Newman e Rosmini
Ricercatori della verità e uomini profondamente liberi, nella critica alla cultura del tempo seppero esprimere una nuova sintesi del cattolicesimo nell’800
Di Tarcisio Bertone
La nostra epoca e quella di Antonio Rosmini e John Henry Newman presentano - pur nelle loro specificità - aspetti simili; questo fatto, insieme ad altri, ha influito sulla scelta di riproporre queste due luminose figure della cultura cattolica, viste in confronto con la modernità. Rosmini e Newman, infatti, non hanno avuto timore a dialogare con un mondo - quello della modernità - che andava sempre più prendendo le distanze dalla tradizionale visione cristiana della realtà; per questo, il sommo filosofo roveretano e il grande convertito dell'anglicanesimo hanno molto da dire ai cristiani, all'inizio del terzo millennio.
La loro statura si staglia sempre più nitida e, ormai, viene da tutti riconosciuta; essi, infatti, hanno saputo unire, in modo mirabile, l'altezza del pensiero e la coerenza della vita manifestata, soprattutto nel tempo delle avversità che, per entrambi, non furono né poche né lievi. Ricercatori instancabili della verità in ambito filosofico e teologico, hanno mostrato, non a parole, ma con i fatti quanto sia vero il detto di Gesù riportato nel vangelo di Giovanni: «...conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv. 8, 32); come chiaramente attestano le loro biografie, furono essenzialmente due uomini profondamente liberi.
Sicuramente Antonio Rosmini e John Henry Newman possono essere contati nel novero dei grandi apologeti cristiani; il termine apologeta, qui, risuona, ovviamente, nel suo significato positivo, anzi nel suo senso più alto; con grande lucidità essi hanno saputo individuare le risorse e i limiti della cultura del loro tempo; soprattutto, l'hanno accostata in maniera critica, operando quel necessario discernimento che ha permesso di esprimere una sintesi capace di dare nuovo vigore alla proposta culturale che si origina dalla fede.
Così Antonio Rosmini, con acume e coraggio, lavora al progetto di una enciclopedia del sapere, ossia ad un sistema unitario delle scienze che ha di mira il superamento della frammentarietà dei sape ri e l'arbitrarietà soggettiva della filosofia del XIX secolo. E, proprio temendo i danni che tale filosofia - difficilmente conciliabile con la rivelazione cristiana - può arrecare nella conoscenza della verità, egli muove dall'Idea dell'Essere e ne deriva ogni ulteriore conoscenza umana; e proprio a partire da tale idea fonda l'oggettività della conoscenza e dell'etica, ponendo un nuovo punto di partenza per la metafisica e la teologia. Così è l'Essere che, in quanto "essere ideale" fonda e origina la conoscenza oggettiva, in quanto "essere reale" è fondamento e principio della realtà e come "essere morale" è principio e norma della ragione e della volontà.
Da parte sua, John Henry Newman, l'iniziatore e il rappresentante più eminente del movimento di Oxford, sente d'esser chiamato a un compito peculiare: la riforma della Chiesa anglicana. In concreto ciò comporta riscattarne la sottomissione allo Stato, affrancarla dall'apostasia nazionale e salvaguardarla dal dilagante razionalismo. La verità rappresenta l'aspirazione suprema della sua vita e, con forza, egli lo attesta a tutti gli uomini di retto sentire; proprio qui sta la grandezza della sua vicenda personale. Con i suoi studi e le sue ricerche, si impegna a mostrare che tra fede e ragione non si dà contrasto e che credere non vuol dire sacrificare le prerogative della ragione e i diritti della coscienza. La coscienza - non oracolo ma organo capace di verità - non può, in nessuna maniera, per Newman, decadere a mera soggettività, piuttosto ne rappresenta il superamento, nell'incontro tra l'intimo dell'uomo e la verità che proviene da Dio.
In Antonio Rosmini e John Henry Newman si dà, in tal modo, una fondamentale riscoperta e valorizzazione del soggetto che lungo la storia, almeno in parte, era venuta meno; forse si deve risalire fino a sant'Agostino per ritrovare, nel pensiero cattolico, attenzione e analisi veramente perspicue nei confronti del soggetto; ma tale valorizzazione non si pone sul versante de lla filosofia soggettivistica - propria della modernità - ma lungo il solco tracciato dal grande vescovo d'Ippona.
domenica, luglio 30, 2006
venerdì, luglio 28, 2006
D. Z. Phillips
E' morto martedì all'età di 71 anni Dewi Zephaniah Phillips. Allievo di Rush Rhees, a sua volta allievo di Wittgenstein, Phillips ha sviluppato una filosofia della religione di ispirazione wittgensteiniana.
L'ho incontrato almeno un paio di volte, se ben ricordo. A Roma in occasione del Convegno Castelli e ad Oxford nel 2001 in occasione del congresso internazionale su Newman. Era uno dei relatori invitati e, come suo solito, fece un divertentissimo intervento. (Devo averne la registrazione da qualche parte.) Poi venne ad ascoltarmi, parlavo infatti di Newman e Wittgenstein, e si mostrò interessato al mio lavoro. Gli diedi la bozza della relazione appena letta ed il giorno dopo me la restituì con le sue severe annotazioni. La conservo ancora.
Da quell'intervento è nato un articolo poi pubblicato su New Blackfriars.
Phillips, che in gioventù era stato un pastore congregazionalista, era un uomo di spirito. Lo ricordo simpaticissimo, cordiale, di una forte presenza corporea.
E' morto nella biblioteca della sua università, a Swansea, intento a scrivere seduto alla scrivania.
PS.
Commenti qui, qui e qui.
mercoledì, luglio 26, 2006
La sinistra, i cattolici e il libertarismo
Come si pone oggi il rapporto tra valori della sinistra italiana e quelli che ispirano il pensiero cattolico riformatore? Si va verso uno scarto che si allarga o è possibile una sintesi comune? Così Aldo Schiavone, che su «Repubblica» del 10 luglio ("Se la sinistra incontra il pensiero cattolico") porta due esempi di possibile incontro: la critica all'ordine capitalistico e il nesso tra etica e politica che coinvolge i diritti umani.
Sotto il primo aspetto egli osserva giustamente che la Chiesa tiene aperta una finestra, poiché il suo discorso non è economico, ma etico e, aggiungerei, antropologico. Essa sostiene una morale universale di liberazione umana che si basa su un'antropologia della dignità di ogni uomo. Proposta liberante ed antropologia fanno tutt'uno, e la chiave centrale sta più nell'antropologia che nell'etica. Occorre riprendere una valutazione discernente del mercato che non è la panacea di tutti i mali, come intendono i liberisti duri; e rilanciare le esigenze della giustizia internazionale, che si sono da tempo enormemente rilassate e che sembra quasi solo la Chiesa a tenere deste. Saremo in grado di riportare attenzione in Italia, in specie nella sinistra, su tali aspetti?
Ne dubito perché è in corso un ricentramento intorno alle questioni etiche, bioetiche, esistenziali, più che su quelle socioeconomiche, che hanno dominato a lungo. In brevi anni l'attenzione si è ricollocata non più su temi economico-sociali ma sull'individualismo libertario e la concezione della legge civile, cui si chiede di riconoscere quasi ogni comportamento. Uno spostamento imponente nella sinistra culturale e politica, dove l'attenzione per il "fai da te", l'ammissibilità di quasi ogni stile di vita, l'autodeterminazione elevata a criterio supremo hanno sostituito precedenti riferimenti. Siamo entrati in un forte soggettivismo morale per cui si ha diritto di fare tutto ciò che si vuole col solo limite di non danneggiare l'altro (ma chi è l'altro? Questa domanda è decisiva). Nella sinistra è accaduto un duplice cambio: a) per la giustizia economica ha adottato moduli di taglio liberale sul mercato, il lavoro e la sua flessibilità con un forte richiamo al contrattualismo, lasciandosi alle spalle i paradigmi solidaristici e collettivistici di vicina o lontana ascendenza marxista; b) sui temi eticamente e antropologicamente sensibili netto è il ricorso a schemi libertari, che privilegiano soluzioni soggettivistiche o anche seccamente utilitaristiche.
Una parola - ma il tema merita ben altro - sui diritti umani che certo sono universali come ricorda Schiavone. Il problema emergente che li riguarda non sta però a questo livello. Risiede in una loro interpretazione oltranzista che lascia da parte la visione dignitaristica e segue una lettura libertaria. Da tempo si tratta la Dichiarazione del 1948 come una lista da cui si può scegliere a piacere i diritti che meglio fanno al caso nostro, ossia alla battaglia cui ci siamo votati, privilegiando nettamente i diritti di libertà. Ne è seguito un esito sconcertante: agenzie culturali, mediatiche e politiche hanno creato un insieme di frammenti iperlibertari strappati con forza dal tessuto unitario della Dichiarazione universale, e portati all'assoluto impiegando come clava il criterio di uguaglianza e di quello di non-discriminazione, invocati per far passare ogni genere di presunti diritti. Un'operazione che comporta la lesione di reali e non presunti diritti della persona e dei gruppi.
Vittorio Possenti
Avvenire, 11 luglio 2006.
Sotto il primo aspetto egli osserva giustamente che la Chiesa tiene aperta una finestra, poiché il suo discorso non è economico, ma etico e, aggiungerei, antropologico. Essa sostiene una morale universale di liberazione umana che si basa su un'antropologia della dignità di ogni uomo. Proposta liberante ed antropologia fanno tutt'uno, e la chiave centrale sta più nell'antropologia che nell'etica. Occorre riprendere una valutazione discernente del mercato che non è la panacea di tutti i mali, come intendono i liberisti duri; e rilanciare le esigenze della giustizia internazionale, che si sono da tempo enormemente rilassate e che sembra quasi solo la Chiesa a tenere deste. Saremo in grado di riportare attenzione in Italia, in specie nella sinistra, su tali aspetti?
Ne dubito perché è in corso un ricentramento intorno alle questioni etiche, bioetiche, esistenziali, più che su quelle socioeconomiche, che hanno dominato a lungo. In brevi anni l'attenzione si è ricollocata non più su temi economico-sociali ma sull'individualismo libertario e la concezione della legge civile, cui si chiede di riconoscere quasi ogni comportamento. Uno spostamento imponente nella sinistra culturale e politica, dove l'attenzione per il "fai da te", l'ammissibilità di quasi ogni stile di vita, l'autodeterminazione elevata a criterio supremo hanno sostituito precedenti riferimenti. Siamo entrati in un forte soggettivismo morale per cui si ha diritto di fare tutto ciò che si vuole col solo limite di non danneggiare l'altro (ma chi è l'altro? Questa domanda è decisiva). Nella sinistra è accaduto un duplice cambio: a) per la giustizia economica ha adottato moduli di taglio liberale sul mercato, il lavoro e la sua flessibilità con un forte richiamo al contrattualismo, lasciandosi alle spalle i paradigmi solidaristici e collettivistici di vicina o lontana ascendenza marxista; b) sui temi eticamente e antropologicamente sensibili netto è il ricorso a schemi libertari, che privilegiano soluzioni soggettivistiche o anche seccamente utilitaristiche.
Una parola - ma il tema merita ben altro - sui diritti umani che certo sono universali come ricorda Schiavone. Il problema emergente che li riguarda non sta però a questo livello. Risiede in una loro interpretazione oltranzista che lascia da parte la visione dignitaristica e segue una lettura libertaria. Da tempo si tratta la Dichiarazione del 1948 come una lista da cui si può scegliere a piacere i diritti che meglio fanno al caso nostro, ossia alla battaglia cui ci siamo votati, privilegiando nettamente i diritti di libertà. Ne è seguito un esito sconcertante: agenzie culturali, mediatiche e politiche hanno creato un insieme di frammenti iperlibertari strappati con forza dal tessuto unitario della Dichiarazione universale, e portati all'assoluto impiegando come clava il criterio di uguaglianza e di quello di non-discriminazione, invocati per far passare ogni genere di presunti diritti. Un'operazione che comporta la lesione di reali e non presunti diritti della persona e dei gruppi.
Vittorio Possenti
Avvenire, 11 luglio 2006.
sabato, luglio 22, 2006
Beautiful Letdown
It was a beautiful let down
When I crashed and burned
When I found myself alone unknown and hurt
It was a beautiful let down
The day I knew
That all the riches this world had to offer me
Would never do
In a world full of bitter pain and bitter doubt
I was trying so hard to fit in, fit in,
Until I found out
I don't belong here
I don't belong here
I will carry a cross and a song where I don't belong
But I don't belong
It was a beautiful let down
When you found me here
Yeah for once in a rare blue moon I see everything clear
I'll be a beautiful let down
That's what I'll forever be
And though it may cost my soul
I'll sing for free
We're still chasin our tails and the rising sun
And our dark water planet's
Still spinning in a race
Where no one wins and no one's one
I don't belong here
I don't belong here
I'm gonna set sight and set sail for the kingdom come
I will carry a cross and a song where I don't belong
But i don't belong
I don't belong here
I don't belong here
Kingdom come
Your kingdom come
Won't you let me down yeah
Let my foolish pride
Forever let me down
Easy living, not much like your name
Easy dying, you look just about the same
Won't you please take me off your list
Easy living please come on and let me down
We are a beautiful let down,
Painfully uncool,
The church of the dropouts
The losers, the sinners, the failures and the fools
Oh what a beautiful let down
Are we salt in the wound
Let us sing one true tune
I don't belong here
I don't belong here
I don't belong here
Feels like I don't belong here
Let me down
Let me down
Feels like I'm let down
Let me down.
Cuz I don't belong here
Please
Won't you let me down?
When I crashed and burned
When I found myself alone unknown and hurt
It was a beautiful let down
The day I knew
That all the riches this world had to offer me
Would never do
In a world full of bitter pain and bitter doubt
I was trying so hard to fit in, fit in,
Until I found out
I don't belong here
I don't belong here
I will carry a cross and a song where I don't belong
But I don't belong
It was a beautiful let down
When you found me here
Yeah for once in a rare blue moon I see everything clear
I'll be a beautiful let down
That's what I'll forever be
And though it may cost my soul
I'll sing for free
We're still chasin our tails and the rising sun
And our dark water planet's
Still spinning in a race
Where no one wins and no one's one
I don't belong here
I don't belong here
I'm gonna set sight and set sail for the kingdom come
I will carry a cross and a song where I don't belong
But i don't belong
I don't belong here
I don't belong here
Kingdom come
Your kingdom come
Won't you let me down yeah
Let my foolish pride
Forever let me down
Easy living, not much like your name
Easy dying, you look just about the same
Won't you please take me off your list
Easy living please come on and let me down
We are a beautiful let down,
Painfully uncool,
The church of the dropouts
The losers, the sinners, the failures and the fools
Oh what a beautiful let down
Are we salt in the wound
Let us sing one true tune
I don't belong here
I don't belong here
I don't belong here
Feels like I don't belong here
Let me down
Let me down
Feels like I'm let down
Let me down.
Cuz I don't belong here
Please
Won't you let me down?
venerdì, luglio 21, 2006
Joshua Michael
Regina Doman, 36 anni, è una scrittrice americana di romanzi per adolescenti. Oltre al talento naturale le è sicuramente d'aiuto nella scrittura l'esperienza accumulata crescendo i suoi sei bimbi.
L'incubo di ogni madre è di vedere morire il proprio figlio. A Regina è capitato di peggio. L'8 luglio scorso, spostando la macchina in un parcheggio, ha investito involontariamente Joshua Michael, il figlioletto che fra qualche giorno avrebbe compiuto cinque anni. Il bimbo è morto fra le sue braccia, di fronte agli altri figli.
Non ci sono parole per commentare una tragedia simile, se non le parole della madre stessa.
Mentre scrivevo queste righe qualcuno mi ha detto: Perchè vuoi fare intristire i tuoi lettori? Avranno già i loro problemi.
Leggete, leggete quanto ha scritto questa madre. Non c'è niente di triste. Doloroso sì, tragico, ma non triste.
I remember him asking me about Jesus' death:
"Why did He have to die on the cross?
Why did they take His clothes off?
Why did He have blood on Him?
Did it hurt?
Why did the soldiers do that to Him?"
And I would give him the answers over and over again:
He did it because He loves us.
He did it because He is always with us.
He did us to help us because He knew we would suffer.
So that we would know that our God also knows how to suffer.
He is always so close to us.
Especially when we suffer.
I know Joshua is so close to Him now. And so are all of us, who are suffering without him.
giovedì, luglio 20, 2006
Veto
Like all Americans, I believe our nation must vigorously pursue the tremendous possibility that science offers to cure disease and improve the lives of millions. We have opportunities to discover cures and treatments that were unthinkable generations ago. Some scientists believe that one source of these cures might be embryonic stem cell research. Embryonic stem cells have the ability to grow into specialized adult tissues, and this may give them the potential to replace damaged or defective cells or body parts and treat a variety of diseases.
Yet we must also remember that embryonic stem cells come from human embryos that are destroyed for their cells. Each of these human embryos is a unique human life with inherent dignity and matchless value. We see that value in the children who are with us today. Each of these children began his or her life as a frozen embryo that was created for in vitro fertilization, but remained unused after the fertility treatments were complete. Each of these children was adopted while still an embryo, and has been blessed with the chance to grow up in a loving family.
These boys and girls are not spare parts. (Applause.) They remind us of that is lost when embryos are destroyed in the name of research. They remind us that we all begin our lives as a small collection of cells. And they remind us that in our zeal for new treatments and cures, America must never abandon our fundamental morals.
Caro George, questa volta hai proprio ragione.
Israele
Nei giorni scorsi, presso gli uffici dell’Ambasciata israeliana, la Presidenza Nazionale della FUCI ha incontrato l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, dott. Oded Ben-Hur.
L’incontro è nato dal desiderio di avviare un percorso di educazione tra le giovani generazioni, innescando un processo di conoscenza reciproca tra la comunità ebraica e la comunità cattolica italiana.
Come dichiarato in un comunicato stampa pubblicato all’indomani dell’incontro, tale iniziativa “ha rappresentato una prima occasione di riflessione ed ha gettato le basi di un progetto che si prefigge di instaurare un dialogo e una comunione in grado di andare oltre i luoghi comuni, concentrandosi sull’educazione dei singoli, agendo sulle coscienze, curando la formazione personale verso un radicale cambiamento di vita e di prospettiva, (…) in continuità con il proprio credo e le proprie radici culturali”.
È una scelta, questa, che si colloca nella tradizione fucina, esperienza forte di dialogo ed incontro, di prossimità vissuta tra ricerca e fraternità.
A proposito di Israele, mi pare opportuno riprendere quanto scriveva il mio vescovo nel 2002.
Per amore di Israele non posso tacere
di Bruno Forte
Amo Israele: nella sua storia plurimillenaria, nella sua fede monoteistica, nei testi della Torah - la Legge santa rivelata -, riconosco le radici della mia cultura e della mia fede di cristiano. Considero l'antisemitismo una delle forme più crudeli e sofisticate di barbarie, una violenza che nega anzitutto chi la esercita, perché rinnega i fondamenti stessi della convivenza umana che Israele ha offerto alla storia attraverso il dono - ricevuto e trasmesso - dei dieci comandamenti, le Dieci Parole osservando le quali l'uomo è e si vuole veramente umano, chiamato a un destino superiore al mero gioco dei fattori fisici e biologici.
Da uomo di pensiero e da credente non posso che rallegrarmi della netta condanna dell'antisemitismo venuta in questi decenni dalla Chiesa, ed in particolare della storica richiesta di perdono che Giovanni Paolo II ha voluto per tutte le colpe che i cristiani possono aver commesso nel tempo contro gli ebrei.
È proprio questo profondo amore a Israele e la convinzione che ho riguardo al suo diritto ad esistere come nazione libera fra le nazioni del mondo nella terra dei Padri, che mi spinge a sottolineare una distinzione che in questi giorni mi sembra sia stata oscurata da parte di molti. È la distinzione fra Israele, come radice santa di fede ed ethos costitutivi del Cristianesimo e dell'Occidente, e la politica del governo democraticamente eletto nello Stato ebraico. Questa politica si esprime oggi in una linea precisa, che ha determinato una svolta tragica nel cammino da anni avviato del processo di pace in Terra Santa: è la linea della guerra senza risparmio di colpi, la linea di Ariel Sharon. Per amore a Israele e al patrimonio di fede e civiltà che dal popolo ebraico viene a tutti noi, ritengo che sia dovere di tutti rigettare con la più ferma convinzione la spirale di odio e di violenza che questa linea ha prodotto sin dal giorno in cui _ non ancora al potere _ l´attuale Premier inscenò la sua provocazione sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme. Da allora l'«escalation» della violenza è cominciata: se fermissima deve essere la condanna del barbaro terrorismo di alcuni palestinesi e chiaro il richiamo ad Arafat perché ad essa si unisca senza cedimenti, non meno ferma deve essere la condanna nei confronti della violenza esercitata dall'esercito israeliano su un popolo oppresso da decenni, violenza che ha raggiunto in questi giorni i volti più efferati, dall'uccisione di civili innocenti, di donne e di bambini inermi, alla negazione del soccorso medico e umanitario, alla profanazione dei luoghi sacri su cui si è sparato, al serio rischio di compromettere lo «status quo» che vige da secoli fra le religioni in Terra Santa.
Per amore di Israele, della sua dignità, della sua immagine nel mondo mi unisco a ogni coscienza civile che grida: fermate questa guerra! È quanto perfino il grande alleato di Israele, l'America, ha cominciato a fare, forse troppo tardi. Questo grido non ha nulla dell'antisemitismo, con buona pace di chi vorrebbe bloccarlo come presunta prova di come l'Occidente abbia tradito gli Ebrei. Si tratta anzi di un grido d'amore per Israele e per lo Stato ebraico: se non si ferma la violenza del più forte, neanche la violenza terroristica si fermerà. Lo Stato ebraico deve essere all'altezza delle esigenze etiche di cui la fede d'Israele è portatrice: guai a chi colpirà Caino, afferma la Torah dopo l'efferato assassinio del giusto Abele da questi commesso; «non uccidere», ordinano le Dieci Parole! Israele deve questa testimonianza al mondo: perciò non può non pretendere da chi lo rappresenta sulla scena del potere politico di attenersi ai dettati fondamentali della Legge del Dio unico, cui oggi si unisce il grido unanime di tutte le potenze della terra. E un primo esempio significativo di questa svolta deve essere il ritiro incondizionato e immediato da Betlemme, perché la Basilica della Natività torni ad essere ciò che da sempre è stata: un luogo di pace e di perdono, di vita e non di morte, di speranza e non di violenza cieca e senza futuro. In nome del Dio d'Israele, in nome del Padre di tutti, dobbiamo tutti fare nostro il grido dei Patriarchi cristiani di Gerusalemme: fermate le armi! Si fermi il più forte, perché anche gli altri, i terroristi accecati dalla sete di vendetta, si ritrovino spuntata l'arma più terribile di cui dispongono, quella dell'odio fatto germinare nel cuore degli innocenti, dei poveri, dei senza speranza. Per amore d'Israele non tacerò, chiedendo pace e giustizia per i Palestinesi, fratelli nostri nell'unica discendenza dei figli di Abramo.
L’incontro è nato dal desiderio di avviare un percorso di educazione tra le giovani generazioni, innescando un processo di conoscenza reciproca tra la comunità ebraica e la comunità cattolica italiana.
Come dichiarato in un comunicato stampa pubblicato all’indomani dell’incontro, tale iniziativa “ha rappresentato una prima occasione di riflessione ed ha gettato le basi di un progetto che si prefigge di instaurare un dialogo e una comunione in grado di andare oltre i luoghi comuni, concentrandosi sull’educazione dei singoli, agendo sulle coscienze, curando la formazione personale verso un radicale cambiamento di vita e di prospettiva, (…) in continuità con il proprio credo e le proprie radici culturali”.
È una scelta, questa, che si colloca nella tradizione fucina, esperienza forte di dialogo ed incontro, di prossimità vissuta tra ricerca e fraternità.
A proposito di Israele, mi pare opportuno riprendere quanto scriveva il mio vescovo nel 2002.
Per amore di Israele non posso tacere
di Bruno Forte
Amo Israele: nella sua storia plurimillenaria, nella sua fede monoteistica, nei testi della Torah - la Legge santa rivelata -, riconosco le radici della mia cultura e della mia fede di cristiano. Considero l'antisemitismo una delle forme più crudeli e sofisticate di barbarie, una violenza che nega anzitutto chi la esercita, perché rinnega i fondamenti stessi della convivenza umana che Israele ha offerto alla storia attraverso il dono - ricevuto e trasmesso - dei dieci comandamenti, le Dieci Parole osservando le quali l'uomo è e si vuole veramente umano, chiamato a un destino superiore al mero gioco dei fattori fisici e biologici.
Da uomo di pensiero e da credente non posso che rallegrarmi della netta condanna dell'antisemitismo venuta in questi decenni dalla Chiesa, ed in particolare della storica richiesta di perdono che Giovanni Paolo II ha voluto per tutte le colpe che i cristiani possono aver commesso nel tempo contro gli ebrei.
È proprio questo profondo amore a Israele e la convinzione che ho riguardo al suo diritto ad esistere come nazione libera fra le nazioni del mondo nella terra dei Padri, che mi spinge a sottolineare una distinzione che in questi giorni mi sembra sia stata oscurata da parte di molti. È la distinzione fra Israele, come radice santa di fede ed ethos costitutivi del Cristianesimo e dell'Occidente, e la politica del governo democraticamente eletto nello Stato ebraico. Questa politica si esprime oggi in una linea precisa, che ha determinato una svolta tragica nel cammino da anni avviato del processo di pace in Terra Santa: è la linea della guerra senza risparmio di colpi, la linea di Ariel Sharon. Per amore a Israele e al patrimonio di fede e civiltà che dal popolo ebraico viene a tutti noi, ritengo che sia dovere di tutti rigettare con la più ferma convinzione la spirale di odio e di violenza che questa linea ha prodotto sin dal giorno in cui _ non ancora al potere _ l´attuale Premier inscenò la sua provocazione sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme. Da allora l'«escalation» della violenza è cominciata: se fermissima deve essere la condanna del barbaro terrorismo di alcuni palestinesi e chiaro il richiamo ad Arafat perché ad essa si unisca senza cedimenti, non meno ferma deve essere la condanna nei confronti della violenza esercitata dall'esercito israeliano su un popolo oppresso da decenni, violenza che ha raggiunto in questi giorni i volti più efferati, dall'uccisione di civili innocenti, di donne e di bambini inermi, alla negazione del soccorso medico e umanitario, alla profanazione dei luoghi sacri su cui si è sparato, al serio rischio di compromettere lo «status quo» che vige da secoli fra le religioni in Terra Santa.
Per amore di Israele, della sua dignità, della sua immagine nel mondo mi unisco a ogni coscienza civile che grida: fermate questa guerra! È quanto perfino il grande alleato di Israele, l'America, ha cominciato a fare, forse troppo tardi. Questo grido non ha nulla dell'antisemitismo, con buona pace di chi vorrebbe bloccarlo come presunta prova di come l'Occidente abbia tradito gli Ebrei. Si tratta anzi di un grido d'amore per Israele e per lo Stato ebraico: se non si ferma la violenza del più forte, neanche la violenza terroristica si fermerà. Lo Stato ebraico deve essere all'altezza delle esigenze etiche di cui la fede d'Israele è portatrice: guai a chi colpirà Caino, afferma la Torah dopo l'efferato assassinio del giusto Abele da questi commesso; «non uccidere», ordinano le Dieci Parole! Israele deve questa testimonianza al mondo: perciò non può non pretendere da chi lo rappresenta sulla scena del potere politico di attenersi ai dettati fondamentali della Legge del Dio unico, cui oggi si unisce il grido unanime di tutte le potenze della terra. E un primo esempio significativo di questa svolta deve essere il ritiro incondizionato e immediato da Betlemme, perché la Basilica della Natività torni ad essere ciò che da sempre è stata: un luogo di pace e di perdono, di vita e non di morte, di speranza e non di violenza cieca e senza futuro. In nome del Dio d'Israele, in nome del Padre di tutti, dobbiamo tutti fare nostro il grido dei Patriarchi cristiani di Gerusalemme: fermate le armi! Si fermi il più forte, perché anche gli altri, i terroristi accecati dalla sete di vendetta, si ritrovino spuntata l'arma più terribile di cui dispongono, quella dell'odio fatto germinare nel cuore degli innocenti, dei poveri, dei senza speranza. Per amore d'Israele non tacerò, chiedendo pace e giustizia per i Palestinesi, fratelli nostri nell'unica discendenza dei figli di Abramo.
mercoledì, luglio 19, 2006
Thesis
lunedì, luglio 17, 2006
Ireland
Parliamo d'Irlanda, cominciando con la segnalanzione di Blogorrah, un blog di costume e società. Aggiornato dieci volte al giorno, dà veramente l'idea di quanto accade da queste parti.
La notizia del giorno, oltre al caldo insolito, è che Stringfellows, celebre club di lapdance, ha chiuso per mancanza di clienti. Sei mesi fa la sua apertura aveva suscitato vivaci proteste della popolazione locale, proteste che sono continuate fino ad ora per tre sere a settimana e che hanno allontanato i potenziali clienti.
Il direttore del marketing ha espresso il proprio disappunto dichiarando che quel che è accaduto va il contro il progresso e la democrazia. Il nesso tra lapdance e democrazia ci sfugge ma ci documenteremo.
La notizia non del giorno ma del mese o dell'anno è che l'Irlanda è la seconda nazione al mondo per ricchezza procapite, dopo il Giappone. L'anno scorso era terza.
Quella che fino a venti anni fa era una terra di emigranti, tra le più povere d'Europa, ora pare sia il paradiso dei milionari: oltre 30.000 su una popolazione che non arriva a 5 milioni di abitanti. Almeno 300 di loro hanno più di 30 milioni di euro, 60 miliardi di vecchie lire. (Io, come sapete, sono cittadino italiano e quindi non rientro nella statistica). In dieci anni la ricchezza è cresciuta del 350%!
Maggiori dettagli qui.
Un'ultima curiosità, se passeggiando per Dublino incontrate Riccardo Cocciante non stupitevi, infatti risiede qui da anni. In Irlanda gli artisti non pagano tasse, per questo molti cantanti e scrittori stranieri decidono di trasferirsi da queste parti.
Restate collegati
Se questo blog è stato aggiornato poco ultimamente non è perché siamo in vacanza. Magari! E' proprio perché ho lavorato intensamente.
Agli inizi di giugno la tesi di dottorato era pronta. Riveduta e corretta, con tanto di bibliografia e ringraziamenti ma al professore è parsa troppo corta. Insomma, ha voluto un altro capitolo. Ora, non è facile introdurre un ulteriore capitolo in un'opera già completa ma le imprese difficili ci piacciono. E così in poco più di un mese, nonostante un matrimonio in Italia ed il convegno in Inghilterra, ho scritto un numero di pagine equivalente più o meno a quanto avevo scritto in un anno. Mercoledì scopriremo se bastano o se il supervisore vuole dell'altro.
Intanto io ho collezionato abbozzi di interventi che volevo spedire sul blog, ora cercherò di recuperarli.
Stay tuned!
Agli inizi di giugno la tesi di dottorato era pronta. Riveduta e corretta, con tanto di bibliografia e ringraziamenti ma al professore è parsa troppo corta. Insomma, ha voluto un altro capitolo. Ora, non è facile introdurre un ulteriore capitolo in un'opera già completa ma le imprese difficili ci piacciono. E così in poco più di un mese, nonostante un matrimonio in Italia ed il convegno in Inghilterra, ho scritto un numero di pagine equivalente più o meno a quanto avevo scritto in un anno. Mercoledì scopriremo se bastano o se il supervisore vuole dell'altro.
Intanto io ho collezionato abbozzi di interventi che volevo spedire sul blog, ora cercherò di recuperarli.
Stay tuned!
martedì, luglio 11, 2006
Fabio Grosso, orgoglio abruzzese
Finali del campionato mondiale di calcio, ultimo rigore, quello decisivo e sul dischetto va Fabio Grosso. Dentro le sue vene scorre sangue ''sangiovannese'' e tutto il paese è col fiato sospeso prima del liberatorio grido di esultanza. Il fato ha voluto che il goal che ha regalato la coppa del mondo all'Italia lo tirasse proprio lui, il figlio illustre del piccolissimo centro montano dell'entroterra Vastese, ''un piccolo Grosso paese'' come ha commentato qualcuno subito dopo la partita. L'intero paese c'era l'altra sera in piazza a tifare per Fabio Grosso, l'eroe nazionale originario proprio di San Giovanni Lipioni, al grido scandito e ripetuto di ''vai paisà''. Un compaesano di cui vanno tutti fieri, soprattutto perché proprio lui ha messo la firma sull'ultimo goal, quello più importante degli altri. Non stavano più nella pelle per la gioia il vicesindaco Mario Grosso, che non è un parente del campione nazionale nonostante il cognome, e l'assessore Rinaldo Antonio Rossi. ''E' stato straordinario, ha calciato quel rigore con una freddezza da vero campione, siamo tutti orgogliosi di avere un nostro rappresentate che è diventato campione del mondo'' ha commentato a caldo, tra abbracci e grida di gioia, il vicesindaco Grosso. ''Noi tutti, tutto il paese è diventato con lui campione, siamo tutti campioni! - ha ripetuto quasi in lacrime per la gioia l'assessore Rossi che ha con il calciatore un bisnonno comune - Nelle sue vene scorre il nostro stesso sangue, sangue di San Giovanni, di questa terra''. E anche nel piccolo centro montano, come in tutta Italia, si è continuato a festeggiare per tutta la notte, per le vie e le piazze del paese, con i caroselli di macchine e un tripudio di bandiere tricolori. Intanto si pensa già alla festa estiva che sarà dedicata proprio a Fabio Grosso il quale sarà invitato in paese grazie all'impegno dello zio, Felice Grosso, cugino del padre del nazionale, che sta premendo sui familiari per concedere a San Giovanni l'onore della presenza dell'eroe del momento.
...
(8 luglio) La spettacolare vittoria della Nazionale contro la Germania ha riempito d'orgoglio tutti gli italiani, ma in particolar modo gli abruzzesi, proprio perché il protagonista dell'impresa è stato Fabio Grosso, pescarese, cresciuto calcisticamente in C1 nella squadra del Chieti. Con impegno e umiltà, ma sicuramente grazie anche alla ''testardaggine'' tipica degli abruzzesi, Fabio Grosso ha bruciato le tappe della carriera calcistica passando in pochissimi anni dai campi di calcio di provincia, nel campionato di C1, alle massime sfere del calcio mondiale. Da esordiente a match winner, orgoglio di tutto l'Abruzzo, il calciatore è diventato la star del momento, e tutti adesso lo tirano simpaticamente per la giacca, la città di Pescara dove è vissuto, e Chieti dove ha giocato. A questo divertente gioco di rivendicare quasi la paternità del giocatore si è aggiunto, e a buon diritto, anche San Giovanni Lipioni, piccolissimo, ma delizioso centro montano dell'Alto Vastese. E' proprio qui infatti che possono essere fatte risalire le origini di Fabio Grosso, come ci ha confermato lo stesso sindaco Angelo Di Prospero. ''Suo padre Tonino ha giocato per anni con la squadra di San Giovanni - dice con evidente orgoglio il primo cittadino - e anche Fabio tornava spesso a trascorrere le vacanze qui in paese quando era ragazzo''. ''Oggi a San Giovanni Lipioni - continua Angelo Di Prospero - abbiamo un motivo in più per seguire la Nazionale, e siamo tutti molto orgogliosi che un figlio della nostra terra sia arrivato a quei livelli''. Per la fine del mese di luglio o in agosto il Sindaco sta pensando di organizzare una cerimonia ufficiale in paese, alla quale ovviamente sarà invitato a partecipare Fabio Grosso, proprio per esprimere l'affetto e l'orgoglio dei cittadini di San Giovanni Lipioni nei confronti del loro illustre concittadino, divenuto ''eroe nazionale''.
Francesco Bottone
sabato, luglio 08, 2006
La cattedrale di Durham, che meraviglia!
I'm afraid it's been too long to try to find the reasons why
I let my world close in around a smaller patch of fading sky
But now I've grown beyond the walls to where I've never been
And it's still winter in my wonderland
I'm waiting for the world to fall
I'm waiting for the scene to change
I'm waiting when the colors come
I'm waiting to let my world come undone
I close my eyes and try to see the world unbroken underneath
The farther off and already it just might make the life I lead
A little more than make-believe when all my skies are painted blue
And the clouds don't ever change the shape of who I am to You
I'm waiting for the world to fall
I'm waiting for the scene to change
I'm waiting when the colors come
I'm waiting to let my world come undone
When I catch the light of falling stars my view is changing me
My view is changing me
I'm waiting
mercoledì, luglio 05, 2006
See you soon
Si parte. Nello zaino ci sarà Chesterton, mi ha convinto Samuele. (Ma chi sei?)
Mi aspettavo qualche consiglio in più dai miei lettori. Ma come siete timidi! Ieri 103 visite, oggi oltre 200 previste, e mi lasciate solo un paio di commenti? Sveglia!
Comunque, un grande grazie alla nazionale di calcio.
La finale la vedrò ad Edimburgo, amici iberno-scozzesi permettendo.
And at the show on Tuesday
She was in her mindset
Tempered furs and spangled boots
Looks are deceiving
Make me believe it
And these tiresome paper dreams
Paper dreams, honey
Yeah
Mi aspettavo qualche consiglio in più dai miei lettori. Ma come siete timidi! Ieri 103 visite, oggi oltre 200 previste, e mi lasciate solo un paio di commenti? Sveglia!
Comunque, un grande grazie alla nazionale di calcio.
La finale la vedrò ad Edimburgo, amici iberno-scozzesi permettendo.
And at the show on Tuesday
She was in her mindset
Tempered furs and spangled boots
Looks are deceiving
Make me believe it
And these tiresome paper dreams
Paper dreams, honey
Yeah
martedì, luglio 04, 2006
Reading dilemmas
Facendo la valigia, pensavo: cosa mi porto da leggere questi 5 giorni in Inghilterra?
L'alternativa era tra il De officiis di Cicerone e Orthodoxy di Chesterton. Il primo ha il pregio di essere un piccolo volume, nonostante il testo a fronte. Anche se, a dire la verità, per capirlo a fondo dovrei portarmi anche l'ottimo di commento di Andrew Dyck, 700 pagine!
Il secondo è una pura goduria intellettuale, sia per lo stile che per i paradossi. Ero arrivato a leggerne tre quarti qualche mese fa e vorrei finirlo. Però è un'edizione antica, non vorrei rovinarlo. Sai com'è, l'aereo, la valigia, ...
Insomma, m'ero quasi deciso per Cicerone -senza commento ovviamente- quando vedo che il Piccolo Zaccheo per l'estate ci consiglia proprio Ortodossia, ossia la traduzione italiana del capolavoro di Chesterton.
Un segno del destino?
Non so, non mi sono ancora deciso.
Partirò mercoledì pomeriggio, accetto consigli. Ditemi: Cicerone o Chesterton?
E visto che ci siete, consigliatemi un altro libro da leggere durante l'estate.
Solo uno, mi raccomando.
L'alternativa era tra il De officiis di Cicerone e Orthodoxy di Chesterton. Il primo ha il pregio di essere un piccolo volume, nonostante il testo a fronte. Anche se, a dire la verità, per capirlo a fondo dovrei portarmi anche l'ottimo di commento di Andrew Dyck, 700 pagine!
Il secondo è una pura goduria intellettuale, sia per lo stile che per i paradossi. Ero arrivato a leggerne tre quarti qualche mese fa e vorrei finirlo. Però è un'edizione antica, non vorrei rovinarlo. Sai com'è, l'aereo, la valigia, ...
Insomma, m'ero quasi deciso per Cicerone -senza commento ovviamente- quando vedo che il Piccolo Zaccheo per l'estate ci consiglia proprio Ortodossia, ossia la traduzione italiana del capolavoro di Chesterton.
Un segno del destino?
Non so, non mi sono ancora deciso.
Partirò mercoledì pomeriggio, accetto consigli. Ditemi: Cicerone o Chesterton?
E visto che ci siete, consigliatemi un altro libro da leggere durante l'estate.
Solo uno, mi raccomando.
domenica, luglio 02, 2006
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