lunedì, giugno 28, 2010
VIII Chesterton Day
Venerdì prossimo interverrò al Chesterton Day, all'interno della Festa del beato Pier Giorgio Frassati che si svolge ogni anno a Grottammare grazie al grandissimo Marco Sermarini.
Dovrei parlare di Chesterton e Newman.
sabato, giugno 26, 2010
Il caso Papini, ribelle dimenticato
E a sostenere questo errore tipicamente italiano c’è stato uno scrittore del calibro di Jorge Luis Borges che aveva detto: «Sospetto che Papini sia stato immeritatamente dimenticato». Un sospetto che, in questi anni, ha dimostrato la sua implacabile verità, perché il "ritorno" di Papini è sempre stato rimandato, a differenza di altri "irregolari" che invece hanno suscitato un curioso interesse, come nel caso di Malaparte. Speriamo, ora che arriva, edito nella meritoria collana dei "classici cristiani" di Cantagalli, finalmente in libreria, la ristampa di un libro-cardine nella sua esperienza di scrittore, Sant’Agostino (pagine 254, euro 18,00), che ci si disponga finalmente a riaprire il "caso" Papini, prima dissacratore, ateo, ribelle poi convertito al cristianesimo (nel 1921), in una dimensione tutta sua, quasi controcorrente.
Nell’ampia e importante prefazione al libro Carlo Lapucci, lo inquadra come «uomo di polemica e di critica, con tutti i difetti del polemista sarcastico, orgoglioso e mai soddisfatto, anche se disordinatamente, ha contribuito allo svecchiamento di un’Italia ancora piccola e conformista», ma mette anche in rilievo il segno di un’irrequietezza che diventa «la chiave nella quale va letto oggi Papini: i difetti sono gl’ingredienti di cui è fatta una personalità singolarissima e tutta italiana con l’ansia di trovare, scoprire, distruggere e rinnovare», con due temi che segnano il suo tormento e la sua meditazione: Dio e il Male.
La figura di Sant’Agostino diventa ai suoi occhi una sorta di alter-ego, con il quale confrontarsi proprio su questi due temi. E il Santo d’Ippona diventa decisivo per la sua maturazione, una sorta di inconsapevole inseguimento della sua storia pubblica e interiore che avviene fin dai tempi dell’infanzia e della giovinezza, quando ne sente parlare da una sua zia o quando alla Galleria degli Uffizi vede una piccola tela di Sandro Botticelli, rimanendo affascinato, come sottolinea lui stesso, da quel «singolare colloquio tra la sacra vecchiezza e l’ingenua puerizia dinanzi al gran mare chiaro e deserto».
È la gioventù inoltrata a offrirgli l’incontro risolutivo, attraverso la lettura delle Confessioni. È ancora presto per trovare una corrispondenza piena al nodo metafisico, ma la dimensione umana dell’esperienza di Agostino diventa per lui fondamentale: «Posso dire che prima di tornare a Cristo, Sant’Agostino fu, con Pascal, l’unico scrittore cristiano ch’io leggessi con ammirazione non soltanto intellettuale. E quando mi dibattevo per uscire dalle cantine dell’orgoglio a respirare l’aria divina dell’assoluto, Sant’Agostino mi fu di gran soccorso».
Del resto il giovane Papini, nella sua irrequietezza, si ritrova in una dimensione quasi a specchio rispetto a quella agostiniana, tanto che non ha problemi a scrivere: «Gli somigliavo, si capisce, nel peggio, ma insomma gli somigliavo. E che un uomo a quel modo, così vicino a me nelle debolezze, fosse arrivato a rinascere e a rifarsi mi rincorava».
La biografia esce nel 1929, ma per Papini è una sorta di debito morale, che ha più volte rimandato: «Da un pezzo meditavo di scriver questa vita, ma, preso da un’opera che mi pareva di gran lunga più importante, l’avevo sempre rimandata, senza mai rinunziarvi, finchè la voglia mi ha vinto e mi ha forzato a sciogliere il voto».
Qualcuno potrebbe obiettare che la "vita" di Papini possa sembrare datata, visti gli studi e le ricostruzioni biografiche che del Vescovo di Ippona, sono state fatte: va detto invece che la biografia di Papini stupisce proprio perché pensata da un grande scrittore che ha scelto di raccontare, al di là delle competenze critico-testuali necessarie, ponendosi nella condizione di ogni lettore, che vuole capire il senso dell’esperienza agostiniana. E la sua costante attualità. Così non sceglie né l’aspetto puramente biografico, né quello dell’illustrazione del suo pensiero, bensì segue la necessità di scrivere, «come artista e come cristiano, la storia di un’anima e anche gli accenni alla sua opera immensa non sono altro che assaggi, necessari per illuminare meglio il suo spirito e per dare un’idea meno monca della sua grandezza».
Evitando così il rischio dell’agiografia a tutti i costi, soprattutto nella volontà che è anche la novità sostanziale che anche storicamente rappresenta questa biografia, di non voler celare o soprassedere sugli aspetti negativi della vita del Santo, osservandoli nella prospettiva del percorso di Redenzione. Per un bisogno di verità rispetto alla rappresentazione anche del Male: «Non ho nascosta o velata nessuna delle colpe di Agostino giovane, a differenza di certi panegiristi di buona volontà ma di poco senno, i quali si studiano di ridurre quasi a nulla la peccaminosità dei convertiti e dei santi, non pensando che proprio nell’esser riusciti a risalire dal letamaio alle stelle consiste la loro gloria e si manifesta la potenza della Grazia».
Fulvio Panzeri
Avvenire, 25 giugno 2010
giovedì, giugno 24, 2010
Il nuovo libro di Paolo Gulisano su Newman
Un'agile biografia per conoscere l'uomo che sta dietro il teologo, il filosofo, il cardinale, il prosatore e il più autorevole apologista della fede che abbia prodotto la Gran Bretagna: John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto 1890).Questo libro si sofferma sui passaggi fondamentali della biografia del nuovo beato, sottolineando la sua figura di intellettuale moderno, capace cioè di dire le ragioni della fede cristiana accettando in pieno la sfida culturale e intellettuale d'oggi.La figura di Newman ha inaugurato il filone dei «grandi convertiti inglesi» (Chesterton, Marshall, Waugh... fino all'ex premier Tony Blair).
Benedetto XVI sarà nel Regno Unito dal 16 al 19 settembre 2010 e la visita si concluderà con la beatificazione di Newman, fortemente voluta dal Papa.
JOHN HENRY NEWMAN
Profilo di un cercatore di Verità
PAGG.: 160
PREZZO: 13,00 euro
FORMATO: 14,5*21
ISBN: 978-88-514-0770-4
Prefazione del card. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna
In libreria a partire
dal 23 giugno 2010
mercoledì, giugno 23, 2010
If I stand
There's more that rises in the morning
Than the sun
And more that shines in the night
Than just the moon
It's more than just this fire here
That keeps me warm
In a shelter that is larger
Than this room
And there's a loyalty that's deeper
Than mere sentiments
And a music higher than the songs
That I can sing
The stuff of Earth competes
For the allegiance
I owe only to the giver
Of all good things
So if I stand let me stand on the promise
That you will pull me through
And if I can't, let me fall on the grace
That first brought me to You
And if I sing let me sing for the joy
That has born in me these songs
And if I weep let it be as a man
Who is longing for his home
There's more that dances on the prairies
Than the wind
More that pulses in the ocean
Than the tide
There's a love that is fiercer
Than the love between friends
More gentle than a mother's
When her baby's at her side
And there's a loyalty that's deeper
Than mere sentiments
And a music higher than the songs
That I can sing
The stuff of Earth competes
For the allegence
I owe only to the Giver
Of all good things
And if I weep let it be as a man
Who is longing for his home.
Rich Mullins/ Jars of Clay
martedì, giugno 22, 2010
Wind Rose Hotel
lunedì, giugno 21, 2010
Newman a Leonforte
Il 4 giugno scorso nella cittadina siciliana è stato commemorato questo episodio.
Qui maggiori particolari."
venerdì, giugno 18, 2010
By the babe unborn - Dal bambino non nato
Spesso si dice che solo un poeta può tradurre un poeta e qui ne abbiamo la prova.
BY THE BABE UNBORN
If trees were tall and grasses short,
As in some crazy tale,
If here and there a sea were blue
Beyond the breaking pale,
If a fixed fire hung in the air
To warm me one day through,
If deep green hair grew on great hills,
I know what I should do.
In dark I lie: dreaming that there
Are great eyes cold or kind,
And twisted streets and silent doors,
And living men behind.
Let storm-clouds come: better an hour,
And leave to weep and fight,
Than all the ages I have ruled
The empires of the night.
I think that if they gave me leave
Within that world to stand,
I would be good through all the day
I spent in fairyland.
They should not hear a word from me
Of selfishness or scorn,
If only I could find the door,
If only I were born.
DAL BAMBINO NON NATO
Se l’erba fosse bassa e alti gli alberi,
come in un folle mito,
se qui e là un mare si estendesse
azzurro e proibito,
se un fuoco stesse appeso su nell’aria
il giorno a riscaldarmi,
se verdi chiome i colli ricoprissero,
io saprei comportarmi.
Nel buio giaccio: sogno grandi occhi
gelidi oppur clementi,
e vie tortuose e porte silenziose,
e dietro dei viventi.
Che venga la tempesta: meglio un’ora,
aperta a pianti e lotte,
di tutti i secoli che ho dominato
gli imperi della notte.
Nel paese fatato, questo credo,
se l’entrata ottenessi,
per l’intera giornata sarei buono
che laggiù rimanessi.
Nessuna mia parola avara o ria
raggiungerebbe essi,
se soltanto mi aprissero la porta,
se solo io nascessi.
giovedì, giugno 17, 2010
E verrà
E Verrà ...
parole e musica di Claudio Chieffo
E verrà come il sole che sorge al mattino,
volerà come il vento che vola lontano,
canterà , canterà come canta un bambino,
correrà come chi vuole dirti:
“E’ vicino! Il Signore é qui!”
Corre chi sa di portare una buona notizia,
corre sicuro e guarda davanti a sè,
come colui che conosce la vera giustizia,
corre sicuro e guarda davanti a sè.
E verrà come il sole che sorge al mattino,
volerà come il vento che vola lontano,
canterà , canterà come canta un bambino,
correrà come chi vuole dirti:
“E’ vicino! Il Signore è qui!”
Voglio cantarti Signore finchè avrò respiro,
voglio cantarti e stare vicino a Te,
niente mi può più fermare perchè Tu sei vero,
corro sicuro e guardo davanti a me.
E verrà come il sole che sorge al mattino,
volerà come il vento che vola lontano,
canterà, canterà come canta un bambino,
correrà come chi vuole dirti:
“E’ vicino! Il Signore è qui!”
mercoledì, giugno 16, 2010
La forza della vita [La giornata]
Andrea Bocelli si è stupito quando ha cominciato a ricevere telefonate da tutto il mondo, cioè più telefonate del solito. Volevano sapere di quel messaggio ripreso dai giornali, in cui racconta di sua madre incinta a cui in ospedale era stato consigliato di abortire e che non aveva ascoltato il consiglio. “Ho detto quelle cose un anno e mezzo fa, in un videomessaggio per padre Richard Frechette (padre Rick), un missionario che lavora per i bambini di Haiti e meriterebbe lui solo un romanzo".
Continua sul sito del Foglio.it
"martedì, giugno 15, 2010
Vivo Altrove
Claudia Cucchiarato, Vivo Altrove. Bruno Mondadori, 2010, 228 pp. 18€
La categoria degli “italiani all’estero” di tanto in tanto, vuoi per vicende elettorali, vuoi per il suo essere cartina al tornasole vera o presunta di molti malesseri, richiama a fasi alterne l’attenzione dei media e degli studiosi. Raramente si è però cercato di dare una voce alla sua versione più recente e nascosta, impersonata da quai giovani sotto i trent’anni che lasciano l’Italia nel periodo degli studi universitari o immediatamente dopo. Le loro testimonianze le si ritrova disperse nei blog, nelle lettere ai quotidiani, in qualche documento video. In tal senso il libro di Claudia Cucchiarato, Vivo altrove, è un utile spaccato, che si raccomanda per la scrittura asciutta, la mano leggera, la discrezione nel raccogliere narrazioni intime e sofferte; e si lascia perdonare una certa inclinazione al pathos. L’autrice, collaboratrice de l’Unità, è essa stessa expat a Barcellona da diversi anni. In tutti i casi narrati assistiamo a piccole epiche della conquista e della crescita, con passaggi obbligati: il viaggio con un biglietto di sola andata in tasca, gli inizi difficili, il caso, l’amore, i traslochi, la solitudine, l’affermazione professionale; e lungo il tragitto lo spazio di libertà conquistata, lo sguardo critico sull’Italia, la sensazione che nel Paese d’origine un percorso come quello che si è fatto non lo si sarebbe mai potuto fare, non alle condizioni che ormai si giudicano irrinunciabili.
Vorrei invitare a riflettere sul potere di attrazione di queste narrazioni epiche. Direi che questo potere deriva in parte da una concettualizzazione ancora carente dello spostarsi oltre confine. Si parla di “emigranti” per chiunque vada a vivere o lavorare oltre confine, ma andare a lavorare a Parigi, Barcellona, Londra o Berlino non è oggi, nel ventunesimo secolo, emigrare. Emigra o espatria chi sceglie di attraversare l’Atlantico o di andare a Dubai o Shangai. L’Europa di Schengen, quella dell’EURO e financo l’Unione allargata non dovrebbero più essere considerate come un luogo di “emigrazione” per gli italiani. La differenza rispetto all’emigrazione antica o lontana sta in parte nel quadro normativo: la cittadinanza europea, la non necessità del permesso di soggiorno, la moneta unica, il trasferimento dei contributi previdenziali, i trattati contro la doppia tassazione, la possibilità di muoversi senza controlli. In parte, naturalmente, contano il proliferare dei voli low cost e la caduta verticale dei costi di comunicazione – telefonare da Parigi a Roma costa come farlo da Ostia. Gli ultimi due fattori, economici, hanno ampia risonanza nei media, ma sono i primi a rendere possibile una vita normale a chi si sposta in cerca di impiego. Cucchiarato parla di questi fattori; ma mi sembra che delle conseguenze assai poco timide potrebbero venir tratte dal fatto che per un torinese è altrettanto se non più semplice andare a vivere a Parigi che a Napoli, al di là delle considerazioni sull’offerta di lavoro. L’Europa, o una delle Europe sopraccitate, è oggi non tanto un ideale sopranazionale, ma la soluzione pragmatica all’esigenza di mobilità dei suoi cittadini, e in particolare di quelli che si affacciano al mondo del lavoro.
La rivoluzione concettuale cui si deve lavorare è allora quella che ci permette di ridefinire gli emigranti intraeuropei essenzialmente come persone che effettuano una mobilità; per loro alla categoria dell’emigrazione va semplicemente sostituita quella della mobilità. Anche per il discusso voto degli italiani all’Estero questa sostituzione avrebbe la sua importanza: chi dall’Italia si muove in Europa dovrebbe avere il diritto non tanto di votare per il Parlamento Italiano, ma di votare per il Parlamento del Paese in cui si è spostato. Dopotutto – rovesciando un argomento amato dai detrattori del voto estero – è lì che paga le sue tasse. Una classe politica avvertita potrebbe cominciare a ragionare sulla possibilità di dare un quadro europeo a questo diritto, quantomeno un quadro che incoraggi rapporti bilaterali in tal senso. Su tutt’altro fronte, imprenditori avvisati potrebbero cominciare a ragionare sulla possibilità di consorziarsi per offrire pacchetti che includano un job per il partner di chi intendono assumere, sulla falsariga di quanto avviene negli Stati Uniti persino nel mondo accademico. E la previdenza potrebbe cominciare a tener conto delle particolari condizioni di precarietà di chi è in mobilità, e studiare reti di sicurezza specifiche per chi si trova a vivere altrove. In un paese come l’Italia in cui la famiglia è l’incarnazione del principio di sussidiarietà, sapere che i propri genitori in patria sono seguiti in maniera consona e degna dal sistema sanitario e previdenziale non è un dettaglio indifferente per chi si muove. La lista è lunga. Va affrontata, altrimenti ci troviamo nella situazione moralmente non ineccepibile di avere un esercito di persone mobili ma prive di tutele.
L’epica delle storie raccolte da Claudia Cucchiarato non è quella dell’emigrazione, così prossima alle grandi narrazioni dell’esilio. È piuttosto l’epica dell’uscita di casa, dell’indipendenza conquistata. Riconfigurare le storie di Vivo altrove come storie di mobilità permette di vedere di quale difficoltà italiana esse in fondo raccontino. È la difficoltà di muoversi in Italia ad essere il tema nascosto del libro. Uscire di casa, cercare un’indipendenza a venti, a venticinque anni, non è agevole in Italia. La mobilità europea è semplicemente la soluzione al problema delle insufficienti condizioni per la mobilità italiana.
"lunedì, giugno 14, 2010
The Philosophical Habit of Mind: Rhetoric and Person in John Henry Newman
Si intitola The Philosophical Habit of Mind: Rhetoric and Person in John Henry Newman's Dublin Writings e uscirà a fine agosto.
giovedì, giugno 10, 2010
Incontro con il sen. Micheloni
L'incontro è stato organizzato da Irlandiani.com.
Presenterà il sottoscritto.
mercoledì, giugno 09, 2010
Vite da preti
Luis Granados, studente di teologia, spagnolo
Don Nicola Munari, salesiano, animatore del centro San Giusto di PortoViro
Don Filippo Cicchi, monaco camaldolese
Mons. Giovanni Battista Proja, esorcista e canonico a San Giovanni in Laterano
Don Franco Berti, ciellino, insegnante, parroco a Milano
Mons. Damiano Marzotto Caotorta, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede
Don Luigi Zucaro, neocatecumenale, cappellano dell'Ospedale Bambin Gesù
Don Vilmar Pavesi, brasiliano e latinista, dice messa in rito antico a Santa Toscana, Verona
Padre Roberto Tassi, fallaciano, parroco della “Chiesa di Dante” a Firenze
Fratel Giuseppe Rosati, francescano, cappellano dei circhi,
S.E. Mons. Salvatore Nunnari, Arcivescovo Metropolita della diocesi di Cosenza
L’Innominato
martedì, giugno 08, 2010
John Henry Newman e il sorriso buono di san Filippo
Nel pomeriggio di martedì 8 giugno viene presentato a Genova, nell'Oratorio di San Filippo, il libro che raccoglie gli Scritti oratoriani di John Henry Newman in un'edizione curata da Placid Murray (Siena, Cantagalli, 2010, pagine 504, euro 17). All'incontro parteciperà anche il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana. Anticipiamo stralci della relazione del procuratore generale della Confederazione dell'Oratorio e, in basso, dell'intervento del direttore dell'Ufficio per la cultura dell'arcidiocesi di Genova.
di Edoardo Aldo Cerrato
I testi di Newman sull'Oratorio, che l'edizione presenta, mostrano chiaramente quanto la vocazione oratoriana abbia segnato la vita e l'opera del nuovo Beato e quanto profonda sia stata l'appartenenza all'Oratorio di Padre Filippo di colui che pure 'appartiene - affermava Paolo vi - a tutti coloro che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno'; che 'appartiene a ogni epoca, luogo e persona', per dirlo con Giovanni Paolo ii; che è il teologo e uomo di Chiesa di cui oggi la Chiesa ha particolarmente bisogno, come ancor recentemente ricordava il Santo Padre Benedetto XVI parlando ai vescovi dell'Inghilterra e del Galles: 'Grandi scrittori e comunicatori della sua statura e della sua integrità sono necessari nella Chiesa oggi'.
'Amo un vecchio dal dolce aspetto, - scrisse Newman in riferimento a san Filippo - lo ravviso nel suo pronto sorriso, nell'occhio acuto e profondo, nella parola che infiamma uscendo dal suo labbro quando non è rapito in estasi...'.
Newman fu oratoriano con la profondità che caratterizzò ogni scelta della sua vita e ogni opera intrapresa. E lo fu fino alla fine dei suoi giorni, anche rivestito della porpora romana di cui Leone xiii, sfidando il giudizio di altri, lo volle onorare. Giunto a Roma per il Concistoro del 1879, in cui sarebbe stato creato cardinale, Newman scriveva al suo vescovo: 'Il Santo Padre mi ha accolto molto affettuosamente (...). Mi ha chiesto: 'Intende continuare a guidare la Casa di Birmingham?'. Risposi: 'Dipende dal Santo Padre'. Egli riprese: 'Bene. Desidero che continuiate a dirigerla', e parlò a lungo di questo'.
Non sfuggiva a Leone xiii l'importanza della presenza oratoriana iniziata da Newman in Inghilterra, quando vi fece ritorno, dopo l'ordinazione sacerdotale, portando con sé il Breve Magna nobis semper del 1847, con cui il beato Pio ix istituiva l'Oratorio nel Regno Unito e dava a Newman facoltà di propagarlo in quella Nazione; come non gli sfuggiva la triste situazione dell'Oratorio filippino, falcidiato in Italia dalle vicende storiche e politiche del xix secolo.
'Desidero che continuiate a dirigere (la Casa di Birmingham), e parlò a lungo di questo': quella di Papa Leone non è solo benevola concessione per evitare a un uomo di veneranda età le comprensibili difficoltà di un trasferimento a Roma e i possibili inconvenienti derivanti dal lasciare la congregazione da lui fondata; è la testimonianza che il Papa aveva perfettamente colto ciò che l'Oratorio significava per Newman, il quale gli aveva detto: 'Da trent'anni sono vissuto nell'Oratorio, nella pace e nella felicità. Vorrei pregare Vostra Santità di non togliermi a san Filippo, mio padre e patrono, e di lasciarmi morire là dove sono vissuto così a lungo': fervida espressione di amore per la propria vocazione.
L'Oratorio si affacciò sull'orizzonte di John Henry Newman fin dal momento del suo ingresso nella Chiesa cattolica, quando Nicholas Wiseman, vescovo coadiutore del Distretto centrale dell'Inghilterra, lo persuase a ricevere l'ordinazione sacerdotale, suggerendogli pure l'Oratorio di San Filippo Neri come la forma di vita più idonea a lui e ai suoi compagni che lo avevano seguito nel ritiro di Littlemore, mentre Newman, pur esaminando la possibilità di aderire a qualcuno dei grandi ordini religiosi esistenti, abbozzava il progetto di una realtà nuova che tanti elementi possedeva in comune con l'Oratorio filippino.
Sostenuto dalla convinzione che la sua vita doveva svolgersi in una comunità caratterizzata 'da un acuto senso della cultura e dal gusto innato per l'umanesimo', accompagnati 'dal rispetto verso le persone e dal rifiuto di ogni coazione' - scrive il cardinale Jean Honoré - Newman dedicò un anno abbondante al discernimento sulla propria vocazione.
Giunto a Roma nell'ottobre 1846 con alcuni compagni per frequentare i corsi ecclesiastici in vista dell'ordinazione, questo intenso cammino di ricerca e di riflessione conobbe una illuminazione particolare: Newman comprese chiaramente che l'esperimento di vita comunitaria già intrapreso e l'esperienza della sua vita passata 'potevano offrire un punto di partenza per il futuro', mentre la scelta di uno dei grandi ordini religiosi avrebbe comportato la dispersione del gruppo, oltre a non rispondere pienamente a ciò che si andava cercando.
La visita del gennaio 1847 all'Oratorio Romano in Santa Maria in Vallicella suscitò in Newman un profondo interesse, anche perché gli richiamò l'esperienza dei college universitari inglesi: 'i membri - scrisse - conservano i loro beni e la loro abitazione, vi sono poche leggi (...) e una splendida biblioteca'.
Dal 17 al 25 di quello stesso mese Newman e il fedele amico Ambrose St. John chiesero luce sulla loro vocazione davanti al sepolcro di san Pietro e si dedicarono a studiare le costituzioni e la storia dell'Oratorio. All'inizio di febbraio la decisione era presa: dopo l'ordinazione sarebbero stati iniziati alla vita oratoriana dai padri della Chiesa Nuova.
La figura di san Filippo Neri, di cui già nel periodo anglicano Newman aveva qualche conoscenza, si fece a lui più familiare: 'Mi ricorda in molte cose Keble - scrisse alla sorella Jemima - I due condividono la stessa totale avversione all'ipocrisia, il carattere gioviale e quasi eccentrico, un tenero amore agli altri e il rigore con se stessi'.
Il 14 febbraio, anche a nome dei compagni, Newman presentava al cardinale Giacomo Filippo Fransoni, prefetto di Propaganda Fide, il progetto del futuro Oratorio inglese: 'Abbiamo scoperto - scriveva - un cammino intermedio tra la vita religiosa e una vita completamente secolare; il che si adatta perfettamente a ciò di cui sentiamo il bisogno'. E il 21 febbraio, come amabile dono di compleanno per Newman, giungeva l'approvazione di Pio ix al progetto.
I sermoni predicati alla comunità in gennaio e febbraio del 1848 - Newman era giunto a Maryvale il 2 febbraio e di lì si sarebbe trasferito a Birmingham l'anno seguente - tracciano, attraverso la ricostruzione storica del cammino della congregazione e la presentazione delle caratteristiche interne dell'Oratorio, una magnifica panoramica della vocazione oratoriana, non superata, in molti aspetti, neppure dalle acquisizioni future e sono il frutto immediato, ma sorprendentemente maturo, delle letture e delle riflessioni romane.
Filippo Neri vi è colto da Newman nella sua originalità di vir prisci temporis, uomo del tempo antico nel quale rivive la 'forma primitiva del cristianesimo', caratterizzata dalla semplicità e dalla spontaneità, espressioni privilegiate della carità cristiana che è 'vincolo di perfezione' (Colossesi, 3, 14): 'dodici preti che lavorano insieme: ecco ciò che desidero - dirà Newman ancora nel 1878, alla vigilia del cardinalato - Un Oratorio è una famiglia e una casa'.
San Filippo Neri e l'Oratorio facilitarono, senza dubbio, a Newman la felice sintesi tra pietà e cultura di cui egli trovò altissima espressione nell''umanesimo devoto' di san Francesco di Sales, fondatore dell'Oratorio di Thonon.
Rimarcando la 'influenza decisiva' di san Filippo Neri sulla spiritualità di Newman, Jean Honoré arriva a parlare di una 'terza conversione' dopo la prima del quindicenne John Henry e la seconda, costituita dall'ingresso nella Chiesa cattolica. Essa si situa particolarmente negli anni oscuri della sua vita di cattolico, quando, al contrario di quanto gli accadeva da anglicano, la sua preghiera era 'serena', ma la sua vita 'triste'.
Newman, che nei suoi scritti autobiografici confessava di amare, già nel periodo anglicano, di essere ignorato, come padre Filippo consigliava ai suoi discepoli (ama nesciri), ora chiedeva a Filippo che gli insegnasse a spernere se sperni, a disprezzar d'essere disprezzato.
La 'mortificazione della rationale' - tanto insistitamente proposta da padre Filippo ai suoi - non è rifiuto della coltivazione dell'intelligenza, che può estendersi a tutti gli ambiti del sapere, né agli affetti umani, dal momento che è indispensabile l'amicizia tra i membri della Casa, e neppure dei beni temporali: è la rinuncia alla 'voluta propria' al fine di essere liberi ma non indipendenti, e solidali nella comune responsabilità.
Il secolo diciannovesimo aveva bisogno di una sintesi nuova tra 'devozione' e 'ragione' che solo una intelligenza poderosa e una spiritualità profonda come quelle di Newman potevano conseguire.
L'Oratorio di san Filippo Neri - scrisse l'oratoriano di Francia Louis Bouyer - 'nasce dall'incontro, in san Filippo, tra un'anima eccezionalmente interiore e una mente eccezionalmente aperta': sta qui la vocazione a cui Newman si sentì chiamato e alla quale rispose, per il resto della sua vita, con dedizione generosa e fedeltà creativa.
La sintesi equilibrata e gustosa dell'Oratorio
di Mauro De Gioia
Nessuno dei grandi temi del pensiero di Newman è argomento del volume che presentiamo, e questo può far sorgere il rischio di considerarci davanti a un 'Newman minore', la cui conoscenza sia utile agli specialisti, ma di cui il lettore comune possa tranquillamente fare a meno. Due elementi emergono però immediatamente per la loro attualità.
La 'persistenza dei tratti' caratteristici del ministero anglicano di Newman 'nel suo ministero cattolico denota - scrive il curatore nell'introduzione - come anche i valori spirituali acquisiti fuori dell'ovile cattolico possano trovare una collocazione legittima all'interno della Chiesa'. Inoltre, il volume, che esce proprio alla conclusione dell'anno sacerdotale, presenta una spiritualità che molto ha da offrire ai sacerdoti in generale'.
Credo infine che la scoperta di quanto profonda sia la dimensione 'filippina' di Newman favorisca una comprensione più ampia ed equilibrata della sua vicenda biografica e, conseguentemente, anche del suo pensiero.
È certo ben noto agli studiosi di Newman come lo stile dell'Oratorio filippino gli fosse certamente congeniale da un punto di vista pratico e psico-affettivo. Dagli scritti qui raccolti emerge però con chiarezza che la scelta dell'Oratorio fu risposta a una vera vocazione: per Newman la congregazione non è semplicemente una soluzione pratica per trovare un modo di conciliare la vita comunitaria con i suoi amici e l'insofferenza per più rigide e regolamentate forme di vita religiosa.
L'incontro di Newman con l'Oratorio non è semplice incontro con una istituzione, ma con la persona di san Filippo Neri.
Il rapporto tra Newman e san Filippo è la prospettiva spirituale nella quale inquadrare i testi sull'Oratorio e capire quale fosse l'autocomprensione che Newman avesse della sua propria vocazione.
In una sua riflessione sulla storia della Chiesa il nostro considera tre grandi periodi: 'l'antico, il medievale e il moderno, e in quei tre periodi ci sono rispettivamente tre ordini religiosi che si succedono sulla pubblica scena l'uno all'altro'. I tre grandi ordini sono il benedettino, il domenicano e il gesuita: 'Benedetto ha ricevuto la formazione intellettuale antica, san Domenico quella medievale e sant'Ignazio quella moderna'.
Potremmo sindacare sulla scelta di Newman di identificare le tre grandi ere della Chiesa col carisma di questi tre grandi santi, ma a noi interessa sottolineare come queste tre figure, Benedetto, Domenico e Ignazio, siano poste in relazione con Filippo Neri. Nei due Sermoni sulla missione di san Filippo Neri tenuti a Birmingham nel 1850, Newman lega infatti le tre tappe fondamentali della formazione della vocazione di Padre Filippo all'incontro con queste tre figure.
La prima educazione avvenuta a Firenze nel convento di san Marco collega Filippo col carisma domenicano. La svolta vocazionale avvenuta durante il giovanile soggiorno a San Germano viene messa in relazione con l'incontro col carisma benedettino. Infine a Roma il giovane Filippo conosce personalmente Ignazio di Loyola e la Compagnia di Gesù. E così conclude: 'Erano rifulse in Lui le vedute di san Domenico, la poesia di san Benedetto, l'intelligenza di sant'Ignazio, tutto accompagnato da una incomparabile grazia e da una avvincente dolcezza. Saremmo noi suoi figli di quest'Oratorio (...) saremmo noi capaci di tanto! Prendiamolo almeno come nostro modello'.
Per Newman Filippo Neri è quindi una sintesi equilibrata e gustosa (parla di 'incomparabile grazia' e 'avvincente dolcezza') di quelle che considera le tre fondamentali correnti spirituali della storia della Chiesa. Se questa è stata la sua missione tale è anche la missione dell'Oratorio, e quindi la sua propria vocazione, la sua vita di cattolico, di sacerdote, di oratoriano.
(©L'Osservatore Romano - 9 giugno 2010)
domenica, giugno 06, 2010
There are many young people who are struggling to find a reason to remain in the Church
Martin ha trattato della situazione della Chiesa in Irlanda, con una attenzione particolare ai giovani, facendo spesso riferimento al Cardinale Newman e all'Università Cattolica d'Irlanda da lui fondata.
Ecco alcuni passaggi significativi:
There are structural and cultural factors which are unique to the Irish Church which have contributed to this alienation of our young people. The Irish Church has traditionally stressed the central role of Catholic schools. In the nineteenth century, after Catholic Emancipation, the Irish Church was determined that it would have an education system not just open to Catholics, as had hitherto not being the case, but which gave the strongest possible guarantee of being truly Catholic.
The only Irish bishop who took a strong strand in favour of Catholic participation in the initial National School system or in the Queens University system was the Archbishop of Dublin, Daniel Murray. His successor in Dublin, the first Irish Cardinal, Paul Cullen, on the other hand strongly supported the idea of specifically Catholic education in schools and universities and definitively won the Holy See’s support for his views.
It was Cullen who invited Newman to come to Dublin to establish the Catholic University of Ireland. There is a fascinating temptation for me to ask the “What if” question: what if the model of Archbishop Murray had been followed with Catholic children attending public schools and secular universities? Might the faith in Ireland have been stronger and less parochial?
Newman’s University, in fact, was not a great success; its degrees were not recognised and apart from the medical school failed to attract public interest. I have to be careful not to make many critical comments about the effectiveness of Newman’s University, not just because I am addressing a Newman Society, but because I am actually the current Rector of the Catholic University of Ireland which still exists in law. It exists in law but it has little more than Trustees, a Rector and a beautiful University Church designed in great part under the direct influence of Newman. I will come back to that Church later.
The particular religious history of Ireland led to great emphasis being placed on the school as the principal vehicle for religious education. The school in Ireland then became a rather authoritarian school system, with Victorianism, Jansenism and older Irish penitential spirituality combining. Questioning was not encouraged. Questions of faith were to be accepted in obedience. It was presumed that all students in Catholic schools were believers and that they would make the First Communion and Confirmation when they reached the appropriate class. In my younger days parents were not even allowed to be in the Church for Confirmation. In more recent years, due to the drop in the number of priests and the increase of their work load, the link between sacramental preparation and school deepened and the link between sacramental preparation and parish diminished.
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Let me come back to Newman’s’ Church. I do not know if any of you may ever visited Newman’s University Church. Walking along Saint Stephen’s Green in the heart of Dublin you would hardly notice that there was a Church there. There is a small porch with a cross on it. If you enter into a porch you find yourself in a long, nondescript corridor which gives little indication where it might be leading. Then you suddenly enter a quite unique Church, of great beauty and mystery, quite unlike other Churches built in its time, very much Newman’s Church.
I often link that experience of entering Newman’s Church with the challenge of evangelization. The task of evangelization is to challenge these who walk our cities to stop and be curious about this small signs of God’s presence which are all around us but which so often we chose to ignore. We need to stimulate the curiosity of those who walk directionless or just going about day to day activities. But we have to realise that such curiosity will not provide immediate results. There is still, for all of us, the long, nondescript corridor which gives you no indication of what you might expect if you journey onwards. This is the challenge and the risk of faith But through perseverance and especially through the helping hand of other people of faith we can be led to enter into the surprising, into a presence of God which brings us way beyond the sphere of normal human imagination.
Experiencing the beauty of faith is not something that will happen to us every day. There is no way however we can expect young people to remain in the Church if we do not at least attempt to open up that experience for them or at least glimpses of it which can enlighten and encourage them in the ups and downs of their life within their culture and the characteristics of their generation.
Sul sito dell'Arcidiocesi potete trovare l'intero discorso.
giovedì, giugno 03, 2010
Lindau edita C.S. Lewis
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martedì, giugno 01, 2010
Preghiera del 1 giugno 2010 [Preghiera]
Non rivolgetevi agli idoli, non inginocchiatevi davanti ai vari Maxxi, Macro, Marca, Marta, Madre, Mambo, Maci, Mart, Mao, Miao (non invento niente, esistono tutti davvero, rispettivamente a Roma, Roma, Catanzaro, Taranto, Napoli, Bologna, Isernia, Rovereto, Torino, Torino). Gli acronimi seriali dei musei di arte contemporanea dimostrano: 1) l’ideologia dell’impersonalità quindi dell’inumanità che li informa; 2) la sterilità di un artistume che si riempie la bocca con la parola “creatività” e non è capace di creare…
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