Me ne frega assai di chi eleggono presidente della repubblica, visto che sono monarchico. Ieri ho fatto un test su un quotidiano per calcolare la mia età mentale in base ad alcune semplici domande. “Come trascorri la domenica?” Guardando il calcio in tv, che domande. “Qual è la cosa che ti fa più paura?” Gli extracomunitari. “A che ora vai a dormire di sera?” Verso le undici e mezza, altrimenti oggi non starei già scrivendo alle sette del mattino. A farla breve, per fortuna non venivano forniti numeri precisi ma è emerso che sono un uomo di mezz’età, con occasionali puntatine nella vecchiaia e dunque – spero – nella saggezza, anche se in Italia tutti sono convinti che la felicità consista nell’adolescenza eterna. Meno male che fra le domande non c’era un bel “Chi vorresti al Quirinale?”, perché avrei risposto grossomodo: l’unico che abbia diritto ad abitare al Quirinale è il Papa e gli altri, chi più chi meno benevolo, sono tutti usurpatori che non pagano l’affitto. In tal caso sarebbe emerso che ho almeno 190 anni e il test sarebbe andato in tilt.
Però, com’era sexy Laura Boldrini ogni volta che diceva “Rodotà”, con quella puntina di superiorità mista a rassegnazione, come a dire: “Io vi capisco, ma che possiamo farci?”. È proprio bella, roba da mettersi a guardare lo spoglio per ore e ore senza più contare i voti, roba che al confronto le cravatte rosa di Gianfranco Fini diventano grigio pallido. Mi ha fatto venire in mente l’accorata protesta di un mio amico un po’ oltranzista: “Perché quando in tv mostrano le manifestazioni della sinistra antagonista è sempre pieno di [omissis] mentre alle manifestazioni a cui vado io ci sono solo pelosissimi obesi calvi di Casa Pound?”. Forse perché vai alle manifestazioni di Casa Pound, gli risposi; meno male che, dicevano Sylvia Plath e Gemma Gaetani, ogni donna ama un fascista. E viceversa, aggiungeva una mia fidanzatina: ogni fascista ama una donna, un fascista ama ogni donna, una donna ama ogni fascista e ogni donna fascista si ama.
A proposito, non vi dico quando è arrivata la Mussolini (che anni e annorum or sono Marcello Veneziani gratificò di un “Benita bonita”) e si sono messe a fare il confronto fra il tailleurino rosso della mora e la maglietta attillata della bionda. Era da certi film degli anni ’80 che non vedevo scene così. Mi sono domandato se, mentre diceva “Rodotà” con tono di vago rimprovero, alla Boldrini non venisse in mente la foto che per qualche tempo è circolata anche sui giornali in cui veniva ritratta una donna completamente nuda e depilata in certi punti nevralgici, della quale si diceva con grande insistenza che fosse Laura Boldrini nonostante che non somigliasse per niente a Laura Boldrini. La fonte della foto fasulla era internet, esattamente la stessa fonte della candidatura di Rodotà; ognuno tragga le conseguenze debite. Com’erano teneri i grillini che al momento della proclamazione dei risultati scandivano “Ro-do-tà! Ro-do-tà!” senza sapere bene chi fosse; mi ricordavano le studentesse Erasmus alle quali i più cattivi fra i pavesi suggerivano che il sandwich in italiano si chiamasse pompino, così quelle inconsapevoli lo ripetevano al barista con grande insistenza creando imbarazzo; viene quasi da ringraziare quelli che li hanno mandati in parlamento pensando: “Insomma, se tutti i politici sono uguali allora votiamo questi qui che quanto meno sono evidentemente peggio”. Nichi Vendola, che ha sempre saputo fiutare dove va il mondo, ha capito subito che le nuove tendenze della politica sono queste qua (“Ro-do-tà! Ro-do-tà!”) e s’è prontamente adeguato: il prossimo passo sarà la virtualizzazione della sanità pugliese. La flebo te la facciamo su twitter; il catetere te lo mettiamo su facebook; il medico curante sarà scelto con un sondaggio fra internauti e potrai sempre tenerti in contatto via skype coi nostri assessori, anche se dovessero arrestarli tutti.
Ma la Boldrini mi piace, con o senza Mussolini; pertanto mormoro un Atto di Dolore e passo a ripescare considerazioni serie che avevo scritto sul Foglio esattamente un anno fa, quando per la prima volta si era ventilata l’ipotesi di una rielezione di Giorgio Napolitano, ispirato dalla lettura di un bel saggio di Maurizio Ridolfi e Marina Tesoro che s’intitola appunto Monarchia e repubblica. “Il caustico Filippo Turati sosteneva che passare dalla monarchia alla repubblica consistesse alla fin fine nel cambiare lo stemma dei tabacchi; sotto qualsiasi forma di governo gli Italiani sarebbero rimasti gli stessi. L’hanno dimostrato le recenti reazioni al rifiuto opposto da Napolitano all’idea di una rielezione al Colle: i sentimenti più diffusi al riguardo erano tipicamente monarchici, ossia l’auspicio di un prolungamento indefinito (o vitalizio) dell’incarico e la speranza nell’indicazione più o meno esplicita di un successore. Abbiamo conservato un immaginario monarchico montato piuttosto goffamente su un apparato repubblicano”. A chi strepita vorrei far notare che, uno, la formula utilizzata ieri dalla classe politica per convincere Napolitano era la classica supplica al monarca e, due, che nelle votazioni preliminari qualcuno aveva votato il figlio ed erede Giulio Napolitano, che non ha i requisiti.
Lo so, ragionare è facoltativo, quindi continuiamo l’istruttiva rilettura. “L’ideale repubblicano in Italia risulta ondivago nell’adozione di simboli: i mazziniani battono ora bandiera rossa, ora nera, ora verde. Non riuscendo a produrne di propri, si ricorre a simboli altrui: durante la Settimana Rossa del 1914 si canta la Marsigliese, al congresso del Pri del ’22 si riesuma la torcia giacobina. Quando nel ’24 lo stesso partito prova a introdurre tre campane non ha particolare fortuna. Le sigle e gli stemmi che si alternano sui tricolori repubblicani tanto dei partigiani quanto della Rsi vengono dimenticati in men che non si dica. I repubblicani vittoriosi si sono affrettati a eliminare lo scudo monarchico dal centro del tricolore, ma al suo posto cos’hanno messo? Nulla”.
Mi piace pensare che il voto a Giulio Napolitano (che non ha i requisiti) sia dovuto a un qualche monarchico nascosto; è pertanto la terza scheda nella classifica delle mie preferite, dietro all’inarrivabile Conte Mascetti e al doroteo “Massimo Prodi” di venerdì pomeriggio. Ora, non serve essere Matteo Renzi per notare la differenza fra Stato e Chiesa e capire che, se gli Italiani avessero avuto un’età mentale leggermente più avanzata, al Quirinale avrebbero lasciato il Papa. Sarà stato l’effetto del gabbiano sul comignolo che metteva fretta, ma penso di poter escludere che i conclavisti prima abbiano votato Valeria Marini e Michele Cucuzza (su Rocco Siffredi non me la sento di giurare), poi abbiano scelto un candidato condiviso senza assicurargli la maggioranza necessaria, poi i progressisti abbiano scelto un candidato da eleggere per conto proprio senza riuscire a farlo, poi siano andati in pullmino a Castel Gandolfo per convincere Ratzinger, riluttante, a un secondo mandato.