Una volta tanto cerchiamo di non svicolare davanti al punto decisivo. Che mi sembra questo: quanti cattolici - cattolici veri, cioè obbedienti a Roma e disposti a testimoniare la propria fede - avrebbero risposto in modo diverso da Rocco Buttiglione davanti ai parlamentari europei incaricati di valutare la sua nomina a membro della Commissione dell’Unione? Nessuno. Nessun cattolico, credo, avrebbe mai potuto dire di considerare moralmente accettabile o indifferente l’omosessualità, ovvero che a base della famiglia può non esserci il matrimonio e che può ritenersi tale anche quello tra due individui del medesimo sesso. D’accordo, probabilmente qualcuno avrebbe usato parole diverse da quelle usate dall’ex ministro, qualcuno, magari, per senso di opportunità, avrebbe omesso di adoperare la parola «peccato» (che peraltro, va ricordato, non è un’ingiuria; è il termine tecnico che il cristianesimo come tutte le religioni monoteiste adopera per definire le condotte giudicate riprovevoli), ma nella sostanza, sempre che si fosse trattato di cattolici fedeli all’insegnamento della propria Chiesa, cos’altro avrebbero potuto mai dire di diverso dalle cose che ha detto Rocco Buttiglione? Se è così, allora la conclusione è obbligata. La decisione della Commissione del Parlamento europeo contraria alla nomina di Buttiglione significa in pratica che, mentre prima poteva essere tollerata qualche eccezione, d’ora in poi chiunque aderisce al cattolicesimo e lo manifesta senza reticenza non è idoneo a ricoprire incarichi al vertice dell’Unione; che tra il cristianesimo cattolico e i principi in cui si riconosce l’Europa come istituzione esiste una incompatibilità sostanziale. Ma non è solo questione del cattolicesimo, si badi: fino a prova contraria, infatti, disapprovazione dell’omosessualità e concezione bisessuale del matrimonio sono comuni anche all’ebraismo e all’islamismo. I Saint-Just in sedicesimo di Bruxelles hanno dunque messo al bando d’un sol colpo né più né meno i tratti fondamentali dell’antropologia dell’intero monoteismo.
È questa la conclusione - non so se più ridicola o agghiacciante - dell’incontrastata egemonia, culturale prima che politica, che nel nostro Continente è sul punto di arridere ormai all’ideologia del politicamente corretto. Ciò vale particolarmente per la socialdemocrazia e per la sinistra in genere. Svaniti nell’ultimo trentennio tutti i suoi tradizionali punti di riferimento (la centralità operaia e sindacale, il maestoso welfare di un tempo, lo statalismo, perfino il comunismo), essa si ritrova sospinta dallo spirito dei tempi tra i due fuochi dell’individualismo libertario da un lato e del radicalismo movimentista dall’altro. A collegare i due, l’ideologia per l’appunto del politicamente corretto. L’ideologia cioè dell’obbligatorio e generale relativismo dei valori e della conseguente accusa di intolleranza per chi obietta, della radicale delegittimazione per ciò che riguarda i comportamenti personali di ogni vincolo rappresentato dalla storia e dal passato culturale, la tendenziale riduzione a «diritto» di ogni inclinazione o scelta individuali.
È così che la vecchia socialdemocrazia operaista sta finendo per trasformarsi dovunque in progressismo middle class a uso interno e a uso mondiale in un nuovo universalismo che al posto dei valori politici proclama quelli supposti eticamente superiori del «diritto» e dei «diritti» e che ha nella grigia Bruxelles la sua fulgida nuova Gerusalemme.
P. S. Più semplice discorso le indegne parole adoperate dal ministro Tremaglia. A proposito del quale Fini e Berlusconi capiscono bene che non può esservi che una sorte: le dimissioni. Immediate e irrevocabili.
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
(Concordo pienamente, dalla prima all'ultima parola)
8 commenti:
mi ha ricordato quel che ho pensato dopo un anno di vita in Francia: a volte, più che libertà di credere, mi par esista libertà di non-credere
etty
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Io non sono molto d'accordo invece.. Capisco il punto di vista di un credente, ma credo che la politica debba tutelare il punto di vista di tutti, e non prendere posizioni "integraliste" su temi che in fin dei conti riguardano la coscienza di una persona, la sua vita, e non vanno a ledere i diritti di altri. Non si tratta di obbligare nessuno a fare delle scelte contrarie ai principi cristiani; chi ci crede e li osserva non dovrebbe sentirsi vittima di un'ingiustizia se i non credenti vengono lasciati liberi di fare scelte personali, e godere di diritti come ogni altro cittadino. Insomma, ci sono delle sfere rispetto alle quali secondo me lo Stato non deve intervenire ponendo ostacoli e divieti ai desideri delle persone. Voglio dire: bisogna essere osservanti per legge? Io non credo che promuovere il libero arbitrio e responsabilizzare gli individui equivalga a delegittimare o declassare i principi cristiani. Al contrario: semmai, dà più valore a una scelta.
Caro anonimo che hai lasciato un commento, concordo con i principi che tu elenchi ma il personaggio in questione non ha negato i diritti di nessuno, nè ha imposto nulla che sia contrario alla coscienza. Vuoi farmi un esempio?
Invece è stato bocciato proprio per motivi di coscienza, perchè hanno ritenuto incompatibili le sue credenze morali, che ha egli tenuto a precisare non sono legge civile, con la carica che doveva ricoprire.
Angelo
guardate che in commissione libe buttiglione è ben conosciuto per ciò che è. se non si fidano delle suoi kantiani distinguo è solo perché si è comportato diversamente. come quando durante la convenzione per la carta dei diritti lottò per un emendamento affinché omosessualità e preferenze omosessuali fossero rimosse dalle clausole di non discriminazione della nascente costituzione.
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Mi pare che l'anonimo del secondo post faccia un po' di confusione tra desideri e diritti.
Se tutti i desideri fossero tramutati in diritti il mondo andrebbe a rotoli.
Uno stato non è tenuto a riconoscere un desiderio come diritto, ma a tutelare i diritti fondamentali dell'uomo (e quelli valgono già anche per gli omosessuali) e a tutelare tutte quelle istituzioni, come la famiglia, che sono per natura propria le fondamenta della società umana.
Ciao,
Mauro
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"La società deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri.
A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia.(16) Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto."
(Joseph Card. Ratzinger,
Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali)
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