venerdì, luglio 10, 2009

Newman, classico e inattuale 4

Newman intende contrastare quella concezione, espressa da John Locke prima e dalla Edinburgh Review successivamente, per cui l’educazione dovrebbe limitarsi a qualche fine particolare e tradursi in opere che possono essere pesate e misurate. Secondo questa visione utilitaristica ogni cosa ha il suo prezzo e se per l’educazione vi è una spesa, intesa sia dal punto di vista sociale che come lavoro del singolo studioso, dovremmo aspettarci un corrispettivo proporzionato che la giustifichi.
L’attività universitaria acquista così un valore di mercato, il suo prodotto è appunto l’educazione e i suoi frutti attesi saranno il miglioramento dell’economia civile, le scoperte scientifiche oppure, ad esempio, nuovi metodi di coltivazione, nuovi brevetti.
Ciò che legittimerebbe l’esistenza delle istituzioni di istruzione superiore sarebbe quindi la loro utilità ma l’adozione dell’utilità a valore guida comporta naturalmente delle sensibili conseguenze nell’ordinamento degli studi.
Newman riprende la polemica che alcuni decenni prima aveva opposto l’Università di Oxford alla Edinburgh Review, la quale sosteneva, sulla linea di Locke, che nessun bene poteva venire da un sistema che non fosse basato sul principio di utilità. La Edinburgh Review, nota rivista di critica sociale e letteraria, nel 1808 aveva criticato il curriculum di Oxford nelle materie classiche, appena ristrutturato, accusandolo di non preparare gli studenti alla futura vita professionale. Se Locke insisteva sull’utilità individuale come fine dell’educazione, i redattori della Edinburgh Review guardano alla comunità in generale considerando il progresso della scienza come il sommo e autentico fine di un università.
Newman ribatte:
se un corpo sano è un bene in sé perché non dovrebbe esserlo un intelletto sano? E se un Collegio di medici è un’istituzione utile, perché si occupa della la salute corporea, perché non lo è un corpo accademico, per quanto esso fosse semplicemente ed esclusivamente impegnato nel conferire vigore e bellezza e capacità di comprensione alla parte intellettuale della nostra natura? (VII, 4)

Newman presenta un parallelo con la salute corporea la quale è un bene in sé, non produce nulla di particolare ma permette una vita buona e ha quindi in ciò la sua utilità. Analogamente la cultura intellettuale non è legata ad un uso particolare, anzi, il fatto di non poterne mostrare le possibili applicazioni immediate non diminuisce la sua necessità.
Inoltre,
come la salute dovrebbe precedere la fatica del corpo e come un uomo in salute riesce a fare ciò che un uomo malato non può e come le proprietà di questa salute sono forza, energia, agilità, portamento e azione armoniosi, destrezza manuale e tolleranza della fatica, similmente la generale cultura della mente è il migliore aiuto allo studio professionale e scientifico e uomini colti riescono a fare ciò che non possono gli illetterati e l’uomo che ha imparato a pensare, a ragionare, a confrontare e a discriminare ed analizzare, che ha raffinato il suo gusto e formato il suo giudizio, e acuito la sua visione mentale non sarà certo subito un avvocato, o un penalista, o un oratore, o un uomo di stato, o un fisico … ma egli sarà posto in quello stato intellettuale nel quale può intraprendere qualsiasi scienza o vocazione di cui ho parlato e qualsiasi altra per cui egli abbia un gusto o talento specifico, con una facilità, una grazia, una versatilità e un successo che ad altri sono sconosciuti. In questo senso dunque…la cultura della mente è decisamente utile. (VII, 6)

(continua)

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