dalle ombre e dai simboli alla verità'), l’epitaffio apposto sulla sua tomba, e ' Cor ad cor loquitur' (' Il cuore parla al cuore'), il motto da lui scelto per lo stemma cardinalizio. La prima frase suggella alla perfezione la vita di un uomo che desiderò conoscere la verità, la trovò nella fede cattolica e la amò profondamente. La seconda esprime bene la sensibilità e la spiritualità newmaniane: il cristianesimo di Newman si fonda sull’incontro con la persona del Figlio di Dio e si traduce nell’incontro con le persone, nell’amore vicendevole e nel dialogo delle coscienze.

Per questo, anche il titolo del volume di Velocci risulta particolarmente azzeccato.

Giovanni Velocci
Incontrando Newman
Jaca Book. Pagine 168. Euro 16,00

martedì, febbraio 16, 2010

lunedì, febbraio 15, 2010

Un aforisma al giorno - 158

Un aforisma al giorno - 158: "
'Se non sproniamo noi stessi continuamente all’umiltà e alla gratitudine, ci accade col passare del tempo di vedere sempre meno il significato del cielo o delle pietre' .

Gilbert Keith Chesterton, Tremendous Trifles
Grazie alla segnalazione di Sabina Nicolini

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Gulisano, Wilde e Newman

Vi segnalo questa intervista comparsa su FantasyMagazine all'amico Paolo Gulisano. Paolo, grande amante dell'Irlanda, parla del suo libro su Oscar Wilde pubblicato lo scorso anno e ci annuncia che sta lavorando su una biografia di Newman!

domenica, febbraio 14, 2010

Giovanni Bachelet: papà e il coro delle cornacchie

Giovanni Bachelet: papà e il coro delle cornacchie: "

E’ difficile indovinare quel che direbbe oggi papà: dell’Italia, della Chiesa, del mondo. Aver privato l’Italia e la Chiesa di voci come la sua le ha rese decisamente piú brutte, e rende piú difficile il nostro discernimento. Tuttavia, in un un tempo nel quale anche molti progressisti e molti cristiani hanno indossato l’abito dei profeti di sventura cui Giovanni XXIII invitava a non dar retta aprendo quasi cinquant’anni fa il concilio, io sono quasi sicuro che papà non si unirebbe al coro delle cornacchie; che ci inviterebbe, invece, a notare in quanti aspetti il mondo di oggi sia piú ricco, piú comunicativo e piú libero di quello di ieri e l’altroieri, e ad essere certi che, col nostro impegno e con l’aiuto di Dio, il mondo di domani sarà anche piú bello di quello di oggi“. – E’ la conclusione del discorso tenuto da Giovanni Bachelet l’altro ieri alla Sapienza in memoria del padre Vittorio che lì fu ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980. Mando un abbraccio a Giovanni e a tutti i Bachelet che conosco. Qui si può leggere l’intero discorso: http://www.unita.it/news/italia/95023/il_discorso_di_giovanni_bachelet_in_ricordo_del_padre. Nel sito di Giovanni – http://www.giovannibachelet.it/ – si trovano i link a quanto ha scritto in questi giorni – per esempio per l’Osservatore Romano – e a quanto ha dichiarato a giornali e agenzie ricordando i fatti di trent’anni fa, il perdono agli uccisori che allora espresse a nome della famiglia acompagnato all’invocazione della giustizia, il successivo incontro con una di loro, Laura Braghetti.

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sabato, febbraio 13, 2010

In the absence of a shoulder
In the abscess of a thief
On the brink of this destruction
On the eve of bittersweet
Now all the demons look like prophets
And I'm living out
Every word they speak

mercoledì, febbraio 10, 2010

Coda di paglia

Coda di paglia: "
Se devo essere sincero, questa interminabile telenovela del “caso Boffo” incomincia a venirmi a noia. Ora siamo tutti in spasmodica attesa di scoprire chi sia la “personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente”, che avrebbe recapitato a Feltri i documenti riguardanti il Direttore di Avvenire. I sospetti si sono appuntati sul Direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, il quale avrebbe agito per mandato del Segretario di Stato Card. Tarcisio Bertone. Non essendoci alcuna presa di posizione ufficiale da parte della Santa Sede, i giornalisti hanno avuto buon gioco a tirar fuori tutti i “veleni”, le lotte di potere, le manovre politiche interne alla Curia Romana e gli scontri tra Vaticano e Conferenza episcopale italiana. Uno scenario — diciamo la verità — piuttosto squallido.

A nessuno è venuto in mente che il Direttore del Giornale potrebbe stare sghignazzando alle spalle della Chiesa. Prima ha preso un granchio madornale: già, ma ci si doveva fidare “istituzionalmente” della fonte! Eh no, un giornalista serio dovrebbe sempre verificare le proprie fonti prima di pubblicare una notizia. Poi riconosce l’errore, e pensa di cavarsela con un trafiletto, concedendo magnanimamente l’onore delle armi alla sua vittima. Eh no, dopo il cancan scatenato, il minimo che ci si sarebbe aspettati erano le dimissioni. Adesso cerca di scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità, facendo credere che si tratta solo di una faida intraecclesiale: «Io che c’entro con le vostre lotte intestine? Sono fatti vostri».

E noi che gli andiamo dietro pensando che il Segretario di Stato abbia bisogno di passare sottobanco al Dott. Feltri certe carte per rimuovere Boffo dalla direzione di Avvenire! Ma la “personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente” non potrebbe essere, molto più semplicemente, un modestissimo impiegatuccio di una qualsiasi delle curie delle oltre duecento diocesi italiane, visto che quei documenti giacevano da tempo sui tavoli di tutte le cancellerie vescovili?

Penso che, come Chiesa, dovremmo mostrare un po’ piú di carattere e reagire a questo assedio. Non perché nella Chiesa non ci siano miserie; ma semplicemente perché non possiamo ridurre la Chiesa a una “parrocchietta”. Da che mondo è mondo, in tutte le parrocchie e in tutte le curie ci sono state (e sempre ci saranno) piccinerie, invidie, competizioni, sgambetti, e chi piú ne ha piú ne metta. E con ciò? Forse che nelle burocrazie laiche certe cose non accadono? Eppure non sembrano degne della prima pagina dei giornali, dove invece si parla delle grandi dispute politiche. Non si capisce perché, quando si parla di Chiesa, si debba sempre e solo parlare dei suoi aspetti piú deteriori. Non che questi non esistano, ma a casa mia il parlare di certi argomenti ha un nome ben preciso: “pettegolezzo”. Non che mi scandalizzi del pettegolezzo: anche qui, da che mondo è mondo, esso è sempre esistito e sempre esisterà. Ciò che mi dà noia è che esso assurga a livello di “giornalismo” e venga con ciò legittimato e nobilitato.

Non sarà che anche in questo caso ci sia dietro una manovra pianificata per mettere in difficoltà la Chiesa? Visto che non si riesce a confutarla sul piano dei principi, beh, screditiamola mettendo in piazza le sue miserie. Non si rischia nulla, perché, tanto, di meschinità se ne troveranno sempre, e loro stessi — i “preti” — avendo la coda di paglia, non sapranno come reagire. E invece sarebbe proprio il caso di reagire. Solo due osservazioni.

1. La sapienza popolare insegna che i panni sporchi si lavano in casa. Trasparenza non significa che tutto debba essere messo in piazza. Non solo le persone, ma anche le istituzioni hanno diritto a una loro privacy (lo Stato non ha forse i suoi “segreti”?).

2. La consapevolezza della nostra indegnità e delle nostre miserie non può paralizzarci e impedirci di svolgere la missione che ci è stata affidata. Se aspettiamo di diventare santi, per iniziare a evangelizzare, il Vangelo rischia di rimanere sigillato per qualche millennio. Il tesoro che ci è stato affidato non ci appartiene e non abbiamo alcun diritto di sotterrarlo. Il suo valore e la sua efficacia non dipendono da noi. Anzi, la nostra inadeguatezza non fa che mettere in risalto la grandezza del dono di cui siamo portatori: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12:9).
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martedì, febbraio 09, 2010

Bernard-Henri Lévy makes a mistake about the sex life of Immanuel Kant

Bernard-Henri Lévy makes a mistake about the sex life of Immanuel Kant: "No one seems to be feeling sorry for the vain media star and philosopher Bernard Henri-Lévy. He managed to mistake a spoof book for the real thing. Citing a book by the fictional philosopher 'Botul' (founder of the 'Botulism' movement) about Kant's sex life was not a good idea (presumably Kant's sex life involved asking the question 'What if everyone did that' at crucial moments). More interesting, though, is the question of whether BHL (or BHV as some people dub him - after the French department store - because he's always selling himself) is actually a cleverly created fiction himself. His glamorous lifestyle, his beautiful homes, his hair, his open necked shirts (never wears a tie, but has special shirts handmade so they stay open just so)...it all seems like an image...But is there anything behind the façade? Apparently not much rigour. But you have to admire the damage limitation he's been doing in the media since his exposé. Take a look at the bio page of his website if you think Brian Leiter is exaggerating in calling him a poseur."

lunedì, febbraio 08, 2010

"With Just Enough of Learning to Misquote..."

"With Just Enough of Learning to Misquote...": "From G.K. Chesterton by Christopher Hollis (1950):

Chesterton, with a prodigious memory but a constitutional contempt for accuracy that he carried often to unpardonable lengths, quoted Browning copiously, but he quoted him always from memory and often with verbal inacurracy.

I can't agree with Hollis here (though I should add that I'm not sure just how far Chesterton did carry his 'contempt for accuracy!'). Chesterton's willingness both to misquote, and also to defend his misquoting, is one of his most endearing characteristics. As he says somewhere, 'Misquotation shows that a writer's work has become part of the reader'. (Well, something like that.)

Through my own work in a university library, I've witnessed the almost neurotic concern that students (and academics) develop with 'references'. This might lead them to scouring through some massive volume-- or several massive volumes-- to hunt down that one sentence they remember reading, and making sure they have the comma in the right place.

While such meticulous accuracy is highly commendable in engineers and doctors-- we don't want bridges falling down or surgeons taking out the wrong bit-- it seems contrary to the whole atmosphere of liberal education. A layman who flicks through any academic journal printed in the last thirty or forty years (at least) will almost certainly be struck by the pedantry and plodding earnestness of the writing. Chesterton was never more right than when he was struggling against that sort of thing. I think Shakespeare put it best: 'Who cares where the comma goes, dude'?
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martedì, febbraio 02, 2010

Il Tempo del 1 Febbraio 2010 parla di Chesterton, cioè di Uomovivo

Il Tempo del 1 Febbraio 2010 parla di Chesterton, cioè di Uomovivo: "
La vendetta di Chesterton Il paradosso sale in cattedra
Con «Uomovivo» l'editoria riscopre l'autore inglese

«Uomovivo» di G. K. Chesterton (libro del 1912, da poco ritradotto da Morganti Editori) cattura e innamora per l'enormità carnale e paradossale del suo protagonista Innocent Smith, una specie di Falstaff più libero e lieto, estremamente sciolto nel suo fisico debordante, capace come pochi personaggi del romanzo moderno di risvegliare in noi il senso sacro dell'allegria, l'esultanza degli attimi in cui il cuore 'levita', le vibrazioni di quella leggerezza che è forse la forma più alta della grazia. Tutto, in lui, è un inno al movimento, cioè alla vita, e nel corso del libro i suoi viaggi qua e là per il mondo hanno l'andamento a zigzag delle farfalle, l'irregolarità rapinosa di certi assoli di jazz, la velocità onirica delle comiche del muto. Dapprima, affascinati da questa esuberanza, ci limitiamo ad assaporarla nello scoppiettio delle sue scintille. Solo pian piano, attraverso una serie di lenti curve o di specchi deformanti con cui l'autore ci avvicina e allontana il suo personaggio, ce lo offre e sottrae fra mascherate, trappole e balletti, riusciamo a mettere a fuoco la sua autentica fisionomia: quella di un cristiano dei tempi nuovi, di un intrepido cercatore di verità. Poco importa che aspirare alla verità sia il più improbo dei compiti in una società inamidata in false certezze; Innocent non può rinunciare alla propria 'quête' perché ha capito che in gioco, in questa età cosiddetta moderna, è il senso stesso, primario del nostro essere uomini, cioè creature vive e dotate d'anima, non marionette o fantocci o larve. Filosofo della scuola ideale di Francesco d'Assisi, egli sa che il nocciolo di ogni rapporto religioso col creato è il sentimento dello stupore e della gratitudine per gli infiniti doni di Dio, e crede che, per salvare questo sentimento in un mondo che fa di tutto per soffocarlo, dobbiamo rimetterci senza tregua in cammino: gettarci nella mischia, cambiare i nostri punti di vista, farci avventurieri dei giorni. La sua 'rivoluzione' non ha niente di politico; si avvicina allo spirito più festoso, fanciullesco, giullaresco della poesia. Cambiare, infatti, non significa per lui calcolare equilibri o cercare compromessi ma esaltare, far fiorire, innalzare i calici alla gioia, danzare con le cose e i momenti. Votato a cogliere la magia dell'universo, Innocent è certo che si può - o meglio, si deve - giocare con tutto, perfino con la morte, perché la vita sia glorificata, perché gli uomini possano tornare a testimoniarne la bellezza, la luce, l'incanto. Ma questo è davvero troppo per una società imbalsamata nei luoghi comuni: così egli deve subire un processo - un lungo, tortuoso e mirabolante processo nel quale Chesterton mette in campo tutta la sua abilità di architetto di plot polizieschi, tutto il suo estro (tanto apprezzato da Borges) d'inventore di scene strambe, eccentriche, rocambolesche. Benché assolto, alla fine Innocent si eclissa d'improvviso dalla vista degli altri… Forse, ci sussurra Chesterton fra le righe, la verità ultima della leggerezza consiste nel suo sottrarsi, nel suo balenare come segno di ciò che nulla può trattenere ma il cui riverbero resiste come la luce del sole dopo il tramonto, come l'aureola di un sortilegio, di una speranza, di una poesia che non può, che non potrà morire.
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lunedì, febbraio 01, 2010

Aggressively, like, inarticulate, ya know?

Aggressively, like, inarticulate, ya know?: "



Typography from Ronnie Bruce on Vimeo.


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Tremonti: Instruzioni per il disuso

Giulio Zanella, con cui ho condiviso due anni di presidenza FUCI, ha appena pubblicato un libro su Giulio Tremonti insieme ad altri quattro economisti che come lui lavorano negli USA.
Il libro è legato al sito NoiseFromAmerika.



TREMONTI: ISTRUZIONI PER IL DISUSO.

Collettivo noiseFromAmeriKa: Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Moro, e Giulio Zanella

Edizioni Ancora del Mediterraneo, 2010
Tremonti ha francamente scocciato. Non tanto per quello che fa in qualità di ministro dell'Economia, visto che fa veramente poco, ma soprattutto per quello che dice. Per non lesinare sulla nostra irriverenza, ci immagineremo Tremonti come Voltremont. Chi È Voltremont? Beh, Voltremont è nella nostra immaginazione il cugino politico di Lord Voldemort, il Signore del Male della saga dei libri per ragazzi del maghetto Harry Potter. L'intenzione del libro è banale come le teorie economiche di Voltremont: rendere esplicito che l'Oscuro Signore è intellettualmente in mutande e che le medesime sono anche piene di buchi.