Una scuola distributista: un’esperienza paradigmatica?:
Allora, il distributismo, la faccio molto corta e molto semplice, non spaventatevi… Che cosa sostenevano Belloc, Chesterton e tutti questi altri pazzoidi che parlavano della società in modo che potesse essere un po’ più bella e un po’ più vivibile? Diciamo che alla sostanza, alla base del vivere civile, ci devono essere (…) tre cose. Alla base della vita sociale ci deve essere il lavoro, ci deve essere il terreno, il territorio (perché si parlava soprattutto di quelli che venivano dal mondo contadino) e ci deve essere il capitale, che non deve essere il capitale che intendiamo noi adesso, il capitale è ciò che qualcuno tiene da parte e che deve servire per continuare a vivere. Quando in una società questi tre elementi non appartengono alla maggioranza delle persone che ci vivono, si vive in uno stato che sostanzialmente porta alla servitù. Tanto è vero che Belloc ha scritto un libro importante, interessante, intelligente, straordinario, che si chiama Lo stato servile e che spiega proprio in che cosa consiste la servitù e la schiavitù. E che cosa hanno fatto questi tizi di San Benedetto del Tronto che forse voi non conoscete e che hanno un pazzo al loro capo? Hanno fatto una cosa straordinaria. E cioè hanno messo su una scuola—non so se la conoscete, si chiama “Chesterton”—che applica alla lettera questo concetto di distributismo, perché loro hanno un terreno che sono i ragazzi che ci vanno dentro, quindi un terreno da coltivare, un terreno da far fruttare, hanno il lavoro, il lavoro che ci mettono dentro, la forza lavoro e hanno soprattutto il capitale. Il capitale in cosa consiste? Consiste nella loro cultura, nel loro sapere della loro vita e della loro fede. Allora tenendo insieme tutte queste cose qui, si crea qualche cosa di bello e di straordinario che è destinato a vivere e a sopravvivere e quindi noi siamo qui anche per sostenerli in questa cosa.1
Nel Giugno 2010 il mio amico Alessandro Gnocchi pronunciò queste parole nel contesto dell’VIII Chesterton Day. Le trovai geniali perché sintetizzavano concetti molto importanti in poche righe e
riconoscevano qualcosa di nuovo, collegandolo con la tradizione e la “scuola” distributista.
La prima questione che Alessandro evidenziava era questa: l’opera che all’epoca avevamo intrapreso da circa due anni, la Scuola Libera “Gilbert Keith Chesterton”, era effettivamente una realizzazione distributista. Essa infatti incarnava gli ideali di Chesterton, Belloc e McNabb perché—se parafrasiamo i caratteri che sintetizzano il distributismo classico -:
- avevamo una terra da lavorare e far fruttare, e cioè i figli che le famiglie ci avevano affidato ed i nostri stessi figli;
- avevamo il nostro lavoro, le nostre capacità, conoscenze, ideali, desideri e strade già percorse da indicare ai nostri ragazzi, un labor e cioè il frutto dell’inventiva, del sacrificio, dei tentativi ed anche della sofferenza (prendere la strada giusta e trasmetterne la conoscenza a qualcun altro integra perfettamente il senso della parola latina labor);
- avevamo il capitale, e cioè la nostra cultura intesa nel senso più cattolico del termine e cioè la fede che diventa vita vissuta.
Dice bene Chesterton, allora, quando—in uno dei suoi affilatissimi aforismi—afferma che il problema del capitalismo non è che ci sono troppi capitalisti ma che ce ne sono troppo pochi. È ovvio che Chesterton in questo caso intendeva per “capitalisti” i possessori degli strumenti atti a produrre valore, cultura e vita.
Questa esemplificazione estemporanea eppure efficacissima di Alessandro Gnocchi ci permette di fissare come punti di riferimento delle scoperte e sfatare alcuni luoghi comuni. La prima e più importante è che abbiamo potuto riconoscere nella realtà i semi di una novità proveniente dalla Tradizione che è buona per tutti. A questo proposito vale la pena di ricordare un altro sagace intervento sulla questione, quello di un altro amico, stavolta inglese, il compianto Stratford Caldecott, che ha approfondito dal suo punto di vista di studioso umanista la novità del distributismo. Caldecott nel Giugno 2012 intervenne al X Chesterton Day e tra le altre cose ci disse:
Sono d’accordo sul fatto che la società oggi sia fortemente sviluppata e fortemente complessa, per cui il meccanismo stesso è difficile da cambiare. (…) Per esempio, ho un amico in Sierra Leone,2 in Africa, che è venuto ad Oxford e ha studiato Chesterton e ha capito che queste idee potevano essere utilizzate nel suo paese, uno dei più poveri del mondo. Lui disse che il problema del suo paese è che hanno molte risorse naturali, ma sono stati danneggiati da una lunga guerra civile e sono stati influenzati da un’ideologia che dice che lavorare la terra vuol dire appartenere ad uno stato sociale basso. L’unico modo è spostarsi in città e diventare per esempio insegnante. Per cui ci sono città sovrappopolate dove tutti vogliono diventare insegnanti e le terre sono abbandonate. Così ha fondato questa “Società di Chesterton” per insegnare alle persone l’importanza dell’agricoltura e dell’allevamento. Questo è un modo per soddisfare la propria umanità, per portare beneficio alla società. Così si associano, comprano la terra e la usano e si accordano con i capi locali, poi comprano l’attrezzatura e formano le persone per utilizzare queste attrezzature. Quindi è come se fosse una “scuola di comunità”, e hanno un club di calcio per coinvolgere i giovani e per dare un senso di collaborazione. (…) Il nostro sistema economico non sta funzionando più bene e penso che la crisi non sia ancora finita. Molte persone adesso tornano al Distributismo per sviluppare nuove forme di pensiero economiche.3
Distributismo da riconoscere nelle pieghe della realtà
Questo, lungi dal significare che dovremo morire figli di questo sistema capitalistico, vuol dire invece che le esperienze vive hanno molto da insegnare, e che l’approccio “empirico”, cioè nascente dalla realtà dei fatti, supera decisamente ogni calcolo, sistema ed equazione di carattere economico, e soprattutto ogni obiezione sull’impossibilità di cambiare rotta alla società attuale. Nell’opinione media si ritiene che solo se un’idea che pretende di scalfire l’aspetto economico della vita sia riducibile ad equazioni o sistemi o modelli può essere ritenuta spendibile, imitabile e ripetibile. In altre parole, senza i crismi dell’economia ufficiale un’idea non avrebbe speranze di sviluppo. Quello che voglio affermare è esattamente il contrario, ossia che la realtà ci dimostrerà, anzi ci sta dimostrando che il distributismo può essere realizzato perché è parte del cuore dell’uomo e che se esistono delle formule o dei modelli per sintetizzarlo queste devono venire alla luce solo dopo le esperienze concrete, fatte di nomi, cognomi, facce e storie. D’altra parte ci sono esperienze del passato che costituiscono un valido esempio di come la vita prevalga sulla teoria: il fenomeno tipicamente italiano dei Monti di Pietà e quello sudamericano delle reducciones gesuitiche (saranno oggetto di prossimi miei interventi).
Ancora Caldecott ci ricorda che Gilbert Keith Chesterton:
era diventato scontento, non più illuso dalla politica, in parte perché i politici erano corrotti, qualcosa su cui tutti possiamo riflettere, e realizzò che i problemi sia in Inghilterra che in Europa erano più profondi da poter essere risolti solamente attraverso un movimento politico. Per cui aveva capito che c’era bisogno di un movimento cristiano e spirituale di base, e questo movimento avrebbe portato frutti (…).4
Quest’ultima precisazione ci dà l’idea del senso di ciò che sta succedendo ad alcune persone nel mondo, meglio ancora: della direzione che molti di noi stanno prendendo oggi. Le esperienze partono per loro natura dal basso, non senza aver ricevuto quell’ispirazione dall’alto che non proviene da intellettuali o esperti ma dalla vita cattolica, dai Sacramenti, dalla fede antica. A questo proposito è significativo che molti che seguirono Chesterton a partire dalle sue idee sociopolitiche abbiano finito poi per convertirsi al cattolicesimo,
5 e che chi ha questa visione spesso prende proprio le mosse dalle esperienze come quella del monachesimo occidentale di San Benedetto da Norcia.
6
Un luogo comune che viene sfatato dalle affermazioni di Alessandro Gnocchi è quello costituito dall’idea che certi movimenti debbano necessariamente partire da un luogo «politico» od «economico» in senso stretto e convenzionale, mentre la nostra scuola, col suo potenziale di novità e cambiamento, parte dall’esperienza educativa portata alla sua massima e comprensiva estensione.
La vicenda a questo punto merita qualche approfondimento in più, anche perché oggi è ancor più vero quello che disse Gnocchi e quello che confermava dall’Inghilterra Caldecott, solo che nel frattempo la storia si è ampliata ed articolata e ci siamo accorti che il distributismo non è un sogno ma è già realtà, anzi: constatiamo ogni giorno che più percorriamo questa strada, più questa strada si rende necessaria per salvarci dallo stato servile.
7
La Scuola nasce a San Benedetto del Tronto (AP), nelle Marche, terra che ha dato i natali a San Giacomo della Marca (dovremmo forse considerarlo una sorta di precursore o profeta del distributismo, lo vedremo più avanti – anche se in realtà è il distributismo che trae la sua ispirazione dalla vita e dalle realizzazioni di uomini come questi e dal contesto in cui vissero). Alcuni padri e madri decidono di dare continuità all’esperienza educativa cattolica nata prima in casa e poi proseguita positivamente in una scuola paritaria retta da un ordine di brave suore, una scuola che però terminava con l’ultimo anno delle elementari. Ci imbarcammo nell’avventura della scuola sfruttando un principio sancito dalla Costituzione italiana che consente ai genitori di educare ed istruire i figli a casa secondo le proprie convinzioni (arte. 30 e 33.
8). All’estero si chiama
homeschooling ed è cosa quotidiana, soprattutto negli Stati Uniti d’America, da noi si è guardati come marziani. La differenza è che decidemmo di fare l’homeschooling tutti insieme e di dare questa possibilità anche ad altre famiglie. La decisione definitiva fu presa nel mese di Luglio del 2008, la scuola aprì i battenti nel Settembre dello stesso anno. Il suo motto: “Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro”. La frase di chi era? Ma di Chesterton, ovviamente. Fu questa, assieme ad altre due affermazioni dello scrittore inglese (“
La gente è inondata, accecata, resa sorda e mentalmente paralizzata da un’alluvione di volgare e insipida esteriorità, che non lascia tempo per lo svago, il pensiero o la creazione dall’interno di sé”; e “per farla breve, il male da cui sto cercando di mettervi in guardia non è l’eccesso di democrazia, né l’eccesso di bruttezza, né l’eccesso di anarchia. Potrebbe essere definito così: è la standardizzazione verso un basso standard”),
9 a darci la spinta finale ed incoercibile per salpare l’ancora e partire. Nasce così la Scuola Media Libera “Gilbert Keith Chesterton”, cui segue poco dopo anche il Liceo delle Scienze Umane “Gilbert Keith Chesterton” e l’Istituto Professionale “Gilbert Keith Chesterton”. Oggi la scuola conta circa settanta ragazzi. È per così dire un’istituzione familiare perché:
- si regge sul lavoro di insegnanti che spesso sono essi stessi genitori dei ragazzi che la frequentano;
- si muove dal presupposto che le famiglie che vi portano i propri figli debbano essere coinvolte nel lavoro educativo della scuola. La famiglia è uno dei capisaldi del distributismo prima ancora dell’idea di proprietà dei mezzi di produzione e di tutto il resto, che pure ne sono alla base.
A questo punto torno a citare Stratford Caldecott che afferma:
Il Distributismo è la visione per cui la proprietà privata dovrebbe essere distribuita ampiamente nella società piuttosto che essere concentrata in alcune mani. E questo ha lo scopo di rendere possibile che sempre più persone siano capaci di essere responsabili per le loro famiglie attraverso un lavoro produttivo e degno. (…) La base del movimento era l’importanza delle famiglie contro quest’idea del capitalismo che concentra la ricchezza in poche mani.10
La scuola distributista nasce da un popolo
La scuola non è un’istituzione “terza”, ma fa affidamento e forza su chi la fa (professori, genitori ed alunni, ciascuno per quel che è chiamato a fare), sul sostegno di chi la stima e ritiene che essa sia un tassello fondamentale per un mondo diverso da quello cui siamo ormai totalmente mitridatizzati. Fondamentalmente fa affidamento su un popolo di cui è espressione. Quando riceviamo visite sempre più frequenti di persone che vorrebbero percorrere la nostra stessa strada, spinti dall’invadenza di politiche favorevoli all’ideologia di genere nelle scuole o dall’inconsistenza delle idee sull’educazione presenti nella scuola pubblica, ci accorgiamo che questo è un aspetto spesso sottovalutato da chi viene a conoscenza di quest’esperienza; eppure la nascita da un popolo è
conditio sine qua non per qualunque realizzazione distributista. Questo sostegno è ovvio che sia anche materiale, perché la scuola è libera e come tale neppure paritaria, cioè non percepisce alcun aiuto dallo Stato (in Italia il sistema è formalmente basato sulle scuole statali e sulle scuole paritarie,
11 cioè su scuole private che a determinate condizioni vengono ammesse nel sistema scolastico pubblico, condizioni che in ogni caso impongono controlli e una copiosa soffocante burocrazia su di esse). Le bassissime e pressoché simboliche rette vengono affiancate da un sistema di raccolta dei fondi che ha la sua bandiera in ciò che abbiamo voluto battezzare con il nome di un’antica e gloriosa istituzione, quella dei
Monti di Pietà,
12 i cui principali artefici furono i Francescani Osservanti e nella fattispecie uomini del calibro di San Bernardino da Siena e di quel San Giacomo della Marca mio conterraneo ricordato qualche riga fa. Per noi il Monte assume una connotazione particolare: un gruppo di persone si tassa liberamente, con costanza e con cadenza settimanale dando ciò che può per sostenere economicamente quest’opera in maniera stabile. In realtà sostiene la terra su cui egli stesso poggia i piedi, i rapporti cordiali e concreti su cui fonda la sua vita, le facce amiche che costituiscono le cellule di questo organismo, il futuro di un buon modo di vivere perché senza l’educazione non c’è futuro alcuno per qualunque civiltà.
Distributismo, prima di tutto una visione ed un metodo
Questo metodo è assolutamente rivoluzionario perché mette da parte:
- l’idea, patrimonio dell’Italia postunitaria e anticattolica, che la scuola sia un’istituzione che viene dall’alto; è un’idea che non corrisponde al modo in cui la scuola è nata e si è imposta nell’Europa occidentale, e cioè a partire dalle istituzioni cardine che hanno formato il nostro modo di vivere, cioè dai monasteri, dalle cattedrali, dalle confraternite, dalle gilde e così via.
- il sistema bancario capitalistico, visto attualmente come unica fonte del credito; per secoli la nostra civiltà ha utilizzato ed elaborato metodi diversi per il credito, ed oggi ce ne siamo dimenticati. Il capitalismo è fondato sull’accumulo del denaro, il distributismo sulla diffusione e sulla leva “popolare” e familiare nella raccolta del risparmio e nel suo uso, e questo spiega molto l’attitudine al risparmio diffuso tra le nostre famiglie italiane, soprattutto nel Centro Italia.
- l’idea che si debba organizzare la propria vita e quella della propria famiglia secondo schemi non nostri, non rispondenti ai propri ideali. Questo del conformismo è il vero reale problema per l’affermazione dello stato distributista. Iniziare a pensare la vita in modo differente da come un soffocante potere sembra imporci è la prima sfida che dobbiamo rivolgere a noi stessi e alle nostre famiglie. In questo senso l’educazione è l’unico strumento che può darci speranza.
La fondazione della scuola ci ha poi permesso di comprendere come alcune scelte rimettano in discussione altre: se ho deciso di fare una scuola, se ho pensato di sostenerla, e se per sostenere la scuola ho deciso di destinare una parte più o meno consistente dei miei risparmi ad essa, allora ciò vuol dire che:
- i miei risparmi possono avere una destinazione non convenzionale (ossia possono non finire nelle banche o in istituzioni simili, che sostengono un sistema diverso da quello che auspichiamo, anzi un sistema opposto);
- lo scopo del risparmio può essere non solo quello della sicurezza futura o nel consumo futuro ma anche quello dell’edificazione di un mondo differente che risponda ai propri ideali; l’uomo non si esprime consumando ma costruendo;
- posso scegliere anche di lavorare per edificare questo mondo, alla stessa maniera dei monaci benedettini di millecinquecento anni fa e del popolo che li seguì (la vera rivoluzione del monachesimo benedettino non fu né economica né tecnologica ma fu il “nihil amori Christi praeponere”).
Propositi di Fede e Rivoluzione
Per i nostri progetti titanici di fede e rivoluzione, ciò di cui abbiamo bisogno non è una fredda accettazione del mondo con un compromesso, ma qualcosa che ci permetta di odiarlo fervidamente e di amarlo fervidamente. Non vogliamo che la gioia ed il rancore si neutralizzino a vicenda e producano una triste soddisfazione, vogliamo una gratificazione più intensa, un malcontento più intenso. Dobbiamo percepire l’universo come il castello dell’orco, da prendere d’assalto, e al tempo stesso come la nostra villetta, dove possiamo tornare ogni sera.13
Come accennavo nel mio precedente articolo, ampliando e perfezionando questo sistema abbiamo acquistato un terreno ed una casa in un posto bellissimo della nostra città per trasferirvi con il tempo anche la scuola. La cooperativa Capitani Coraggiosi, oltre la scuola, gestisce molte attività della nostra Opera G.K. Chesterton (comprende anche una società sportiva, un servizio di doposcuola, un’impresa che reinserisce nel lavoro i soggetti svantaggiati e si occupa di lavori edili, agricoli, gestione di strutture pubbliche come palazzi dello sport, cimiteri ed altro). Dicevo nel precedente articolo che tutte le imprese al momento di una compravendita di una certa rilevanza chiedono un mutuo in banca e pagano servendosi del ricorso al credito bancario. Noi abbiamo invece deciso di acquistare il bene mediante la sottoscrizione di un aumento del capitale sociale della cooperativa acquirente e la raccolta dei risparmi dei soci della cooperativa con lo strumento dei libretti di risparmio cooperativo (ipotesi disciplinata in Italia dalla normativa sulle società cooperative). Il bene è oggi di ciascuno e di tutti i soci, cioè del popolo che ha voluto la scuola, che conta sulla scuola, che ha anche altre attività per le quali si aiuta reciprocamente in modo concreto e fattivo, e non dipende dalla benevolenza di una banca che fa esclusivamente i suoi affari e non ha nessun interesse verso il nostro “business” se non la preoccupazione della restituzione del capitale mutuato e il guadagno massimo possibile. Per l’acquisto ciascuno ha messo a disposizione le proprie risorse (non solo quelle schiettamente finanziarie ma anche quelle professionali nel corso della costosa e laboriosa ristrutturazione della casa: alcuni hanno lavorato gratuitamente come soci volontari della nostra cooperativa, altri hanno offerto la loro opera professionale gratuitamente o si sono fatti promotori di accordi per prezzi più bassi e molto altro ancora) perché – dicevamo -contribuirà a far crescere anche un’idea molto diversa di “benessere”, fondato sull’educazione che è il motore di qualunque società sana, la cultura, la bellezza,
14 i rapporti amichevoli e affettuosi, la “gestione” della propria famiglia, il futuro della propria società, di questo piccolo regno fatto da tanti piccoli regni del senso comune (per usare un’espressione di Chesterton). Il benessere che promuoviamo, come si vede, è molto diverso da quello che ci prospetta il capitalismo, fondato solo sull’individualismo, sull’accumulazione del denaro e sul consumo (non così diverso da quel “produci, consuma e crepa” che ho trovato scritto sui muri di un palazzo della mia città, vergato da qualche anarchico che non conosce né il distributismo né noi, purtroppo). Ora si capisce meglio perché non è molto differente ciò che accade in Sierra Leone da ciò che accade sul Colle di Santa Lucia a San Benedetto del Tronto. Mettere in atto il ricorso al credito reciproco è funzionale all’edificazione di un modello differente e valido di società, non più soggetto alle crisi (più che ricorrenti ormai continue) del capitalismo. Chesterton e Belloc lo chiamano “stato distributista”, Chesterton usa anche l’espressione “piccoli regni del senso comune”.
Abbiamo così verificato che è vero quello che dicevano Chesterton e amici, e cioè che la famiglia è il vero volano di tutto, e che è quella piccola repubblica da cui tutto dipende (lo stato distributista è questo tessuto delle piccole repubbliche familiari). Mettere sotto scacco la famiglia in tante maniere (rifiuto del matrimonio tradizionale, ideazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, aborto, eugenetica, contraccezione, leggi indifferenti o contrarie alla famiglia secondo una prospettiva economica, e così via) ha come risultato quello di accendere una bomba ad orologeria che travolgerà pure chi l’ha accesa e ne riattizza la miccia quotidianamente.
Voglio andare oltre
Un sistema simile è basato sull’idea della necessità ed insostituibilità dell’aiuto reciproco,
15 della carità cristiana in altre parole, e non ha quindi dei limiti prefissati per essere attuato. Per cui esistono esperienze simili seppure diverse in cui è possibile vedere lo stesso marchio. Abbiamo degli amici a Norcia, i Monaci del locale monastero benedettino; essi vivono in un modo molto simile, fabbricando la loro birra in monastero e vivendo come un gruppo di uomini che costruiscono un mondo in cui nulla è preposto all’amore di Cristo.
16 Alcuni chestertoniani americani spinti da Dale Ahlquist hanno fondato quella che noi chiamiamo “la nostra scuola gemella”, la Chesterton Academy di Minneapolis (non ci crederete ma siamo nati nello stesso anno gli uni all’insaputa degli altri, partendo dalle stesse parole di Chesterton…)
17 ed è evidente che il distributismo sia alla sua base. Il Sierra Leone Chesterton Center fondato da John Kanu è un altro bell’esempio, tra l’altro molto concreto ed agricolo.
Una società formata di cellule come quelle che ho solo citato, saldate tra di loro da legami di aiuto reciproco fondati in Nostro Signore Gesù Cristo, può stabilire una rete di buone ed umane relazioni per una vita più vera, può creare un tessuto valido ed utile ad affrontare qualunque tempesta.
Non credo di essere azzardato se paragono queste pur umili esperienze con l’anelito di Verità che mosse secoli fa San Benedetto da Norcia.
The post
Una scuola distributista: un’esperienza paradigmatica? appeared first on
The Distributist Review.