martedì, luglio 14, 2015
domenica, luglio 12, 2015
Gilbert Keith Chesterton è stato un dono fatto alla cattolicità (e all'umanità intera) direttamente da Dio. Benché egli sia apparso come un aiuto insperato offerto alla Chiesa del secolo XX, alle prese con un mondo ostile e accanito contro di lei, la Chiesa c'entra poco nella sua nascita alla fede e all'attiva militanza ecclesiale.
Non è cresciuto in una famiglia religiosa e non ha ricevuto una formazione cristiana nel senso preciso del termine. Non è stato preparato alla sua missione apologetica da qualche agguerrita università pontificia. Nessun movimento culturale cattolico l'ha illuminato, nessuna associazione dedita all'apostolato l'ha spronato alla «buona battaglia».
Si è fatto da solo. È semplicemente andato alla scuola della sua schietta umanità e ha ricercato la verità con assoluta onestà intellettuale, usando effettivamente di quella ragione che i razionalisti si limitavano a venerare. Questo è stato sufficiente per condurlo «a casa», cioè all'antica fede e alla saggezza dei padri.
Naturalmente noi, che non ignoriamo la teologia, sappiamo benissimo che a livello delle causalità più profonde questo è avvenuto per l'illumuiazione e sotto la guida dello Spirito di Dio; il quale, anche se la cosa può apparire sorprendente agli intellettuali laicisti, sta sempre dalla parte dell'essere autentico e della retta ragione.
Forte della sua personale esperienza, Chesterton agli animi in ricerca, magari inconsapevole, di Cristo non propone una via diversa da quella di prendere sul serio la realtà delle cose nella sua integrità (a cominciare dalla realtà intcriore dell'uomo) e di adoperare fiduciosamente l'intelletto nella sua nativa sanità, purificato da ogni incrostazione ideologica.
La Provvidenza ha suscitato quest'uomo come antidoto efficace contro tutti i veleni che sono imperversati lungo tutto il secolo XX, ma che si sono fatti anche più virulenti nella sua seconda metà, quando l'avventura terrena di Chesterton si era ormai conclusa da un pezzo. Nei suoi scritti - principalmente nei saggi, ma anche nell'opera narrativa - si trovano denunciate praticamente tutte le nostre follie. Ricordiamo alla rinfusa non solo le aberrazioni disumane del comunismo e le intemperanze del capitalismo selvaggio, non solo il razionalismo e l'irrazionalismo, non solo l'agnosticismo filosofico, l'indifferentismo religioso, il relativismo morale, non solo la mentalità divorzistica e l'allergia moderna a trasmettere la vita, ma anche la manìa dei culti esoterici, il buddismo snobbistico, le varie ideologie vegetariane e animaliste, le ambiguità dell'internazionalismo pacifista, eccetera. Purtroppo la cristianità - che ha dato discreta attenzione a Chesterton fino alle soglie del Concilio Vaticano II - ha cominciato a dimenticarsene proprio quando il suo magistero sarebbe stato più necessario per prevenire e contrastare i nostri guai.
Mi auguro che questa piccola raccolta sia più che altro un segno: il segno di una rinnovata attenzione e di una salutare ripresa di interesse.
L'origine di queste pagine - destinate alla stampa periodica e legate perciò a un determinato contesto -spiega una certa difficoltà di comprensione da parte dei lettori di un'epoca lontana e diversa. Ma in ognuna di esse balena la frase lucente e incisiva che non si dimentica più. Chesterton sa che la conseguenza più deleteria della scristianizzazione dell'Europa non è stato lo smarrimento etico (che pure è stato gravissimo): è stato lo smarrimento della ragione. «Il mondo moderno - dice - ha subito un tracollo mentale, molto più consistente del tracollo morale» (p. 47).
Non si fatica a immaginare il suo giudizio sull'uomo - sul cristiano - dei nostri giorni, che sembra aver sostituito la speranza cristiana con un ansioso ottimismo mondano: «Non vuoi più accettare la dottrina cattolica che la vita umana è una battaglia; vuole solo sentirsi dire... che è una vittoria» (p. 112).
Il divorzio, introdotto da gente probabilmente in buona fede e difeso perfino da molte anime belle e devote per rimediare ai «casi difficili», ha radicalmente cambiato l'idea stessa di matrimonio e di famiglia. «La Chiesa - dice Chesterton - aveva ragione nel rifiutare anche le eccezioni. Il mondo ha ammesso le eccezioni, e le eccezioni sono diventate la regola» (p. 87 s). Oggi, in nome dell'irenismo e della tolleranza, pare vadano sbiadendosi i confini tra l'errore e la verità. E dal momento che nessuna asserzione è più condannabile, è straordinariamente difficile diventare eretici. Personalmente la cosa mi secca un po', perché ci tengo alla mia libertà di compiere tutte le trasgressioni, anche se spero che da tutte mi preservi la grazia di Dio. Forse non si riflette abbastanza che annullare i peccati contro la fede, vuoi dire annullare anche la fede.
Per Chesterton l'ortodossia è inconfondibile, ed è la sola nostra possibilità di salvezza. Anche se poi da dell'eresia il concetto più cavalieresco e positivo che si possa mai configurare. Le eresie per lui «sembrano persine corrispondere alla verità e talvolta sono vere, nel senso limitato in cui una verità non è la Verità». «L'eresia è quella verità che trascura tutte le altre verità» (p. 115).
E così si arriva a capire in tutta la sua bellezza il concetto che Chesterton da della Chiesa cattolica, da lui ritenuta il solo baluardo rimasto a difesa dell'uomo vero, dell'uomo comune, dell'uomo «normale»; «La Chiesa... è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento» (p. 17).
Giacomo card. Biffi arcivescovo di Bologna
(Introduzione a "Chesterton. Perché sono cattolico, Ed. Gribaudi)
giovedì, luglio 02, 2015
LO IPHONE E IL PARADISO DI ALLAH
Vi racconto una storia successa a Firenze quasi sessant’anni fa. Si ricominciava a star benino, in quel dopoguerra. Non era ancora arrivato il boom, ma c’era la Vespa della Piaggio, erano i primi tempi della TV, al cinema furoreggiavano le tette di Marisa Allasio. E c’era un ragazzo di sedici anni, figlio di un artigiano del popolare quartiere di San Frediano, quello di Vasco Pratolini. Siccome era bravo a scuola, suo padre già lo sognava professore di liceo: così avrebbe avuto lo stipendio fisso senza dover sgobbare. La sua fidanzatina aveva la coda di cavallo e la gonna a campana. Ma a lui quelle prospettive di stipendio e di bella famigliuola non bastavano: gli parevano il Nulla. Lui amava la musica di Borodin e i romanzi di Kipling , sognava i deserti dell’Asia centrale e il Kyber Pass. In Ungheria c’era la rivolta, lui avrebbe voluto scappar di casa e correre sulle barricate a morire con i patrioti di Budapest. Perché la morte in riva al Danubio doveva attrarlo più di un futuro con lo stipendio e la famiglia?
Nell’Italia di oggi, molte famiglie non sanno più bene come arrivare alla fine del mese, gli italiani hanno paura di finire come i greci, il lavoro non c’è e quasi tutti sono convinti (ivi compresi quelli che non ne hanno mai cercato uno) che siano i migranti a portarglielo via, se metti due soldi in banca per risparmiarli alla fine dell’anno te ne ritrovi la metà. A sud (e ormai anche al nord) ci sono la mafia, la ‘ndrangheta e i viadotti autostradali che crollano. Il governo continua a parlare di “liberalizzazione”, quella cosa per cui lo stato cede i suoi beni ai privati che ne intascano gli utili e rovesciano costi e debiti sulla società. La gente non va nemmeno a votare, ma si pretenderebbe come del tutto naturale cheil mondo intero abbracciasse i valori democratici nei quali noi non crediamo più. C’è corruzione dappertutto, eppure sono in tanti – specie i giovani – a cercar di entrare in politica, con la speranza d’imbattersi prima o poi in qualcuno che corrompa anche loro. I miti trasmessi dai media sono quelli dei guadagni facili, delle piscine olimpioniche, del danaro, del successo. C’è tanta gente che, anche se non lo dice, sotto sotto ammira quel tale che regalava milioni alle Olgettine. Ma se il lavoro non c’è e se ormai i titoli universitari sono svalutati e studiare non serve più a nulla, legger libri men che meno, che cosa resta a una famiglia con i nonni che vivono di una magra pensione, i figli precari o sottoccupati e i nipoti che ciondolano tra una scuola che non insegna più nulla e prospettive di lavoro inesistenti se non attaccarsi alla TV e masticar pop-corn come tanti Simpson? E i ragazzi, specie quelli del sud (ma non solo…), che debbono fare se non spacciare o scippare per comprarsi il costoso iPhone che tanto desiderano?
Poi magari arriva l’amico maghrebino che ti porta dal suo imam. Ed è lì che il velo ti cade dagli occhi. E’ lì che impari che l’Occidente/Modernità è solo una fabbrica di soldi per i pochi che ruotano intorno alle lobbiesmultinazionali e di miseria e ignoranza per gli altri. E’ lì che – dopo non aver neanche per un attimo pensato a riprendere in considerazione il Dio cristiano dei tuoi nonni o non esserti mai posto con serietà il problema della tua identità di cittadino di una repubblica “laica e democratica” - impari che Allah è grande e vuole che tu combatta per un mondo migliore dove più nessuno sia sfruttato, dove si rispetti la famiglia, dove la donna non sia più costretta a mostrarsi seminuda per diventare un oggetto di mercato, dove contino finalmente il coraggio, la fedeltà, l’onore e dove la battaglia sia la porta per la quale si accede al Paradiso…
Un messaggio religioso difficile, malinteso e incompreso? Senza dubbio. Ma siamo certi che gli orizzonti pratici offerti dalla nostra società libera e democratica siano migliori? Siamo certi che la prospettiva del danaro facile e della libertà assoluta di far quel che ci pare e piace – due obiettivi del resto sognati da tanti, ma raggiunti solo da pochissimi - sia più affascinante di quella del jihad per ragazzi (e magari anche per persone adulte e mature) che ormai erano rassegnati a vivacchiare ai margini di quella Società del Benessere che a loro non avrebbe mai dato nulla? Crediamo davvero che tanta gente senza prospettive e senza cultura, da noi, sia così contenta di venire a sapere che il nostro governo spende un miliardo all’anno per mantenere a far non si sa che cosa quattromila soldati in Afghanistan mentre non si trovano i soldi per la scuola, gli ospedali, le pensioni?
Mettiamo quindi nel conto che accanto al furto, alla rapina, allo spaccio di droga, in alternativa al lavoro che non si trova o alle serate al pub o in discoteca ci sia qualcuno che cerca Dio; e, se ne trova uno diverso da quello della sua tradizione che non conosce più o che ha dimenticato, che ci si dia con poco discernimento ma con tutto il cuore. Sono stati sempre così, i convertiti. E ci sono sempre stati, anche nelle migliori famiglie e nei migliori periodi della storia, quelli che sono fuggiti di casa per cercar la Bella Morte. E’ uno sballo anche quello: come – diceva Lucio Battisti – “guidare nella notte a fari spenti per sapere – s’è poi tanto difficile morire”. D’altra parte, pare che anche il califfo paghi i suoi uomini, come si pagano i contractors. Il jihad, per molti, è anche un business.
Ma il problema non sta nel mondo musulmano. Sta qui, siamo noi. Se la Modernità, se la “Società dell’Avere”, altro non hanno potuto offrire come scopo alla vita se non il Nulla, allora si capiscono tante cose. Anche il ragazzino di sessant’anni fa che voleva andar a morire a Budapest. Anche i ragazzi d’oggi che partono dal Galles o dalla Normandia per finir tagliatori di teste e poi magari shuhadà, “martiri”, nella Santa Armata del califfo al cui comando stanno degli ufficiali irakeni saddamisti, cioè formalmente sunniti ma in realtà socialisti atei. Parigi poteva anche valer bene una messa per un cinico aristocratico calvinista del primo Seicento, ma lo iPhonenon vale il Paradiso di Allah.
Ecco perché quella strana famiglia di convertiti all’Islam, la famiglia di Giulia che adesso si chiama Fatima e del marito mujahidin Siria, non è una famiglia di mostri. Non è la famiglia Addams di Allah. E’ gente nostra, del nostro secolo che ha smarrito il senso della vita.
Franco Cardini
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