lunedì, dicembre 26, 2022

Almeno per un giorno, lasciamoci cullare da Dickens e dal suo “Canto di Natale”

La cultura dominante non sopporta il Natale, e non è difficile comprenderne i motivi: si celebra la nascita di Gesù, il Figlio di Dio che viene nel mondo per salvarci dal male. Ciò è evidentemente insopportabile per chi non vuole riconoscere l’esistenza del problema del male e tanto meno che Dio possa essere la risposta. Il Natale viene dunque avversato in molti modi, e dopo gli episodi degli scorsi anni di avversione manifesta, con divieto di Presepi e benedizioni, ora questa cultura si è fatta più furba: non l’eliminazione del Presepe, ma la sua manipolazione, realizzando delle parodie di presepi. Per non dire degli altri Natali, quelli consumistici, che ormai da anni ci tediano con lustrini televisivi e proposte per gli acquisti.

Insomma, lo abbiamo capito, il Natale deve essere svuotato della sua ricchezza spirituale e deve essere visto – anche per non offendere chi cristiano non è – solo come una sorta di festa della bontà. A Natale si è tutti più buoni, no? In realtà si è solo un po’ più buonisti, e quindi ipocriti. Come celebrare la Bontà vera, dunque? In particolare, se uno – nonostante tutto – proprio non è cristiano. Un modo c’è. C’è un Natale autentico, laico ma non laicista, buono ma non buonista, ed è quello raccontato dal grande Charles Dickens.

Nelle programmazioni televisive ancora si può trovare qualche versione di un vero e proprio mito. C’è solo l’imbarazzo della scelta, poiché sono venti i film e cinquanta gli sceneggiati televisivi tratti dal meraviglioso Canto di Natale di Dickens. Un’opera che nel mondo anglosassone riveste un valore di riferimento archetipico, prima ancora che simbolico.

L’autore del Circolo Pickwick, di Oliver Twist e altri romanzi di grandissimo successo fu una delle voci più significative dell’epoca vittoriana, la voce della coscienza profonda dell’Inghilterra tetra, cinica e industrializzata, che diede espressione ai drammi della gente comune più che alle glorie imperiali. Dickens era figlio di una famiglia povera e schiacciata dai debiti, costretto a lavorare in fabbrica fin da ragazzo per sopravvivere e mantenere la famiglia.

La sensibilità non comune al lacerante dramma della giovinezza violata, e la capacità altrettanto sorprendente di esporre tanto dolore mediante una scrittura snella e talora umoristica, consacrarono già la sua opera prima, Il circolo Pickwick, alla popolarità e al plauso di una società non meno schiacciata dal lavoro e dalla povertà.

Dickens realizzò, col Canto di Natale, un’opera piena di umanità e magia buona, che ne fa un piccolo capolavoro insuperato nel suo genere, un racconto scritto nell’inverno del 1843, con l’urgenza di inviare “qualcosa” all’editore, con poco tempo a disposizione, per poter trascorrere un Natale decente. Ne nacque un libro che scosse profondamente i lettori dell’Inghilterra industrializzata, impegnata a produrre con la maggior velocità possibile e che non aveva più il tempo né la voglia di entusiasmarsi per una festività, quella del 25 dicembre, che non era in fondo niente più che un momento importante del tempo liturgico cattolico, nonché un giorno di sospensione per la catena di produzione.

Il Canto di Natale non è, come erroneamente molti pensano, un raccontino natalizio sentimentale e buonista, ma un’opera semplice e dotta allo stesso tempo, ricca di spunti e riferimenti, tratti tanto dalla Bibbia, quanto dall’Amleto, passando per la Divina Commedia.

Dickens in questo racconto inventò anche un’espressione destinata a diventare tradizionale: “Buon Natale”. Egli fu il primo ad accostare l’aggettivo “buono” alla parola “Natale” e di conseguenza è anche colui al quale il mondo deve l’augurio più famoso dell’anno.

Ma il Canto va ben al di là di un raccontino a lieto fine per divenire una parabola, un elogio e una sorta di vero e proprio manifesto programmatico del prendersi cura. Un racconto che diventa un viaggio quasi dantesco alla scoperta, o meglio alla riscoperta, del valore del tempo e dello spazio dedicato a se stessi e agli altri, mediante il viaggio, simbolico ed esemplare, di Ebenezer Scrooge, attraverso una serie di incontri visionari che ricordano, oltre al viaggio di Dante con la guida di Virgilio, anche l’incontro tra Amleto e lo spettro del padre. Analogamente a Shakespeare, Dickens, ovunque ma qui con molta più evidenza, fonde la visione con la realtà quotidiana e mescola, come il maestro, il registro tragico a quello fiabesco e a quello comico.

Non per niente tra le tante versioni cinematografiche del racconto quella che è forse la più bella è Canto di Natale di Topolino, realizzato nel 1983 dalla Disney, cartoni animati non digitali, magnifica fiaba natalizia, con protagonista uno straordinario Paperone (e d’altra parte Scrooge Mc Duck è il nome originario dato dagli autori Disney al papero avaro), in una rappresentazione davvero fedele a Dickens. Si potrebbe anzi dire che il cartone animato è il genere cinematografico più spirituale, fantasmatico, visto che può fare a meno anche della presenza corporea degli attori. Ed è sempre stato in grado di generare stupore, che è esattamente quello che voleva suscitare nei lettori Dickens. Canto di Natale è un itinerario fantastico alla riscoperta del significato della propria esistenza.

Il ricco avaro e misantropo Ebenezer Scrooge, nella sua Londra bancaria e usuraia, in un mondo borghese, dove ciò che conta sono solo gli affari e il profitto, per una notte lascia la sua City: gli viene offerta la possibilità di un viaggio, una straordinaria e terribile avventura: un itinerario nel proprio passato, prima, e poi nel proprio futuro, e quindi nel presente che sarà infine rigenerato. C’è un po’ di horror, di gotico, in questa storia, che si trasfigura poi nella dimensione del fiabesco, della fiaba buona. Scrooge l’avaro, l’anaffettivo insensibile al dolore degli altri, viene trasformato, e salvato.

È dunque una fiaba laica, perché non c’è Cristo, non c’è la Natività, la Sacra Famiglia, ma è un racconto esemplare di una nascita, anzi, di una rinascita. La storia di una salvezza. Ancora Chesterton diceva: “La più enorme e originale delle idee alla base dell’Incarnazione è che una buona volontà s’incarni; che venga, cioè, messa in un corpo. Un regalo di Dio che può essere visto e toccato: se l’epigramma del credo cristiano ha un punto essenziale è questo. Lo stesso Cristo è stato un regalo di Natale.”

Dickens ci offre dunque una fiaba che è una stupenda allegoria del Natale, della venuta del Salvatore come dono. Una allegoria che è molto meglio di tutti i tentativi di manipolazione ideologica, che il grande Chesterton aveva profeticamente previsto: “la moderna teologia proverà a convincerci che il Bambino di Betlemme è solo un’astrazione che rappresenta la totalità dei bambini, e la Madre di Nazareth solo un simbolo metafisico della maternità. La verità è un’altra: la narrazione della Natività ha un valore pienamente universale proprio perché riguarda una sola madre e un solo figlio, singoli e concreti. Infatti, se Betlemme non fosse particolare, non sarebbe popolare”. Sotto l’albero, la notte di Natale, rileggiamoci ancora una volta il Canto di Dickens.

Paolo Gulisano

sabato, dicembre 17, 2022

The Synod in Ireland

 


The Synod in Ireland - A talk by Dr John Murray
Hosted in Dublin by Family Solidarity on 3rd December 2022

venerdì, dicembre 16, 2022

Government recognising commercial surrogacy in all but name

 

The Government has approved a legislative proposal to recognise and facilitate what amounts to commercial surrogacy abroad, a practice banned almost everywhere in Europe because it commodifies babies and exploits low-income women. The Government denies it will recognise overseas commercial surrogacy, but this simply isn’t true.

Once drafted, the new provisions will be part of the Assisted Human Reproduction (AHR) Bill, presented in March and currently still at Committee Stage in the Dáil. Crucially, the law will allow a surrogate mother to be paid “reasonable expenses”. This includes a payment for earnings foregone, which is a fee in all but name. If a woman makes a living by being a surrogate, that makes it a commercial enterprise, especially when you add in other fees including those paid to the facilitating agency.

Notably, the law will not allow agencies in Ireland to be paid a fee, but will allow it overseas. This sort of payment falls under the definition of “commercial surrogacy”, according to the AHR Bill. (section 54) How is that not a huge double standard?

The new legislation will also recognise past surrogacy arrangements, applying criteria that are less demanding compared to those required for future contracts.

Commercial surrogacy is not recognised, or else is expressly banned, in all EU countries because it commodifies children and women. It can also created identity problems for the child also it divides the role of mother into several women (the egg donor, if there is one, the woman who gives birth and the woman who raises the child).
Before the war, Ukraine was the main destination for many Europeans, including Irish, looking to hire surrogates. Others went to Russia. Some of the business has now moved to Georgia and Belorussia.

The Canadian bioethicist, Winifred Badaiki, writes: “Surrogates in Georgia are typically low-income earners, and the intending parents are often middle-class foreigners. The Georgian surrogacy industry has taken advantage of this dynamic to build a thriving industry rife with exploitation. The victims, unfortunately, are the gestational carriers. For some women, in the absence of other options to break free from precarious situations, becoming gestational carriers appears to be their best option at escaping poverty, even if only for a short period”. It is the same in Ukraine and elsewhere.

The AHR Bill‘s list of “reasonable expenses” (section 55) includes any loss of income for a period of up to twelve months due to being unable to work; expenses for accommodation and travelling, for payment of childcare and housework undertaken by other persons; payments for legal advice, counselling, and more.

Such “reasonable expenses” would be a substantial source of income for less wealthy women. What the Bill calls “altruistic surrogacy” can easily be a commercial arrangement in disguise. This is even truer for women living in poor countries, where the Irish state has no means to set and attest standards.

Ireland will become the only country in the world with specific legislation for citizens engaging in surrogacy in other jurisdictions. Currently, there is no international framework to rely on, as for international adoptions for instance, and it is extremely complicated to control standards and regulations abroad. When legal difficulties for the parental recognition of babies born from surrogacy arrangements abroad arise, they are addressed according to the domestic family law, generally through some form of adoption. Ireland will be unique in facilitating with specific legislation such arrangements abroad.

This year, the Norwegian Minister for Children and Families compared this practice to human trafficking and proposed to make foreign surrogacy a criminal offence, as it is the case for the domestic one.

The Italian Prime Minister has also promised to legislate in the same direction.

mercoledì, dicembre 07, 2022

Canada slides right down the assisted suicide slippery slope

 

Canada only introduced assisted suicide in 2016, but already we see that the grounds to avail of it are widening and the country now has one of the most permissive euthanasia and assisted suicide laws in the world. Increasingly, assisted suicide is being seen an alternative to a lack of proper health care or welfare resources. There are even ritual and ceremonies being developed to accompany the produce which both glamourises and normalises it.

Last year, the total number of deaths by ‘medical-assistance-in-dying (MAiD)’ at 10,064. Forty-four percent took place in private residences and 29pc in hospitals. From 2016 to 2021, 31,664 Canadians have been killed in this way.

Is this always by a genuine free choice or, instead, is it taking place because vulnerable patients feel under pressure and believe they have no real alternative, such as palliative care?

Unlike other countries where it is prohibited, in Canada doctors are allowed to offer euthanasia to their patients. This is causing serious concerns. Campaigners for vulnerable patients have highlighted that illness often raises suicidality but these thoughts tend to disappear when proper treatment and care is offered. Suggesting MAiD as one of the possible options makes death an attractive and even expected choice for vulnerable or elderly patients.

“No other country in the world has normalised assisted suicide or euthanasia in this way as a potential first-line therapeutic option to address suffering”, said a group of Canadian doctors in the World Medical Journal recently.

MAiD is becoming an easy solution to compensate the lack of proper care or adequate resources.

We are already seeing cases of desperate people applying for assisted suicide as alternative to being homeless, or because they couldn’t find housing to accommodate their disability.

Last week, a paraplegic army veteran told the Canadian Parliament that when she complained about the lack of a stairlift at her home, she was told: “If you are so desperate, madam, we can offer you MAiD”.

The head of the Human Rights Commission has commented: “Medical Assistance in Dying cannot be a default for Canada’s failure to fulfil its human rights obligations.”

The Canadian experience shows how quickly culture can deteriorate so that what was once taboo is now presented to the public as something that is perfectly understandable and even to be celebrated.

Here are two examples of the process of celebrating assisted suicide. A major fashion retailer has just released a video glamourising the assisted suicide of a 37-year old woman.

Another example is a Christian church in Winnipeg that offers assisted suicide ceremonies to its members. The rituals are hold in the sanctuary. Life, once sacred for Christians, is now terminated with the blessing of a cleric.

Canada shows that the slippery slope is real. When death is offered as a tool to relieve suffering, there are no logical reasons to limit it only to certain groups. Safeguards and limits are lifted once assisted suicide is normalised.

Photo by Diana Polekhina on Unsplash