giovedì, giugno 22, 2006

Il referendum constituzionale nella valutazione del Meic e dell'Istituto Bachelet

Il referendum costituzionale nella valutazione del Meic e dell’Istituto Bachelet dell'Azione Cattolica Italiana.

La prossima chiamata alle urne per il referendum confermativo – promosso per iniziativa sia di un rilevante numero di elettori sia di parlamentari e consigli regionali (cioè tutte le categorie di soggetti previsti dalla Costituzione) – sollecita alcune considerazioni che sentiamo il dovere di esternare a tutti coloro che hanno a cuore le istituzioni della nostra Repubblica, auspicando fin d’ora un’ampia e consapevole partecipazione al voto (ancorché la consultazione sia valida quale che sia il „quorum” di partecipazione) che esprima l’importanza della carta costituzionale nella vita dei cittadini.
Premessa della nostra riflessione, anche alla luce del convegno nazionale promosso dal Meic e svoltosi all’Istituto Treccani gli scorsi 5 e 6 maggio, è la conferma della valutazione positiva sulla nostra Costituzione, esempio di equilibrio tra la prima e la seconda parte, cioè tra la Costituzione dei diritti e la Costituzione dei poteri, ma anche, all’interno della seconda parte (quella organizzativa), di equilibrio tra i diversi poteri e tra i diversi livelli territoriali. Qualunque intervento di revisione deve rispettare tale equilibrio.
Ci sembrano essenziali, in questa prospettiva, soprattutto tre ordini di considerazioni:
1) La valutazione complessivamente negativa della riforma costituzionale. Il giudizio sul testo di legge costituzionale approvata nel novembre scorso dal Parlamento non può che essere fortemente critico, sia sul modo con cui si è giunti a concludere l’iter parlamentare, sia in ordine a molta parte dei contenuti della riforma.
Per quanto riguarda il metodo va sottolineato che non vi è stata assolutamente la (paziente) ricerca di quell’ampio consenso che richiede una revisione costituzionale, a maggior ragione se di così ampia portata come quella in discussione, che riguarda ben 53 articoli della legge fondamentale. Vi è stata anzi un’aspra contrapposizione, in un clima assai poco costituente, in cui il dato che emerge è la scelta di blindare un testo frutto di compensazioni interne alla precedente maggioranza parlamentare, invece che la ricerca di larghe intese su regole del gioco essenziali per il funzionamento del sistema. La logica che dovrebbe consentire modifiche o integrazioni al testo della Costituzione, ai sensi dell’art. 138, è stata d’altra parte stravolta anche per la etereogeneità degli oggetti della riforma, che abbraccia almeno sette distinti argomenti (ruolo e funzione del Primo ministro, ruolo e funzione del Presidente della Repubblica, procedimento legislativo, composizione e funzioni di Camera e Senato, competenze legislative regionali, composizione della Corte costituzionale e procedimento di revisione costituzionale).
Circa i contenuti, le perplessità maggiori riguardano:
a) il premierato „assoluto”, con una verticalizzazione della responsabilità politica che condizionerebbe anche la vita della Camera, senza alcun effettivo contrappeso;
b) il bicameralismo barocco e spurio che è stato immaginato, con tre tipi di procedimento legislativo;
c) le norme che depotenzierebbero un organo di garanzia come il Presidente della Repubblica e
politicizzerebbero maggiormente la Corte costituzionale;
d) infine, la cd. „devoluzione”, basata su una confusa soluzione ideologica di federalismo assai poco solidale, con rischi sia di conflitti tra i vari livelli del sistema e di rottura dell’unità e della solidarietà nazionale sia di riduzione a livelli minimi di quelle che ora sono considerate le prestazioni essenziali in materia di istruzione e assistenza sanitaria.
L’esito sarebbe, da un lato, uno sbilanciamento del sistema politico-costituzionale e, dall’altro, una maggiore confusione nell’assetto delle competenze, con rischi conflittuali o paralizzanti, oltre che il pericolo sostanziale di messa in discussione di principi e di garanzie unitarie e fondamentali sancite nella parte prima della Costituzione (soprattutto in ordine ad alcune istanze di solidarietà di sistema che debbono assicurare la coesione della comunità nazionale).
Anche alcune scelte potenzialmente utili, quale la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo rigidamente paritario, la sottolineatura di meccanismi collaborativi tra Stato e regioni, la valorizzazione della sussidiarietà orizzontale e l’accesso alla Corte costituzionale delle autonomie locali appaiono assai problematiche in quanto il testo ora non ne chiarisce la portata (sussidiarietà), ora (riduzione dei parlamentari) la differisce addirittura sino al 2016, ora non le collega tra loro (raccordi Stato-regioni e nuovo bicameralismo), ora infine non si cautela rispetto a possibili controindicazioni (accesso alla Corte costituzionale).
2) Il „no” nel voto referendario – In base a queste premesse non ci appare dubbia la necessità di prendere le distanze da questo testo di riforma e bocciarlo con un esplicito „no” popolare, che rappresenta ormai l’unico modo per evitare i molti problemi e danni che potrebbero derivare dalla entrata in vigore di questa riforma.
Questo „no”, in sostanza, appare pienamente giustificato e obbligato considerando i principali limiti della riforma, sia per sanzionare il metodo con cui è stata approvata, senza un’effettiva apertura al dibattito e ad apporti di tutte le principali componenti politiche rappresentate in Parlamento, sia per i contenuti inaccettabili delle soluzioni previste sulla forma di governo, l’assetto del bicameralismo e del procedimento legislativo, la composizione della Corte costituzionale, cui si aggiunge il pasticcio contraddittorio e pericoloso nel riparto del potere legislativo in materie essenziali come quelle dell’istruzione e della tutela della salute.
E’ un „no” che finisce per travolgere forzatamente l’intero testo, anche se alcune parti potrebbero essere utili.
Ma l’espressione di voto è unica e non consente di distinguere. D’altra parte, ciò evidenzia una volta di più che le riforme e gli adeguamenti costituzionali dovrebbero essere perseguiti per oggetti omogenei, in modo anche da consentire – in caso di referendum – un’effettiva possibilità di voto libero da parte del cittadino. Ma è un „no” che non deve accentuare le divaricazioni tra le forze politiche, indebolendo le condizioni per riprendere il cammino riformatore: anzi nel dibattito che deve precedere la votazione referendaria è opportuno creare le premesse per una messa a fuoco del rapporto tra norme costituzionali ed esigenze del Paese, cercando una convergenza su eventuali reali esigenze di riforma.
3) Il „no” non deve significare comunque un blocco della riflessione sulle riforme costituzionali. Se il meccanismo referendario obbliga a decidere in modo drastico per un „no” all’intero testo, ciò non deve significare né una bocciatura totale di tutte le soluzioni ivi contenute, né soprattutto comportare l’abbandono della riflessione sugli eventuali e opportuni adeguamenti della Costituzione. Si tratta, nella legislatura appena apertasi, di ricercare il terreno della possibile maggiore condivisione e di affinare le capacità di discernimento, con alcuni elementi fondamentali di riferimento.
In primo luogo, che la revisione costituzionale del 2001, prima ancora che corretta in alcuni punti e integrata in altri, va sperimentata in tutte le sue parti, compresa quella, interessante e innovativa, che prevedeva l’integrazione con rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali della commissione bicamerale per le questioni regionali. In secondo luogo, che si tratta di procedere per oggetti omogenei, ricercando soluzioni che ottengano un effettivo ampio consenso, nel rispetto della logica dell’art. 138, il quale andrebbe semmai rafforzato per stabilire l’obbligo di una soglia dei due terzi per approvare le revisioni costituzionali (lasciando con nettezza al di fuori di questa prospettiva ogni suggestione di dar vita ad una nuova Assemblea costituente, che inevitabilmente destabilizzerebbe il sistema politico e metterebbe in discussione direttamente
la prima parte della Costituzione). In terzo luogo, che occorre saper trarre dall’esperienza politicoistituzionale di questi anni indicazioni non ideologiche, ma frutto dell’esperienza medesima: per fare due esempi importanti, si pensi all’esigenza di rafforzare l’adesione italiana all’Unione europea attraverso un articolo ad hoc e, in tutt’altro campo, alla opportunità di allargare la legalità costituzionale, rivedendo la previsione della autodichia (art. 66 Cost.) con la previsione di adeguate garanzie nei confronti della decisione delle Camere sulla convalida delle operazioni elettorali.
Sulla base di questi elementi, l’occasione referendaria può allora divenire il momento per riaffermare i valori della Costituzione, sanciti in modo lungimirante nel 1946-1947 (a opera di un arco composito di forze ideali e culturali al cui interno un ruolo decisivo svolse la componente di ispirazione cattolica), spesso ancora da sviluppare e attuare in parti significative. Si auspica, quindi, che dopo il referendum, si creino rapidamente le condizioni per avviare in Parlamento e tra le forze politiche il dialogo indispensabile per concretizzare, in tempi ravvicinati, gli interventi sopra sintetizzati, evitando che si estenda e si perpetui l’idea affrettata di una Costituzione sorpassata e quindi un clima di incertezza sempre più dannoso per la vita politica e sociale del
nostro Paese. La Costituzione repubblicana è un patrimonio degli italiani tuttora vitale e da tutelare nelle sue linee fondamentali e nei valori portanti riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini e rapporti economicosociali: patrimonio non da stravolgere, ma da perfezionare e attuare concretamente, in una prospettiva che rafforzi e valorizzi le varie autonomie, la sussidiarietà e la solidarietà nazionale, per superare i crescenti rischi di involuzione del sistema democratico e di disaffezione dei cittadini per la partecipazione politica, da ultimo mortificata in modo assai grave dalle modifiche delle leggi elettorali per Camera e Senato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma questa volta il "paragnosta" non fa previsioni?
;-)

ti segnalo anche che "cinquantuno docenti universitari, tra costituzionalisti, giuristi, storici, filosofi, scienziati politici, economisti, hanno sottoscritto un appello promosso dalla Fondazione Magna Carta a favore della riforma della Costituzione e per il “Sì” al referendum confermativo del prossimo 25 e 26 giugno.

Secondo i firmatari, quel referendum “costituisce un importante occasione per modernizzare le nostre istituzioni”. "