mercoledì, febbraio 24, 2016

Il Ddl Cirinnà, gli artisti e il luogo comune
di Pietrangelo Buttafuoco
da Il Mattino del 23 febbraio 2016
Gli artisti che schifano il torto e vanno incontro al diritto sono un’immane calata di guallera. 
Quattrocento ottimati in forma di registi, canzonettisti e sartine che fanno comitiva in difesa del disegno di legge Cirinnà, quella che disciplina i vincoli omosessuali, cadono nel luogo comune.
Con conseguente danno alla stessa Cirinnà.
Il ciapiciapi di chi piace alla gente che piace è una sorta di vintage dell’ideologismo.
Certo, non c’è da togliere di mezzo un commissario di PS (come accadde negli anni ’70 con l’appello contro Luigi Calabresi) è solo il birignao elevato a Costituzione.
Non c’è scampagnata più ordinaria, ormai, di un flash mob arcobaleno ma è il gran ritorno dell’impegno degli impegnati.
Uommini scicche e femmine pittate al seguito di Daria Bignardi e Jovanotti confermano, infatti, lo scollamento tra la vita vera degli Zappatori (tagliati fuori da ogni storytelling) e la rappresentazione della collettività che, al contrario, hanno loro, padroni di ogni sceneggiatura. Fosse pure in continuità mistica con i nastrini arcobaleno del Festival di Sanremo.
Le unioni civili si portano molto in società, fanno molto cancelletto-hashstag e generano like in rete.
Non c’è casalinga, oggi, che non si strugga di patema per i diritti della comunità Lgbt.
La prima preoccupazione di ogni mamma, oggi – ancora prima di insegnare l’Ave Maria ai proprio bimbi – è di far sillabare ga-y affinché le creature non incorrano in lapsus omofobici.
Ma gli altolocati che spargono l’adamantina virtù, quella propria dell’umanità emancipata, altro risultato non ottengono che un sovrabbondare di retorica nell’Italia da troppo tempo prona allo stucchevole sentimentalismo dei diritti sui torti.
Con gravi torti agli stessi diritti.
Siamo pieni di diritti civili ma certezza di futuro nel lavoro, niente.
L’artista che monta la guardia al bidone della giusta causa fa pietosa mostra di sé. Da che mondo è mondo – infatti – la poesia è stata eversiva, giammai consolatoria o, peggio, pedagogica e fiancheggiatrice del governo in carica.
Il fatto è che i comunisti sono diventati radical e si adoperano nel bovarismo se un premier da Bacio Perugina qual è il radical Matteo Renzi – narrativo per eccellenza – se ne esce con una frase come “Non ci devono spaventare quelli che si amano”.
Ecco, dovere d’artista sarebbe di smutandarne l’ipocrita messa in scena o, per dirla con il magnifico libro di Diego Davide, fuggirsene da chi fa sobbalzare la guallera (ve lo consiglio: De Guallera, edizioni A Est dell’Equatore).

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